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Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche S. Sahali, N. Noël, J. Ghosn Il principio della profilassi antibiotica è quello di prevenire la comparsa di una malattia infettiva o eradicando una popolazione batterica potenzialmente patogena già presente nell’organismo o impedendo l’impianto di una popolazione batterica esogena. © 2008 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Infezione batterica; Antibioticoprofilassi; Contagio; Infezioni recidivanti
Struttura dell’articolo ¶ Introduzione
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¶ Antibioticoprofilassi del reumatismo articolare acuto (RAA)
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¶ Antibioticoprofilassi dell’endocardite infettiva
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¶ Antibioticoprofilassi delle infezioni protesiche
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¶ Antibioticoprofilassi delle malattie contagiose Antibioticoprofilassi delle meningiti Antibioticoprofilassi della scarlattina Antibioticoprofilassi della pertosse Antibioticoprofilassi della difterite Antibioticoprofilassi della tubercolosi Antibioticoprofilassi della peste Antibioticoprofilassi del colera
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¶ Antibioticoprofilassi delle infezioni recidivanti Antibioticoprofilassi dell’erisipela Antibioticoprofilassi dell’infezione del liquido ascitico Antibioticoprofilassi delle infezioni urinarie
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¶ Antibioticoprofilassi delle malattie da inoculazione
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¶ Antibioticoprofilassi dei pazienti immunodepressi Splenectomizzati, asplenia funzionale Infezioni nel paziente neutropenico
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¶ Profilassi antibiotica durante l’infezione da HIV
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¶ Conclusioni
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■ Introduzione L’antibioticoprofilassi si applica a numerose situazioni mediche e chirurgiche. Per far sì che l’indicazione sia riconosciuta e validata, deve avere un buon rapporto rischio/efficacia a livello individuale e costo-efficacia a livello collettivo. Sono affrontate in questo capitolo solo le indicazioni mediche.
■ Antibioticoprofilassi del reumatismo articolare acuto (RAA) L’antibioticoprofilassi primaria si basa sul trattamento delle tonsilliti microbiche e, più generalmente, delle infezioni Trattato di Medicina Akos
rinofaringee nel bambino oltre i 4 anni. Questa pratica è attualmente rimessa in discussione a causa della minore frequenza dello streptococco di gruppo A nelle tonsilliti e nelle infezioni rinofaringee, soprattutto nei paesi a bassa endemia e a causa del rischio di selezione di germi resistenti agli antibiotici utilizzati. Il trattamento di riferimento è la penicillina orale o penicillina V alla dose di 3 milioni di unità al giorno in 3 o 4 somministrazioni. Il successo del trattamento implica una compliance perfetta del trattamento durante 10 giorni. Quando l’osservanza del trattamento non è garantita, è opportuno privilegiare una penicillina retard per via intramuscolare. I macrolidi sono un’alternativa terapeutica in caso di allergia alla penicillina. La prevenzione secondaria delle recidive di RAA si basa sulla benzilpenicillina benzatina per via intramuscolare, somministrata ogni 3 settimane a una dose adattata in funzione del peso: 600 000 UI per un peso inferiore a 35 kg, 1,2 MUI per un peso da 35 a 65 kg e 2,4 MUI per un peso di oltre 65 kg. La durata dell’antibioticoprofilassi secondaria è di 5 anni almeno o fino all’età di 20 anni nei pazienti senza sequela di cardite; deve essere continuata fino a 40 anni nei pazienti con postumi di carditi.
■ Antibioticoprofilassi dell’endocardite infettiva Le raccomandazioni emesse dalla revisione della consensus conference del 1992 sono in favore di un’antibioticoprofilassi durante la realizzazione di procedure a rischio nei pazienti portatori di una cardiopatia a rischio osleriano e di una riduzione delle indicazioni alle sole situazioni in cui il rapporto beneficio individuale/rischio individuale e collettivo è più elevato [1]. Così, sono individuati due gruppi di pazienti: un gruppo ad alto rischio (A) e uno a rischio ridotto (B) (Tabella 1). Al di fuori di queste due situazioni, esistono condizioni in cui il rischio di endocardite infettiva è equivalente a quello della popolazione generale: comunicazione interatriale, stimolatori cardiaci, angioplastica coronarica con o senza posizionamento di endoprotesi, cardiomiopatia dilatativa senza insufficienza mitralica significativa, stenosi mitralica pura, insufficienza mitralica minima segnalata solo all’ecografia cardiaca.
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I – 5-0160 ¶ Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche
Tabella 1. Rischio di endocardite infettiva secondo la cardiopatia preesistente. Alto rischio: antibioticoprofilassi (ABP)
Rischio intermedio di endocardite batterica (EI): antibioticoprofilassi
Rischio debole o nullo: assenza di antibioticoprofilassi
Protesi valvolare
Insufficienza aortica (IA)
Stenosi mitralica (SM) pura
Antecedente di endocardite batterica
Stenosi aortica (SA)
Cardiopatia cianogena congenita
Malattie aortiche (IA+SA)
Prolasso valvolare mitralico a valvole sottili e senza soffio
Aorta bicuspide
Comunicazione interatriale (CIA)
Coartazione dell’aorta
Calcificazione dell’anello mitralico
Insufficienza mitralica (IM)
Cardiopatia ischemica ipertensiva o dilatativa (senza perdita)
Malattia mitralica (IM+SM)
Bypass aortocoronarico
Prolasso valvolare mitralico con soffio da IM e/o ispessimento valvolare
Portatori di stimolatore cardiaco o di defibrillatore impiantabile
Malattia degenerativa valvolare nei soggetti anziani Cardiopatia congenita non cianogena: dotto arterioso (DA), comunicazione interventricolare (DIV)
Placche di aterosclerosi
Cardiomiopatia ostruttiva Lesione intracardiaca chirurgicamente riparata con residue anomalie emodinamiche minime o nulle meno di 6 mesi dopo l’intervento
Tabella 2. Antibioticoprofilassi dell’endocardite infettiva in occasione di cure dentarie e procedure ORL ambulatoriali. Prodotto
Posologia e via di somministrazione
Assenza di allergia ai ß-lattamici
Amoxicillina
3 g per os
Allergie ai ß-lattamici
Clindamicina
600 mg per os
Pristinamicina
1 g per os
Unica assunzione nell’ora che precede la procedura
Tabella 3. Antibioticoprofilassi dell’endocardite infettiva nelle endoscopie e negli interventi urogenitali e digestivi. Prodotto Assenza di allergia ai ß-lattamici
Amoxicillina
Allergie ai ß-lattamici
Vancomicina o teicoplasmina+gentamicina
Posologia e via di somministrazione Unica assunzione nell’ora che precede la procedura
Assunzione 6 ore più tardi
2 g e.v. diretta o perfusione 30 min
1 g per os
V: 1 g perfusione 60 min
No seconda dose
T: 400 mg e.v. diretta
No seconda dose
G: 1,5 mg/kg perfusione 30 min o i.m.
