Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache

Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache

 I – 43-037 Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache L. Chiche Questo articolo descrive gli aspetti tecnici del trattamento...

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Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache L. Chiche Questo articolo descrive gli aspetti tecnici del trattamento videoscopico delle lesioni occlusive aortoiliache. Esso affronta, dopo un preambolo storico, le nozioni concernenti l’installazione del paziente e le vie d’accesso videoscopiche all’aorta, comuni al trattamento delle lesioni aortiche occlusive o aneurismatiche. Sono, quindi, descritte le varie fasi della rivascolarizzazione, comprese l’introduzione e la stabilizzazione della protesi, seguite dalla realizzazione del clampaggio e dalla preparazione dell’anastomosi aortica prossimale. Sono, infine, affrontati i casi particolari posti dalla trombosi dell’aorta iuxtarenale, dall’ateroma protrusivo esuberante o dalla necessità di una rivascolarizzazione a partire dall’aorta toracica. Infine, prima di esporre i risultati e le indicazioni, descriviamo i principali incidenti incontrati durante questa chirurgia ritenuta difficile, che richiede in tutti i casi un addestramento rigoroso prima di poter essere proposta nella pratica clinica. © 2012 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.

Parole chiave: Lesioni occlusive aortoiliache; Chirurgia videoscopica; Bypass aortobifemorale; Vie d’accesso videoscopiche

 Introduzione

Struttura dell’articolo ■

Introduzione

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Storia e sviluppo della videochirurgia aortica

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Installazione del paziente

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Creazione dello pneumoperitoneo e introduzione dei trocar

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Vie d’accesso all’aorta addominale Via transperitoneale retrocolica sinistra Via transperitoneale retrorenale sinistra Via transperitoneale diretta Via retroperitoneale

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Introduzione della protesi e tunnellizzazione

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Clampaggio aortico e preparazione dell’anastomosi prossimale Anastomosi lateroterminale Anastomosi terminoterminale

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Anastomosi distali e fine della procedura

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Casi particolari Trombosi dell’aorta iuxtarenale Ateroma protrusivo esuberante Rivascolarizzazione a partire dall’aorta discendente o ascendente

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Incidenti e conversioni

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Risultati e indicazioni

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Conclusioni

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EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare Volume 17 > n◦ 2 > giugno 2012 http://dx.doi.org/10.1016/S1283-0801(12)62053-6

Da numerosi anni, i chirurghi vascolari manifestano un interesse continuo per un approccio meno invasivo nella loro specialità. Le difficoltà prevedibili in occasione del confezionamento di anastomosi di qualità su arterie patologiche e l’assenza di interventi tecnicamente semplici che permettano un approccio progressivo alla disciplina li hanno a lungo tenuti lontani dalle tecniche videoscopiche che gli altri specialisti hanno integrato precocemente nel loro arsenale terapeutico. Forti della loro esperienza di chirurgia generale videoscopica, Dion e Gracia [1] hanno impresso un nuovo impulso nel 1993 alla chirurgia vascolare pubblicando il primo caso di bypass aortobifemorale assistito per laparoscopia. Nel 1995, essi realizzavano il primo caso di bypass aortobifemorale totalmente laparoscopico [2] . Offrire ai pazienti una rivascolarizzazione altrettanto efficace a lungo termine di quelle eseguite per via convenzionale, al prezzo di un’invasività minima, ha da allora costituito una motivazione comune per i pionieri della chirurgia vascolare videoscopica [3–8] . Questo articolo è dedicato al trattamento videoscopico delle lesioni occlusive aortoiliache. Esso affronta, dopo un richiamo storico, le nozioni concernenti l’installazione del paziente e le vie d’accesso videoscopiche dell’aorta, comuni al trattamento delle lesioni aortiche occlusive o aneurismatiche. Sono, quindi, descritte le varie fasi della rivascolarizzazione. Sono, infine, affrontati i casi particolari posti dalla trombosi dell’aorta iuxtarenale,