No seconda dose
e.v.: endovena; i.m.: intramuscolare; V: vancomicina; T: teicoplasmina; G: gentamicina.
Le procedure a rischio sono rappresentate da: • procedure orodentarie con rischio di sanguinamento gengivale, compresa la detartrasi. In questo caso la prevenzione dell’endocardite infettiva passa innanzitutto attraverso le misure d’igiene locali: uso di antisettici a base di clorexidina in sciacqui 30 secondi prima della procedura. Se le cure richiedono diverse sedute, le si deve distanziare di almeno 10 giorni se si fa ricorso a un’antibioticoprofilassi; • procedure endoscopiche e urologiche: dilatazioni esofagee, terapia endoesofagea al laser, sclerosi di varici esofagee, colonscopia e rettosigmoidoscopia, colangiopancreatografia retrograda per via endoscopica (in caso di ostacolo biliare o di pseudocisti pancreatiche), manovre strumentali e biopsie in urologia (prostata e vie urinarie). Le modalità dell’antibioticoprofilassi sono riportate nelle Tabelle 2 e 3. L’antibioticoprofilassi è iniziata 1 ora prima della procedura a rischio: è somministrata per via orale nelle procedure orodentarie e delle vie aeree superiori eseguite in ambulatorio e per via parenterale quando si tratta di un intervento chirurgico o di una manovra endoscopica digestiva o urologica. I germi verso cui si indirizza l’antibioticoprofilassi sono gli streptococchi per le procedure della sfera ORL e orodentaria, sensibili all’amoxicillina sostituita con la pristinamicina o con la clindamicina in caso di allergia.
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Al contrario, durante manovre endoscopiche digestive o urologiche l’antibioticoprofilassi è rivolta contro gli enterococchi e i bacilli Gram negativi, sensibili all’associazione amoxicillina/ gentamicina o, in caso di allergia alle betalattamine, all’associazione vancomicina o teicoplanina e gentamicina.
■ Antibioticoprofilassi delle infezioni protesiche Non esiste alcuna raccomandazione in materia di prevenzione delle infezioni su protesi, in particolare articolare o vascolare. Tuttavia, il rischio di infezione dopo procedura endoscopica o cure dentarie è sottolineato da numerose osservazioni. Così, la buona pratica in caso di necessità di una procedura in questi pazienti consiste nel valutare il rischio d’infezione legato alla procedura e al terreno: diabete, immunodepressione, gravidanza. Sembra necessario, secondo alcuni autori [2] , consigliare un’antibioticoprofilassi secondo le stesse modalità delle endocarditi infettive nei portatori di protesi articolare e vascolare nei primi 12 mesi postoperatori in caso di cura dentaria che causi ferite gengivali o di endoscopia digestiva o urinaria. Il rischio di infezione su altri materiali impiantabili non è stato sufficientemente valutato per raccomandare un’antibioticoprofilassi. Trattato di Medicina Akos
Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche ¶ I – 5-0160
■ Antibioticoprofilassi delle malattie contagiose Antibioticoprofilassi delle meningiti È giustificata per la contagiosità delle meningiti purulente. Le meningiti imputabili a meningococco devono obbligatoriamente essere denunciate alla direzione dipartimentale dell’assistenza sanitaria e sociale (DDASS) e devono essere messe in atto varie misure per le persone vicine al paziente secondo la circolare della Direzione Generale della Sanità (DGS) dell’8 novembre del 2001 [NdR: in Francia]. La definizione dei soggetti che hanno avuto un contatto con un caso di meningite meningococcica e le indicazioni dell’antibioticoprofilassi sono riportate nella Tabella 4. La chemioprofilassi è somministrata nel tempo più breve, quando possibile nelle prime 24-48 ore dopo la diagnosi e, al più tardi, nei 10 giorni dopo l’ultimo contatto con il caso. Si fa ricorso alla rifampicina per via orale per 2 giorni alla dose di 600 mg, 2 volte al giorno per gli adulti, di 10 mg/kg 2 volte al giorno nel lattante e nel bambino da 1 anno a 15 anni e di 5 mg/kg 2 volte al giorno nel neonato di meno di 1 mese [3]. È importante avvertire ogni donna in età fertile della riduzione dell’efficacia dei contraccettivi orali in caso di assunzione di rifampicina e della necessità di ricorrere a una contraccezione di tipo meccanico. In caso di controindicazioni alla rifampicina, la spiramicina è l’alternativa terapeutica adottata, per via orale per 5 giorni alla dose di 3 MUI 2 volte al giorno nell’adulto e di 75 000 UI/kg 2 volte al giorno nel lattante e nel bambino. È ovviamente controindicata in caso di allergia. Fin dal momento
in cui viene isolato un sierotipo A, B, Y o W135 in un malato, è raccomandata una vaccinazione dei contatti, il più rapidamente possibile, con un ritardo massimo di 10 giorni dopo l’inizio del ricovero del caso, parallelamente alla chemioprofilassi. La vaccinazione è proposta solo ai seguenti soggetti contatti: • quelli appartenenti all’ambiente più vicino al paziente; • quelli che si trovano regolarmente e ripetutamente nella collettività frequentata dal malato nelle settimane che seguono l’ultimo contatto. Poiché lo pneumococco non presenta una trasmissione interumana, non vi sono raccomandazioni per un’antibioticoprofilassi nei familiari dei soggetti colpiti da meningite da pneumococco [3]. L’incidenza delle meningiti da Haemophilus influenzae (HI) è considerevolmente diminuita grazie al programma di vaccinazione obbligatoria dei bambini nel corso del primo anno di vita. Tuttavia, in caso di meningite da HI una chemioprofilassi è raccomandata in alcuni casi: famiglia del paziente, compresi gli adulti, in presenza di un bambino di meno di 3 anni non vaccinato che non sia il malato; i bambini e gli adulti di una collettività dove sono isolati più di due casi di meningite da HI. L’antibioticoprofilassi si basa sulla somministrazione di 20 mg/kg/die di rifampicina senza superare 600 mg/die, per 4 giorni.
Antibioticoprofilassi della scarlattina Si basa sulla penicillina orale (penicillina V) per 7 giorni o, in caso di allergia alle betalattamine, su un macrolide.
Tabella 4. Algoritmo decisionale per la somministrazione di una profilassi intorno a un caso di infezione invasiva da meningococco. Ambiente
Chemioprofilassi raccomandata
Chemioprofilassi non raccomandata
Familiare
Persone che vivono con il caso
Extrafamiliare
Amici intimi
Sport o attività collettive senza contatti fisici
Nido
Tutti i bambini e le persone della sezione
Personale e bambini delle sezioni che non hanno alcuna relazione con il caso
Centro di gioco
Amici intimi
Vicini di refettorio
Serate e pasti tra amici
Bambini che hanno condiviso le stesse attività Centri vacanza o simili
Persone che hanno dormito nella stessa stanza
Tutte le altre persone del centro o del campo
Amici intimi Asilo
Tutti i bambini e il personale della classe del caso Le classi che hanno avuto delle attività condivise
Scuola elementare
Vicini di classe
Altri alunni e insegnanti Bambini che hanno condiviso con altri il cortile per la ricreazione Allievi della classe dei fratelli/sorelle Compagni di bus scolastico Vicini di refettorio
Scuola media inferiore e superiore
Vicini di classe
Altri alunni e insegnanti Compagni di bus scolastico Vicini di refettorio
Università Istituzione (pronto soccorso, ospedale ecc.)
Studenti e insegnanti Persone che hanno effettuato la respirazione bocca a bocca o un’intubazione endotracheale senza maschera di protezione
Gestione di un paziente
Tutte le altre persone dell’istituzione Tutte le altre persone dell’equipe ospedaliera Il personale di laboratorio di biologia
Luoghi pubblici (bar, ristorante, negozio)
I clienti e il personale presenti nello stesso tempo del caso
Viaggio in aereo, in autobus, in treno
Persone che occupano i due sedili direttamente vicini al caso per più di 8 ore
Persone che hanno occupato i sedili situati a distanza dal caso anche se la durata supera 8 ore
Persone che vivono in un istituto
Persone che dividono la stessa stanza
Ogni altra persona dell’istituzione
Trattato di Medicina Akos
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I – 5-0160 ¶ Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche
Antibioticoprofilassi della pertosse [4,
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Il trattamento profilattico permette di prevenire la malattia appena all’inizio dell’incubazione. Tuttavia, la difficoltà della diagnosi precoce dell’infezione, il costo elevato dei farmaci e il rischio di veder comparire una resistenza agli antibiotici fanno sì che il trattamento profilattico sia confinato ad alcuni casi individuali accuratamente scelti: lattanti e donne gravide nelle ultime 3 settimane di gravidanza, per il rischio di trasmissione al neonato, e i membri dello stesso focolaio, in particolare se questo accoglie lattanti e donne incinte. Per i bambini la profilassi riguarda essenzialmente quelli che non hanno ricevuto la vaccinazione e che si trovano in stretto contatto con il soggetto malato. In Canada gli antibiotici raccomandati sono l’eritromicina, la claritromicina o l’azitromicina. Nel Regno Unito la chemioprofilassi con l’eritromicina è riservata ai bambini: le raccomandazioni inglesi specificano che non viene ottenuto alcun beneficio quando l’antibiotico è iniziato oltre 21 giorni dopo la diagnosi del primo caso di pertosse. Negli adulti la posologia e la durata ottimali della profilassi sono mal definite. Si ricorda la dose di 2 g/die in 3 o in 4 somministrazioni per 14 giorni, anche se gli effetti secondari dell’eritromicina ne riducono l’osservanza. L’azitromicina rappresenta un’alternativa terapeutica con un’azione superiore grazie alla sua concentrazione elevata nelle secrezioni respiratorie. La durata del trattamento è più breve, nell’ordine di 5-7 giorni con una compliance dell’82% a causa della sua minore tossicità digestiva. In caso di allergia ai macrolidi l’antibiotico raccomandato è il sulfametossazolo-trimetoprim. Nei paesi dove il vaccino contro la pertosse è diffuso, la prevenzione riguarda solo i soggetti non vaccinati o incompletamente vaccinati o in contatto con bambini vulnerabili. I soggetti contagiati non sono più contagiosi dopo 5 giorni di antibioticoterapia o 21 giorni dopo l’inizio della tosse in assenza di trattamento. La vaccinazione resta il metodo più razionale di lotta contro la pertosse, realizzata con cellule intere o con un vaccino acellulare.
Antibioticoprofilassi della difterite Non appena si sospetta un caso di difterite, è necessario prevenire la comparsa dei casi secondari e individuare i portatori asintomatici che possono trasmettere il batterio. I soggetti a rischio di contaminazione sono quelli presenti in contatto ravvicinato con il malato nei 7 giorni che precedono la diagnosi di un’infezione da Clostridium diphteriae tossinogenico. Tutti i contatti la cui vaccinazione risale a più di 5 anni devono ricevere una vaccinazione. Devono anche essere sottoposti a un prelievo faringeo e a una sorveglianza per 7 giorni. Tutti i contatti devono essere sottoposti a una profilassi con penicillina benzatina alla dose di 1,2 MUI (600 000 UI per i bambini di meno di 6 anni) somministrata per via intramuscolare. Se la coltura del prelievo faringeo è positiva, viene quindi iniziata una terapia antibiotica curativa. Anche i portatori asintomatici sono trattati e controllati batteriologicamente dopo il trattamento. L’eritromicina è somministrata in caso di allergia alle betalattamine, alla dose di 40-50 mg/kg/die per 7-14 giorni.