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dall’ateroma protrusivo esuberante o dalla necessità di una rivascolarizzazione a partire dall’aorta toracica. Infine, descriviamo i principali incidenti incontrati durante questa chirurgia, i suoi risultati e le sue indicazioni. Tuttavia, la semplice lettura di questo articolo non basterebbe a permettere a un chirurgo, per quanto dotato, di non svolgere un addestramento specifico per pianificare questo tipo di intervento. La tecnicità gestuale richiesta per eseguire una ricostruzione aortoiliaca per via totalmente laparoscopica è infatti tale che nulla potrebbe esonerare da un congruo numero di sedute preliminari di dissecazioni cadaveriche videoscopiche e di realizzazioni di suture e anastomosi su pelvic trainer o su modelli animali.

 Storia e sviluppo della videochirurgia aortica La chirurgia vascolare videoscopica rimane, 15 anni dopo la sua nascita, una tecnica in via di sviluppo. Numerose equipe hanno contribuito alla messa a punto di manovre che permettono l’esposizione ottimale del campo operatorio e la realizzazione di anastomosi affidabili. Alcuni hanno limitato l’uso della videoscopia al tempo di dissecazione dell’aorta, realizzando delle anastomosi videoassistite attraverso una minilaparotomia, giudicata meno invasiva di una laparotomia o di una lombotomia [9–11] . La laparotomia ha anche potuto essere sfruttata per introdurre una mano dell’operatore attraverso un sistema a tenuta stagna, per facilitare l’esposizione, la dissecazione e, quindi, la preparazione delle anastomosi con strumenti convenzionali [12–21] . Le minilaparotomie sono, tuttavia, causa di sventramenti in più del 15% dei casi [22] e la loro innocuità cardiorespiratoria resta da dimostrare. Diverse evoluzioni tecniche hanno permesso di arrivare a una chirurgia totalmente laparoscopica delle lesioni aortoiliache. Nel 1997, dopo aver proposto un intervento sotto sospensione parietale senza pneumoperitoneo, Dion e Gracia [2] hanno descritto la tecnica del grembiule peritoneale (apron tecnique). Il peritoneo parietale era liberato dal bordo esterno del muscolo retto anteriore sinistro fino alla doccia parietocolica. Fissato alla parete addominale destra, questo grembiule peritoneale mirava a isolare il campo operatorio dai visceri addominali per affrontare l’aorta nel piano retroperitoneale e retroureterale sinistro. Nel 2003, Dion et al. [23] hanno proposto di associare questa tecnica a un accesso transperitoneale retrocolico sinistro, che offre un’esposizione aortica più soddisfacente e uno spazio di lavoro più ampio. Stadler et al. [24] hanno modificato questa tecnica confezionando il grembiule con l’ausilio del peritoneo del mesocolon sinistro piuttosto che del peritoneo parietale. Il loro scopo era quello di ridurre la durata di esposizione dell’aorta, di evitare la mobilizzazione del colon e dell’uretere sinistri e, soprattutto, di affrontare l’aorta per via transperitoneale diretta. Quest’ultimo accesso, destinato a riprodurre la condizione di solito riscontrata a cielo aperto, causa, tuttavia, innumerevoli difficoltà di esposizione legate all’invasione del campo operatorio da parte delle anse del tenue. Per risolvere questo problema, Barbera et al. [8] nel 1998, Alimi et al. [25] nel 2000 e Cau et al. [26] nel 2005 hanno messo a punto diversi modelli di divaricatori intestinali, come avevano proposto Said et al. [27] nel 1999 in uno studio autoptico e clinico degli accessi aortici transaddominali retroperitoneali ed extraperitoneali. Quest’ultimo studio mostrava che un accesso transperitoneale retrocolico realizzato su un paziente inclinato verso destra, con l’operatore posto alla sua sinistra, offriva uno spazio di lavoro più soddisfacente rispetto alle altre vie. Il mesocolon discendente, mantenuto come una tenda dal divaricatore intestinale, respingeva l’insieme della massa viscerale verso destra e, soprattutto, riduceva notevolmente i problemi legati all’intrusione di anse digestive nel campo operatorio. Nel 2002 [28] , Coggia ha messo a punto una tecnica di esposizione derivata in parte di quella di Said et al. [27] , che permette di mantenere semplicemente la massa viscerale fuori del campo operatorio aortico. Un’installazione del paziente in decubito laterale destro a 80◦ e l’utilizzo, a