Antibioticoprofilassi della tubercolosi [6] La diagnosi dei soggetti che hanno avuto contatti con un caso di tubercolosi bacillifera è un elemento fondamentale nella lotta contro la tubercolosi, priorità raccomandata dalla circolare del 4 maggio del 1995 per l’insieme dei servizi dipartimentali. L’accesso allo screening passa attraverso l’eliminazione dell’anonimato della denuncia obbligatoria. Le persone in stretto contatto con un caso di tubercolosi bacillifera hanno un rischio di incidenza di tubercolosi 60 volte più elevato rispetto all’incidenza nazionale. Così sono considerati a rischio elevato di contagio i bambini di meno di 5 anni, gli adolescenti, i soggetti immunodepressi per un trattamento immunosoppressivo o per un’infezione da HIV, in particolare se il tasso di linfociti T CD4+ è diminuito. Lo screening dei soggetti che hanno avuto dei contatti avviene in cerchi concentrici, dal contatto più stretto al contatto più occasionale. Il primo strumento di
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screening è l’intradermoreazione (IDR) alla tubercolina i cui risultati possono essere i seguenti: • IDR negativa: bisogna allora ripeterla 2 mesi dopo; • IDR positiva: se il diametro dell’indurimento è superiore a 10 mm, viene proposta la chemioprofilassi in presenza di un contatto stretto, di una forte contagiosità del caso indice o di un soggetto vulnerabile. Nel bambino vaccinato è richiesto un diametro superiore o uguale a 15 mm per iniziare un trattamento profilattico. Al contrario, la IDR è considerata positiva a partire da 5 mm nel soggetto affetto da HIV; la sua interpretazione varia in funzione del tasso di CD4: se il loro tasso è superiore a 500/ mm3 si applicano gli stessi criteri di positività che per i soggetti immunocompetenti la cui vaccinazione con BCG risale a meno di 15 anni. Se il tasso di CD4 è inferiore a 200/mm3, l’infezione è possibile anche se l’IDR è inferiore a 5 mm. Il termine di «chemioprofilassi» è improprio nel bambino, perché in quest’ultimo un’infezione primaria tubercolare, anche se è latente, rappresenta una vera infezione malgrado guarisca spontaneamente in un numero non trascurabile di casi. La profilassi si basa sulla sola isoniazide (INH) alla dose di 5-10 mg/kg/die, 30 minuti prima di colazione. Questo trattamento è raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Accademia americana di pediatria per un periodo di 6 mesi e di 9 mesi rispettivamente. Permette di evitare il passaggio alla malattia tubercolare in più dell’80% dei casi. In Francia e in altri paesi europei viene utilizzata l’associazione isoniazide-rifampicina, benché non sia stata valutata. Questa associazione ha l’obiettivo di evitare le forme gravi di tubercolosi, le resistenze primarie all’isoniazide e secondarie alla rifampicina. Le raccomandazioni della Société de Pathologie Infectieuse de Langue Française (SPILF) sono di usare sistematicamente una biterapia INH-rifampicina nel bambino di meno di 3 anni. La durata del trattamento non è oggetto di un consenso. La British Thoracic Society propone una durata di 3 mesi in caso di biterapia e di 6 mesi in caso di monoterapia.
Antibioticoprofilassi della peste Le persone in stretto contatto con pazienti affetti da peste polmonare o che hanno potuto essere esposte a pulci infettate da Yersinia pestis, o essere in contatto diretto con liquidi corporei o tessuti contaminati o, ancora, essere esposte ad altri prodotti conosciuti come infettivi, devono ricevere una terapia antibiotica a titolo preventivo se il contatto ha avuto luogo nei 6 giorni precedenti. Si utilizzano di preferenza la tetraciclina, la dossiciclina o il trimetoprim-sulfametossazolo. La notifica presso l’OMS è obbligatoria nelle 24 ore per tutti i casi sospetti e confermati.
Antibioticoprofilassi del colera [7] La prevenzione del colera fa ricorso alle misure di igiene e di risanamento rappresentate dalla fornitura di acqua sana, dalla salubrità dei cibi e dall’eliminazione senza rischio degli escrementi. L’antibioticoprofilassi non ha un suo ruolo in questa infezione a causa della comparsa di ceppi batterici resistenti e del rischio di pressione di selezione che essa genererebbe.
■ Antibioticoprofilassi delle infezioni recidivanti Antibioticoprofilassi dell’erisipela [8] Quasi un quarto delle erisipele è in realtà una recidiva che colpisce quasi esclusivamente le gambe. I fattori incriminati che derivano dallo studio di grandi casistiche sono: • fattori generali come l’alcolismo complicato da cirrosi accertata, associato a una desocializzazione, il diabete, l’obesità, precedenti di immunodepressione (disglobulinemia, emopatie, corticoterapia locale o generale); • fattori locoregionali: la localizzazione più frequente è a livello degli arti inferiori, le altre localizzazioni sono eccezionali. Trattato di Medicina Akos
Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche ¶ I – 5-0160
La localizzazione preferenziale agli arti inferiori si spiegherebbe con il fatto che essi sono spesso sede di una porta di ingresso, di un interessamento vascolare o di edema. Il ruolo della trombosi venosa profonda resta discusso. La prevenzione secondaria delle recidive di erisipela è generalmente ammessa e si basa in primo luogo sul trattamento idoneo dell’episodio iniziale. In effetti, un trattamento insufficiente, in particolare in durata, è un fattore di recidiva identificato nel 65% dei pazienti, soprattutto quando è associata una prescrizione di antinfiammatori non steroidei. La gestione dei fattori favorenti occupa un ruolo fondamentale, in particolare delle patologie vascolari periferiche, dell’edema e della stasi venosa. La parte essenziale della prevenzione secondaria si basa sull’antibioticoterapia a lungo corso, che sembra efficace e ben tollerata. Possono essere proposte due famiglie di antibiotici: la penicillina (fenoximetilpenicillina) per via orale in 2 somministrazioni giornaliere (1-2 g 2 volte al giorno) o la benzatina penicillina per via intramuscolare alla dose di 2,4 MUI/3 settimane o un macrolide (eritromicina) per via orale 250-500 mg 2 volte al giorno. La durata del trattamento è arbitraria: nella maggior parte degli studi l’effetto della prevenzione sembra sospensivo e le recidive compaiono dopo l’interruzione dell’antibioticoprofilassi. Riguardo ai soggetti con un basso tasso di recidive, il trattamento delle porte di ingresso e il controllo dei fattori predisponenti sembrano sufficienti. Il vantaggio di una profilassi primaria dell’erisipela non è stabilito salvo, forse, in alcuni casi particolari: chirurgia protesica articolare, safenectomia, irradiazione e/o linfadenectomia.