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seconda dei casi, di un accesso transperitoneale, retrocolico sinistro, retrorenale sinistro o diretto o di un accesso retroperitoneale ci permettono attualmente, grazie a questa tecnica, di trattare la maggioranza delle lesioni aortoiliache occlusive o aneurismatiche. Malgrado i suoi progressi tecnici e una fattibilità accertata, la videochirurgia aortica conta sempre un numero ristretto di sostenitori. L’importanza dell’addestramento tecnico preclinico e l’esistenza di una curva di apprendimento ritenuta delicata, all’epoca dello sviluppo delle tecniche endovascolari, sono in gran parte responsabili di un deciso scoraggiamento. Motivato a sufficienza, ogni chirurgo vascolare può, tuttavia, allenarsi nel suo ambulatorio o a casa a realizzare delle anastomosi sotto videoscopia. L’installazione videoscopica tradizionale (ottica, telecamera, monitor, fonte luminosa) può vantaggiosamente essere sostituita dal sistema compatto Medipack® oppure da un semplice videoscopio. Sono necessari un porta-aghi, una pinza da presa e delle forbici. Un pelvic trainer in commercio o fabbricato artigianalmente, delle protesi e del filo monofilamento sono gli unici altri elementi indispensabili. Delle anastomosi lateroterminali e terminolaterali identiche a quelle che saranno eseguite in vivo devono essere realizzate quotidianamente per almeno 3 mesi prima di programmare un intervento. Questi esercizi devono essere completati da sedute didattiche di dissecazioni e di interventi su cadaveri o animali. Una volta iniziato il programma clinico, è indispensabile continuare tale addestramento per mantenere un buon livello di perizia in assenza di piccoli gesti da eseguire quotidianamente in un esercizio clinico abituale. In questo modo, la curva di apprendimento per una rivascolarizzazione aortobifemorale totalmente laparoscopica si avvicinerebbe a un numero di 25-30 procedure, sapendo che il numero di eventi gravi che si verificano durante questo periodo sembra fortunatamente molto limitato [29] .

 Installazione del paziente Il paziente è installato in decubito dorsale, idealmente su un cuscino riscaldante. Un cuscino gonfiabile (Pelvic-Tilt® ) è posizionato sotto la parte sinistra dell’addome (Fig. 1). La sua estremità inferiore deve essere situata a livello delle creste iliache e la sua parte non gonfiabile deve essere fissata al tavolo con un adesivo per evitare il suo spostamento laterale durante il suo gonfiaggio. Due appoggi sono situati a destra per mantenere il paziente, uno laterotoracico e l’altro laterocrurale. Questi appoggi sono protetti con placche di gel o teli americani per evitare la comparsa di escare al termine degli interventi, spesso lunghi all’inizio dell’esperienza. Per permettere un basculamento ottimale, è necessario posizionarli a circa 8 cm dal fianco destro del paziente. La gamba destra dei pazienti più pesanti è fissata per precauzione al tavolo con una benda adesiva, mentre ciò non è indispensabile nei malati meno corpulenti. Grazie a questa installazione, che il chirurgo deve assolutamente verificare personalmente prima del posizionamento dei teli, è possibile, combinando il gonfi aggio del cuscino con la rotazione massima del tavolo verso destra, far passare il paziente da un decubito dorsale assoluto a un decubito laterale destro inclinato a 80◦ . L’anestesista completa questa manovra facendo passare il braccio sinistro del paziente dal poggiabraccia verso il bordo destro del tavolo. La buona posizione della testa, eventualmente bloccata con delle traverse arrotolate una volta ottenuto il basculamento massimale, deve essere rigorosamente controllata dall’equipe anestesiologica. L’operatore si pone a destra del paziente, con il suo primo aiuto alla sua destra. Entrambi visualizzano il monitor posto sulla colonna di videoscopia, installata a sinistra e ai piedi del paziente (Fig. 2). L’insufflatore deve rimanere visibile per tutta la durata dell’intervento, perché l’operatore possa continuamente verificare la pressione intraddominale. L’aiuto dedicato all’ottica (assistente-videocamera) si pone a sinistra del paziente e utilizza nella configurazione ottimale un secondo monitor posto dietro all’operatore. Quando si ipotizza una via retroperitoneale, nei malati insufficienti respiratori cronici o che hanno un addome ostile, il cuscino EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

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Figura 1. Installazione del paziente (A-D). Una volta gonfiato il cuscino e ruotato verso destra il tavolo, il paziente si trova posizionato in decubito laterale destro inclinato di 80◦ .

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Figura 2. Organizzazione della sala operatoria, posizione degli operatori e posto dei trocar per le vie videoscopiche transperitoneali. 1. Assistente-videocamera; 2. trocar ottico; 3. trocar assistenteaspirazione; 4. trocar endoretrattore/clamp aortica; 5, 6. trocar operatore; 7. trocar assistente-strumentazione/clamp aortica; 8. operatore; 9. monitor video; 10. infermiere strumentista; 11. tavolo degli strumenti; 12. assistente-strumenti.

è gonfiato parzialmente per inclinare il paziente di circa 30◦ -45◦ verso destra. L’operatore si pone alla sua sinistra e visualizza il monitor posto sulla colonna di videoscopia installata a destra e ai piedi del paziente (Fig. 3). La posizione degli altri assistenti è modificata di conseguenza. Quando si ipotizza il posizionamento di una protesi aortobifemorale, l’intervento inizia con un accesso convenzionale ai EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

Figura 3. Organizzazione della sala operatoria, posizione degli operatori e posto dei trocar per le vie videoscopiche retroperitoneali. 1. Operatore; 2. trocar clamp aortica; 3, 4. trocar operatore; 5. trocar assistente-strumenti; 6. trocar ottico; 7. trocar aspirazione/clamp iliaca sinistra; 8. trocar clamp iliaca destra; 9. trocar endoretrattore; 10. assistente-videocamera; 11. assistente-strumenti; 12. infermiere strumentista; 13. strumenti; 14. monitor video.

tripodi femorali, su un paziente ancora posizionato in decubito dorsale. Sul lato destro, è iniziato un tragitto di tunnellizzazione con il dito a contatto con la faccia anteriore dell’arteria iliaca esterna. Sul lato sinistro, è preferibile non iniziare questo tragitto, che provocherebbe una perdita intempestiva dello pneumoperitoneo e varie difficoltà di esposizione durante il tempo videoscopico della procedura.