Antibioticoprofilassi dell’infezione del liquido ascitico [9] L’infezione del liquido ascitico è una complicanza frequente e grave nei pazienti affetti da cirrosi. Insorge nell’8-25% dei pazienti ricoverati. La gravità della prognosi a distanza e la frequenza delle recidive devono far prendere in considerazione un trattamento profilattico. La conoscenza dei meccanismi patogenetici dell’infezione del liquido ascitico e delle specie batteriche di solito responsabili permette di prendere in considerazione una profilassi. Il meccanismo più frequentemente evocato è una traslocazione batterica di origine intestinale attraverso la parete digestiva nei dotti e nei linfonodi mesenterici, quindi il passaggio di questi batteri nella corrente sanguigna con colonizzazione secondaria dell’ascite. Questa traslocazione interessa soprattutto i bacilli Gram negativi e può essere favorita da uno shock emorragico, da una lesione parietale o da uno stato di denutrizione. Diversi studi realizzati hanno potuto identificare alcuni fattori legati a un alto rischio di infezione del liquido ascitico: i pazienti cirrotici ricoverati per emorragia digestiva, la comparsa di un primo episodio di infezione del liquido ascitico, una concentrazione di protidi nel liquido inferiore a 10 g/l, una concentrazione di bilirubina plasmatica superiore a 43 µmol/l, e, in linea generale, quando la funzione epatica è alterata. La profilassi delle infezioni del liquido ascitico interessa due tipi di pazienti: i pazienti guariti da un primo episodio infettivo, nei quali il rischio di recidiva è del 70% (profilassi secondaria) e i malati che non hanno mai avuto un’infezione del liquido ascitico, ma portatori di fattori di rischio per la sua insorgenza (profilassi primaria). L’assunzione quotidiana di 400 mg di norfloxacina è il trattamento meglio validato, tuttavia l’uso di trimetoprim-sulfametossazolo (800/ 160 mg) 5 giorni alla settimana o di 750 mg di ciprofloxacina 1 volta a settimana è stato valutato da alcuni studi.
Antibioticoprofilassi delle infezioni urinarie [10, 11] Le infezioni delle vie urinarie fanno parte delle infezioni batteriche più frequenti. La prevalenza della batteriuria aumenta Trattato di Medicina Akos
con l’età per raggiungere il 10-15% nella donna di 65-70 anni e il 15-20% nella donna oltre gli 80 anni. Si stima che circa un terzo delle donne vada incontro almeno a un’infezione urinaria nel corso della vita, richiedendo una terapia antibiotica. Si parla di «cistite recidivante» nella donna a partire da quattro recidive o in caso di ricomparsa dell’episodio infettivo in un arco di tempo inferiore ai 3 mesi. La frequenza delle recidive è stimata pari al 25-35% ogni 3-6 mesi. In pediatria l’infezione urinaria è anche una delle infezioni più frequenti, spesso associata a un’anomalia funzionale o anatomica delle vie urinarie, la più frequente delle quali è il reflusso vescica-uretero-renale. La frequenza delle recidive delle infezioni urinarie nella donna e nei bambini rende lecito il ricorso a un’antibioticoprofilassi. I meccanismi d’azione degli antibiotici utilizzati a titolo preventivo sono ancora poco conosciuti, ma si ritiene che agiscano attraverso il loro potere battericida e probabilmente a concentrazioni molto basse, per inibizione dell’adesione batterica all’epitelio urinario. Gli antibiotici utilizzati devono rispondere ad alcuni criteri: devono essere somministrati per via orale, essere eliminati nelle urine in forma attiva, devono essere attivi sulla maggioranza dei germi uropatogeni, essere ben tollerati, diversi dagli antibiotici impiegati nel trattamento e non devono provocare la comparsa di ceppi resistenti. I principali antibiotici utilizzati sono il trimetoprim-sulfametossazolo, la nitrofurantoina, la cefalexina, l’acido nalidixico e il pivmecillinam. L’antibiotico è somministrato la sera prima di coricarsi, quotidianamente o 2 o 3 volte a settimana, a una dose uguale a un quarto o alla metà della dose curativa. La durata del trattamento è di diversi mesi in continuo (minimo 6 mesi) tenendo presente che le recidive sono frequenti alla sua sospensione. L’antisepsi urinaria ha un suo ruolo nella bambina che presenta delle infezioni urinarie basse recidivanti e nella prevenzione delle infezioni della parte alta dell’apparato urinario nei pazienti che presentano un reflusso vescico-ureterale o un’anomalia ostruttiva delle vie urinarie. Una nuova strategia terapeutica è stata valutata da uno studio pilota su 40 donne che avevano almeno tre recidive annuali di cistite batterica. Ha valutato il vantaggio dell’instillazione intravescicale di acido ialuronico nella prevenzione delle recidive senza il ricorso a un’antibioticoprofilassi. Anche se i primi risultati sembrano interessanti, è necessario uno studio randomizzato per validare questa pratica. Studi recenti hanno dimostrato l’interesse del mirtillo palustre nel prevenire le cistiti recidivanti nelle donne sessualmente attive [12, 13]. Questa pianta contiene due composti che inibiscono l’adesione delle fimbrie di E. coli all’urotelio vescicale. L’assunzione deve aver luogo nelle 6 ore che seguono il rapporto sessuale. I dati attuali restano limitati a causa dell’eterogeneità delle forme galeniche utilizzate nei diversi studi (succo, capsule, perle...). Inoltre, in caso di somministrazione sotto forma di succo la quantità minima da assorbire è di 250 ml, il che rappresenta un apporto calorico non trascurabile.
■ Antibioticoprofilassi delle malattie da inoculazione Dopo il morso o graffio, di gatto, di cane o di uomo, non è raccomandata un’antibioticoprofilassi in caso di ferita minima osservata vista precocemente (nelle prime 6-9 ore). Essa deve, al contrario, essere proposta in caso di maggiore ritardo o di ferita devitalizzata, edematosa, in sede particolare (volto, mano, area genitale, in caso di lesione ossea o articolare o di prossimità di materiale protesico) o su terreno immunodepresso. Gli agenti eziologici da sospettare sono Pasteurella multocida, Staphylococcus aureus, Bacteroides spp., Capnocytophaga. In prima intenzione l’antibioticoprofilassi deve essere l’associazione amoxicillina-acido clavulanico, 1 g×3/die per 10 giorni [14, 15]. In caso di ferita cutanea l’antibioticoprofilassi deve essere determinata secondo la situazione clinica e l’orientamento eziologico.
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I – 5-0160 ¶ Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche
Se la ferita è netta, senza segni infettivi né fattore di rischio infettivo, non è raccomandata alcuna antibioticoprofilassi. In caso di ferita fortemente contaminata e senza segni infettivi conclamati, deve essere raccomandata una profilassi con penicillina M a scopo antistafilococcico e antistreptococcico. L’alternativa è la pristinamicina. In caso di frattura esposta o di esposizione articolare e tendinea l’antibioticoprofilassi raccomandata è una cefalosporina di seconda generazione o la clindamicina. In caso di terreno ischemico locale, di diabete o di contaminazione tellurica o da escrementi, l’antibioticoprofilassi di prima scelta è l’associazione amoxicillina-acido clavulanico, mentre l’alternativa è rappresentata dall’associazione cefalosporina di seconda generazione e metronidazolo. La durata dell’antibioticoprofilassi dipende dalla condizione clinica, ma si deve notare che gli schemi di breve durata di somministrazione (3-5 giorni) non sono stati validati [16]. In ogni caso di morso e di ferita devono essere praticate la valutazione e la profilassi, in caso di necessità, del rischio tetanico, rabico e di contaminazione HIV. Dopo puntura di zecca l’antibioticoprofilassi sistematica non è raccomandata. Il rischio principale è quello di trasmissione di Borrelia burgdorferi, agente della malattia di Lyme. Esso dipende dal tasso di infestazione delle zecche e dal loro tempo di attaccamento alla cute ed è elevato fin dalla 48 a ora. La prevenzione secondaria si basa soprattutto sull’individuazione e sulla rimozione rapida di una o più zecche dopo esposizione. Questo si deve fare con tecnica meccanica, evitando le sostanze chimiche (alcol, etere). La protezione primaria dalla malattia di Lyme si basa su una protezione meccanica in zona di endemia (uso di indumenti protettivi lunghi e chiusi), nonché sull’uso di repellenti cutanei, a eccezione del bambino al di sotto dei 30 mesi. Nella donna in gravidanza, è utilizzabile solo l’IR 35/35. In zona di endemia l’antibioticoprofilassi è discussa caso per caso. Le situazioni ad alto rischio di contaminazione sono: punture multiple, lunga durata dell’attaccamento, forte tasso di infestazione noto; in questi casi, la profilassi può avvenire con doxiciclina orale in monodose (200 mg) o amoxicillina orale (3 g/die per 10-14 giorni). In caso di gravidanza non vi sono raccomandazioni specifiche, a causa dell’assenza di dimostrazione formale di un rischio di infezione o di malformazione fetale. L’amoxicillina (3 g/die per 10 giorni) deve essere utilizzata se è presa in considerazione un’antibioticoprofilassi. Nel bambino di età inferiore agli 8 anni vi sono raccomandazioni specifiche. L’amoxicillina (3 g/die per 10 die) deve essere utilizzata se si decide un’antibioticoprofilassi. Nel paziente immunodepresso si può usare la doxiciclina (200 mg monodose) o l’amoxicilllina (3 g/die per 10 a 21 giorni) a seconda del tipo e della profondità dell’immunodepressione, senza formale raccomandazione [17].
■ Antibioticoprofilassi dei pazienti immunodepressi Splenectomizzati, asplenia funzionale [18-20] Il numero di pazienti asplenici in Francia è considerevole. In effetti, 6 000-9 000 pazienti sono splenectomizzati ogni anno e il numero di persone che hanno un’asplenia funzionale non è trascurabile (esistono circa 5 000 drepanocitari in Francia e nei DOM-TOM). La prevenzione delle infezioni nell’asplenico è una sfida importante, sia in termini di rischio vitale per il paziente sia di salute pubblica, al fine di evitare ricoveri inutili. L’asplenico è esposto a diversi tipi di germi, al primo posto dei quali lo pneumococco (S. pneumoniae), ma anche il meningococco (N. meningitidis) o Haemophilus influenzae. Questo rischio infettivo è importante e può essere aumentato dall’associazione con altri fattori di rischio, come un deficit immunitario (congenito o acquisito) o una patologia evolutiva. Questo rischio giustifica quindi pienamente l’indicazione all’antibioticoprofilassi antinfettiva, nel bambino come nell’adulto. Quest’ultima si può definire come segue.
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Profilassi primaria Vaccinazione: questa inizia anche prima della splenectomia, idealmente nei 15 giorni che precedono l’intervento. In caso di splenectomia d’urgenza (traumatizzati), essa è da praticare negli immediati postumi dell’intervento. Si compone di vaccino pneumococcico a 23 valenze antipneumococciche. Benché non esista alcun solido consenso, il vaccino antimeningococcico A e C e anti-Haemophilus è raccomandato. La vaccinazione antipneumococcica deve essere ripetuta ogni 5 anni. Nel bambino drepanocitico il vaccino eptavalente è consigliato prima dell’età di 2 anni. Il vaccino meningococcico è consigliato a partire dall’età di 2 mesi (vaccino antimeningococco C coniugato tra 2 mesi e 2 anni; oltre questo periodo, vaccino pneumococcico A+C+Y+W135 o poliosidico A+C). Antibioticoprofilassi orale: ha lo scopo di evitare le sepsi legate ai germi sopra citati. Si deve notare che nessuna vaccinazione dispensa dall’antibioticoprofilassi. Nell’adulto splenectomizzato si basa classicamente sull’uso di penicillina V alla dose di 1 MU 2 volte al giorno. La durata di questa antibioticoprofilassi è di 2-3 anni. Nonostante la comparsa di ceppi di pneumococchi di sensibilità diminuita alla penicillina questa pratica sembra sempre efficace e non è rimessa in causa. Nei bambini drepanocitici omozigoti SS la profilassi con penicillina V è raccomandata a partire dall’età di 2 mesi fino ad almeno 5 anni (l’età di sospensione non è definita), alla dose di 100 000 UI/kg/die fino a 10 kg, quindi 50 000 UI/kg/die di 10-40 kg, in 2 somministrazioni al giorno. Si deve notare che, nonostante l’assenza di dati formali in letteratura, l’antibioticoprofilassi potrebbe essere raccomandata per gli eterozigoti duplici SC e Sb talassemici.
Programma di gestione dell’asplenico Oltre alla vaccinazione e all’antibioticoprofilassi ogni asplenico (operato o funzionale) deve: • essere informato ed educato sui rischi infettivi che corre e sui primi segni di infezione, in modo da reagire rapidamente per ricorrere alle cure più adatte; • conoscere le situazioni a rischio infettivo legate alla sua situazione; • essere titolare di una certificazione che menzioni la patologia presentata; • essere aggiornato sulle vaccinazioni raccomandate (e obbligatorie); • conoscere l’importanza dell’antibioticoprofilassi e la necessità di non interromperla senza il parere del medico referente.
Durata dell’antibioticoprofilassi Non è ben definita. Nel bambino drepanocitico omozigote viene raccomandata fino all’età di almeno 5 anni. Nell’adulto splenectomizzato la raccomandazione ufficiale è quella di mantenere l’antibioticoprofilassi orale per 2-3 anni dopo la chirurgia. Nei casi di iposplenismo a esordio progressivo, l’adattamento si deve fare caso per caso, a seconda della persistenza di segni di iposplenismo (corpi di Jolly, iperpiastrinemia). In tutti i casi è opportuno ricordare che, in caso di febbre che compaia dopo la sospensione dell’antibioticoprofilassi, l’antibioticoterapia probabilista deve essere battericida sul pneumococco.