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 Creazione dello pneumoperitoneo e introduzione dei trocar Lo pneumoperitoneo con biossido di carbonio (CO2 ) è insufflato sotto il margine condrale sinistro con un ago di Palmer. All’inizio dell’esperienza, raccomandiamo tuttavia di affrontare il piano peritoneale sotto controllo visivo (open-laparoscopia) per evitare la comparsa di una lesione viscerale o vascolare. Una pressione dello pneumoperitoneo stabilizzata tra 12 e 14 mmHg offre, in genere, uno spazio di lavoro sufficiente senza ripercussioni generali. Il trocar dell’ottica 30◦ o 45◦ è posizionato sulla linea ascellare anteriore sinistra, 3 cm sotto il bordo costale. La posizione degli altri trocar è sensibilmente identica per tutte le vie d’accesso transperitoneali. Tutti devono essere introdotti sotto controllo visivo. Il trocar ottico e i due trocar operatori principali devono essere posti in triangolazione. Sei trocar (quattro paramediani e due sulla linea ascellare media) sono di solito sufficienti per il trattamento delle lesioni occlusive aorto-iliache. In alcuni casi difficili possono essere anche utili due trocar supplementari, utilizzati di routine in caso di aneurisma dell’aorta addominale, durante il trattamento delle lesioni occlusive. Uno, posizionato a metà distanza tra il trocar ottico e quello della fossa iliaca sinistra, è destinato all’ottica al momento della dissecazione dell’incrocio aortico oppure è, a volte, usato per la strumentazione. L’altro, situato nel fianco sinistro dietro al trocar ottico, è destinato alla clamp aortica prossimale quando è indispensabile il mantenimento di un endoretrattore introdotto attraverso il trocar sottoxifoideo. In caso di via retroperitoneale, il trocar destinato all’ottica è introdotto con la tecnica aperta sulla linea verticale della spina iliaca anterosuperiore, a metà distanza tra cresta iliaca e bordo costale sinistri. Lo scollamento del retroperitoneo è iniziato con il dito fin dove possibile, quindi il trocar è fissato ai piani parietali in modo da evitare le fuoriuscite di gas. Il retropneumoperitoneo è, in seguito, insufflato, quindi stabilizzato a 14 mmHg, mentre lo scollamento retroperitoneale è continuato con la punta

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dell’ottica. Sei o sette altri trocar sono disposti da una parte e dall’altra della cresta iliaca e in posizione paraombelicale (Fig. 3).

 Vie d’accesso all’aorta addominale Le vie d’accesso videoscopiche all’aorta addominale utilizzano dei reperi anatomici e dei piani di dissecazione simili a quelli della chirurgia aortica convenzionale (Fig. 4). Esse sono comuni al trattamento delle lesioni aortiche occlusive o aneurismatiche e sono transperitoneali (retrocolica sinistra, retrorenale sinistra, transperitoneale diretta) o retroperitoneali [30–32] . Esse devono essere eseguite in maniera atraumatica, con un’emostasi progressiva e rigorosa, in modo da non oscurare il campo operatorio e da non alterare lo svolgimento successivo dell’intervento. Per eseguire questa emostasi, noi utilizziamo regolarmente l’elettrocoagulazione monopolare o, a volte, bipolare, più precisa. L’uso di forbici armoniche (Ultracision® ) o della termofusione è, il più delle volte, inutile in questa indicazione.

Via transperitoneale retrocolica sinistra La via transperitoneale retrocolica sinistra è quella che utilizzavamo di preferenza all’inizio della nostra esperienza. Essa offre un buono spazio di lavoro e un’esposizione stabile di un campo operatorio isolato dalle strutture digestive. Contrariamente alla via transperitoneale retrorenale, che presenta questi stessi vantaggi, essa è di realizzazione piuttosto delicata, a causa del rischio di apertura del mesocolon al momento della dissecazione del bordo sinistro e della faccia anteriore dell’aorta. È, allora, indispensabile la sutura di un’eventuale breccia mesocolica per assicurare una copertura soddisfacente della protesi al termine dell’intervento. L’altro inconveniente maggiore di questa via è che essa offre una luce sull’aorta sbarrata dall’incrocio della vena renale sinistra. Ciò può causare un ostacolo in occasione del clampaggio aortico prossimale in caso di lesione occlusiva iuxtarenale.

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Figura 4. Sezioni trasversali dell’addome che mostrano le diverse vie d’accesso videoscopiche dell’aorta. A. Transperitoneale retrocolica sinistra. B. Transperitoneale retrorenale sinistra. C. Transperitoneale diretta. D. Retroperitoneale.

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Figura 5. toneale.