Infezioni nel paziente neutropenico La gestione della prevenzione e della terapia delle infezioni nei pazienti neutropenici si è notevolmente evoluta in questi ultimi anni. La principale causa di neutropenia riscontrata è la neutropenia postchemioterapia nel quadro delle emopatie maligne, come dei tumori solidi. Essa viene definita da un tasso di polimorfonucleati neutrofili (PMN) <500/mm3, e una delle caratteristiche è l’incapacità di costituire un focolaio infettivo identificabile. La situazione più frequente è quindi quella di febbre nuda. Conviene tuttavia ricercare tutte le potenziali porte d’ingresso infettive (senza dimenticare le sedi impiantabili), al Trattato di Medicina Akos
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fine di adattare il trattamento antinfettivo. Storicamente, i germi riscontrati in condizioni di neutropenia febbrile sono i bacilli Gram negativi, come Escherichia coli, Klebsiella species e Pseudomonas aeruginosa. Le infezioni da cocchi Gram positivi sono tuttavia sempre più importanti, legate tra l’altro all’emergenza di batteri a causa dell’utilizzo diffuso di betalattamine a largo spettro. Le infezioni da anaerobi riguardano meno del 5% dei pazienti in neutropenia febbrile. Infine, sono anche da prendere in considerazione le infezioni fungine nei pazienti in neutropenia persistente, con febbre resistente agli antibiotici consueti, ma la gestione di queste infezioni non riguarda questa rassegna. La gravità delle infezioni su questo terreno è legata a diversi fattori: ritardo della diagnosi (favorito dall’assenza di segni di orientamento verso un sito infettivo), ritardo nell’inizio del trattamento, terreno debilitato sottostante, profondità della neutropenia, durata della neutropenia... Negli anni Sessanta le batteriemie erano legate essenzialmente allo P. aeruginosa e ad altri bacilli Gram negativi e associate a forti tassi di mortalità (>50% in assenza di trattamento). Da tali costatazioni è nato il concetto di «trattamento empirico» [21-23].
Concetto di trattamento empirico e determinazione del rischio Deve essere iniziato rapidamente (idealmente nelle 4-8 ore dopo l’inizio della febbre), mirando alla copertura più ampia possibile, che deve essere battericida contro il bacillo piocianeo e adeguata quanto possibile alle comorbilità (insufficienza renale/epatica). Il germe è riscontrato nelle emocolture solo in un terzo dei casi, permettendo, talvolta, di adattare l’antibioticoterapia. Anche la scelta della condotta del trattamento (per via endovenosa od orale, in ambito ospedaliero o ambulatoriale) è progredita molto durante questi ultimi anni. Sempre più, il trattamento empirico della neutropenia febbrile si può svolgere a domicilio, secondo certe regole ben definite che comprendono in particolare la definizione del rischio globale per il paziente. La Multinational Association of Supportive Care in Cancer (MASCC) ha stabilito, per esempio, un indice «predittivo» del tasso di complicanze dei pazienti in neutropenia febbrile: • età <60 anni: 2 punti; • paziente ambulatoriale all’esordio della febbre: 3 punti; • assenza di disidratazione: 3 punti; • tumore solido o assenza di infezione fungina: 4 punti; • assenza di una patologia polmonare ostruttiva: 4 punti; • assenza di ipotensione: 5 punti; • sintomatologia: C nessuna: 5 punti; C scarsa: 5 punti; C pronunciata: 3 punti. Un punteggio superiore o uguale a 21 identifica i pazienti a «basso rischio», con <5% di rischio predittivo di complicanze, per i quali può essere proposto un trattamento ambulatoriale [23-26]. Beninteso, questo indice è fornito solo a titolo d’esempio e non può servire come raccomandazione ufficiale, in particolare per i pazienti francesi. È opportuno, per proporre un trattamento ambulatoriale, basarsi sul buon senso clinico del medico responsabile e sulla comprensione da parte del paziente della condotta da tenere in caso di febbre e dei possibili rischi.
Scelta della terapia antibiotica La scelta del tipo di terapia antibiotica non è oggetto di consenso ed è variabile secondo i paesi e secondo la popolazione microbiologica e i profili di resistenza riscontrati nell’ambiente del paziente. Come abbiamo detto prima, la copertura deve tuttavia essere ampia, essenzialmente sui bacilli Gram negativi, tra cui il piocianeo. Possono essere proposte diverse strategie. In ambito ospedaliero terapia interamente endovenosa o inizialmente endovenosa, quindi via orale. Riguarda essenzialmente i pazienti ad «alto» rischio di complicanze. Trattato di Medicina Akos
Di solito, si tratta di una doppia terapia antibiotica che associa una betalattamina ad ampio spettro (cefalosporina di terza generazione o associazione piperacillina/tazobactam) e un aminoglicoside. Il vantaggio è la rapidità d’azione e l’ampiezza dello spettro, ma questa scelta è gravata da effetti secondari (in particolare nefro- e ototossicità degli aminoglicosidi, che può far proporre la loro sostituzione con fluorochinoloni ad attività antipiocianea [ciprofloxacina]). Si deve notare che alcuni studi recenti tendono a dimostrare l’assenza di superiorità di queste associazioni rispetto a delle monoterapie ampie ben condotte (piperacillina/tazobactam o imipenem), ma il follow-up non è sufficiente per proporre questa in prima intenzione. Il vantaggio è un miglior controllo in ambito medicalizzato dello stato settico, così come la possibilità di prelievi colturali per adattare secondariamente il trattamento al germe eventualmente individuato. Infine, esiste la possibilità di una sostituzione rapida per via orale, adattata all’antibiogramma, che permette un ritorno a casa in condizioni ottimali. La questione dell’aggiunta fin dall’inizio di un glicopeptide (vancomicina) alla terapia empirica è ampiamente dibattuta a causa della frequenza crescente di infezioni da Gram positivi. Gli studi hanno tuttavia dimostrato l’assenza di un beneficio, soprattutto in caso di utilizzazione di antibioticoterapie ampie ad attività anti-Gram positivi (imipenem, piperacillina/ tazobactam). L’utilizzo della vancomicina è dunque raccomandato in seconda intenzione, in caso di prova batteriologica o di resistenza al trattamento iniziale [23, 27]. Ambulatorialmente si tratta di un’antibioticoterapia orale, iniziata dal paziente fin dalla comparsa dei sintomi. Questo riguarda quindi i pazienti a «debole» rischio, che hanno una buona comprensione della situazione. Molti studi e metaanalisi hanno dimostrato l’assenza di superiorità del metodo endovenoso rispetto alla via orale. Il trattamento di elezione sembra essere l’associazione amoxicillina/acido clavulanico e ciprofloxacina. Oltre alla scarsa tolleranza, in particolare digestiva, dei trattamenti, il rischio risiede in particolare nella comparsa di uno shock settico lontano da una struttura ospedaliera [28, 29]. Diverse equipe valutano attualmente la scelta di monoterapie orali a domicilio (levofloxacina), ma, ancora una volta, ciò non potrebbe essere raccomandato ad oggi.
Durata del trattamento Tipicamente, la terapia antibiotica iniziata deve essere proseguita fino alla scomparsa dei sintomi e alla negativizzazione delle colture. Tuttavia, occorre ricordare la bassa frequenza di identificazione batterica e la povertà dei segni clinici nei pazienti neutropenici. Benché un minimo di 7 giorni sembri essere la condotta adeguata, una durata totale di 10-15 giorni è spesso realizzata in pratica, in particolare nei pazienti ambulatoriali [23]. In caso di persistenza della febbre si devono tenere a mente due situazioni che permettono di adattare la terapia: • possibilità di un germe Gram positivo, resistente alla terapia antibiotica iniziata; • possibilità di un’infezione fungina, in particolare in caso di neutropenia persistente. Infine, la terapia antibiotica deve essere, se possibile, adeguata ai prelievi batteriologici, quando questi risultano positivi.
Discussione I vantaggi della terapia empirica ambulatoriale rispetto al trattamento ospedaliero sono essenzialmente rappresentati da una possibilità di gestione integralmente al di fuori dell’ambiente ospedaliero e, soprattutto, da una riduzione del costo. Gli svantaggi sono principalmente legati ai rischi: di trattamento non adeguato, di peggioramento al di fuori di un ambiente medicalizzato, di intolleranza alla via orale... Sono tuttavia nettamente ridotti con un’informazione e con un’educazione adeguata del paziente. Questa è di fondamentale importanza e si deve integrare nella gestione medica. In caso di scelta di una terapia ambulatoriale, il paziente deve: • essere informato sui rischi cui va incontro;
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Tabella 5. Principali profilassi primarie nel caso di infezione da HIV. CD4
Patologia
<200 mm3
Pneumocistosi
Trimetoprim 80 mg+sulfametoxazolo 400 mg 1 cp/die
Prima scelta e alternativa Aerosol mensile di pentamidina (300 mg)
<100/mm3
Toxoplasmosi cerebrale
Trimetoprim 160 mg+sulfametoxazolo 800 mg 1 cp/die
Dapsone (50 mg/die)+pirimetamina (50 mg/settimana)+acido folinico (25 mg/die)
<75/mm3
Mycobacterium avium
Azitromicina 1 200 mg/settimana
HIV: virus dell’immunodeficienza umana.
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• possedere la prescrizione di un’antibioticoterapia empirica (il più delle volte, amoxicillina/acido clavulanico + ciprofloxacina, cfr. supra) e acquistare questi farmaci in previsione; • possedere un termometro e monitorare la temperatura quotidianamente; • iniziare il trattamento non appena compare la febbre; • avvertire il medico referente in caso di persistenza o di modificazione dei sintomi; • portare con sé una certificazione che menzioni i suoi precedenti, la malattia in corso, la terapia e le coordinate del medico referente in caso di necessità di gestione urgente. La gestione dell’infezione nel soggetto neutropenico rappresenta una situazione di urgenza, spesso difficile a causa della povertà dei segni clinici, e il trattamento costituisce un’interfaccia tra antibioticoterapia empirica e curativa fin dall’inizio. Il tipo di gestione si è molto evoluto in questi ultimi anni e si basa su una buona comprensione del rischio da parte del paziente e del medico responsabile. La scelta del trattamento in ambulatorio è guidata da un certo numero di principi, al primo posto dei quali si posiziona la logica medica del clinico.
Ruolo dei fattori di crescita emopoietici nel corso della neutropenia febbrile La questione del ricorso alle iniezioni di granulocytemacrophage colony stimulating factor (G-CSF) è spesso posta per accelerare la guarigione di un’infezione nel paziente neutropenico [30]. Se il loro ruolo benefico diviene sempre più ammesso nella profilassi della neutropenia febbrile, il loro utilizzo al momento dell’infezione non è attualmente raccomandato di routine [31], ma può essere discusso se la prevedibile evoluzione è sfavorevole (raccomandazioni IDSA 2002 e ASCO 2000 [32]).
reale alternativa innovativa in termini di profilassi delle infezioni batteriche, senza rischio di selezione di ceppi resistenti. .
■ Riferimenti bibliografici [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11]
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■ Profilassi antibiotica durante l’infezione da HIV Lo stato di immunodepressione acquisita nel corso dell’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è ampiamente conosciuto. Esso dà luogo alla comparsa di diversi tipi di infezioni, alcune delle quali sono definite «opportunistiche», dipendenti dal livello di deficit del sistema immunitario. La prevenzione primaria e secondaria di queste infezioni è oggetto di raccomandazioni regolari, che devono essere note ad ogni medico che assume in carico questi pazienti. Le ultime in senso cronologico sono riportate nel Rapporto Yeni 2006 [33], e sono riassunte nella Tabella 5.
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■ Conclusioni La nostra epoca è caratterizzata da un incitamento permanente alla riduzione del consumo degli antibiotici per limitare la comparsa di ceppi batterici resistenti, addirittura multiresistenti. In questo contesto, è importante limitare la prescrizione di un’antibioticoprofilassi alle strette indicazioni in cui questa ha dato prova della sua efficacia. La ricerca clinica dovrebbe intensificarsi intorno a composti non antibiotici, come il succo di mirtillo palustre o l’acido ialuronico, che rappresentano una
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S. Sahali. N. Noël. J. Ghosn (
[email protected]). Service de médecine interne et maladies infectieuses, Centre hospitalier universitaire de Bicêtre, 78, rue du Général-Leclerc, 94275 Le Kremlin-Bicêtre cedex, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Sahali S., Noël N., Ghosn J. Antibioticoprofilassi delle infezioni batteriche. EMC (Elsevier Masson SAS, Paris), Trattato di Medicina Akos, 5-0160, 2008.
Disponibile su www.em-consulte.com/it Algoritmi decisionali
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