Via transperitoneale retrocolica: tracciato dell’incisione peri-

L’accesso inizia dall’incisione del peritoneo parietale posteriore a livello della doccia paracolica (Fig. 5). Questa incisione è proseguita fino a livello dell’angolo colico sinistro, per poter, quindi, scollare totalmente il colon sinistro nel piano avascolare della fascia di Toldt. Delle aderenze tra l’angolo colico sinistro e la milza, suscettibili di provocare un’effrazione della capsula splenica al momento delle manovre di esposizione, devono essere elettrocoagulate e sezionate. Sotto l’effetto del decubito laterale destro e dello pneumoperitoneo, l’intestino tenue e il mesocolon sinistro basculano nella parte destra dell’addome e liberano uno spazio operatorio di solito soddisfacente. Lo scollamento eseguito tra il grasso retrocolico e quello della faccia anteriore della loggia renale permette di affrontare l’aorta addominale lasciando il rene sinistro in sede. Per facilitare l’apertura di questo piano di dissecazione, l’aiuto esercita una trazione sulla fascia prerenale verso l’alto e a sinistra. La vena genitale sinistra è reperita sul bordo interno del rene. Essa costituisce un repere anatomico importante poiché la sua dissecazione dal basso in alto porta a esporre il bordo inferiore della vena renale sinistra. Al fine di evitare la sua disinserzione, essa è, quindi, sezionata a filo della vena renale tra due clip. Per stabilizzare l’esposizione, un filo di trazione passato nella fascia prerenale sulla faccia anteriore del rene ed esteriorizzato al fianco sinistro permette di mantenere il rene nella sua loggia e di liberare la faccia laterale sinistra dell’aorta. Un endoretrattore (Endo RetractTM II) è, quindi, posizionato attraverso il trocar sottoxifoideo a filo con la vena renale sinistra. Una volta stabilizzato con un braccio autostatico, esso permette di mantenere il mesocolon sinistro verso destra. L’aorta sottorenale è, allora, esposta aprendo la lamina linfonodale sul suo margine sinistro, fino all’origine dell’arteria iliaca comune sinistra. A volte, è più facile iniziare l’esposizione con la liberazione del bordo sinistro di quest’ultima arteria e proseguire la dissecazione dell’aorta aprendo la lamina linfonodale fino all’incrocio della vena renale sinistra. Sul lato sinistro, un’esposizione ampia dell’asse iliaco è possibile senza difficoltà dopo aver ben reperito l’uretere. Sul lato destro, sono affrontati facilmente solo i primi centimetri dell’arteria iliaca comune. L’arteria mesenterica inferiore, orientata a destra verso il mesocolon sinistro, è controllata alla sua origine. Quando ciò è possibile, è preferibile sezionarla tra due clip per non rischiare di disinserirla, in particolare al momento del divaricamento del mesocolon necessario alla dissecazione dell’arteria iliaca comune destra. Uno o due fili di trazione supplementari sono, allora, posizionati per stabilizzare l’esposizione, in particolare sulla lamina linfonodale destra in corrispondenza dell’aorta immediatamente sottorenale.

Via transperitoneale retrorenale sinistra Nel corso della nostra esperienza, la via transperitoneale retrorenale sinistra è diventata la nostra via d’accesso preferita, sia per il trattamento delle lesioni occlusive che per quello degli aneurismi. Di realizzazione molto semplice, essa offre un ampio spazio di lavoro e permette un’estensione semplice della dissecazione a EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

monte dell’origine delle arterie renali. La copertura della protesi al termine dell’intervento è ottimale, paragonabile a quella ottenuta dopo una chirurgia convenzionale effettuata per via retroperitoneale e retrorenale. Questa via non è praticabile in presenza di una vena renale sinistra retroaortica o quando esistono delle aderenze perispleniche serrate che devono far optare per una via transperitoneale retrocolica. Dopo aver inciso il peritoneo parietale posteriore a livello della doccia paracolica sinistra, come per la via retrocolica, la dissecazione è proseguita nel piano retroperitoneale retrorenale. Per fare questo, bisogna preventivamente sezionare eventuali aderenze peritoneali che potrebbero provocare una trazione eccessiva sulla milza e una lacerazione della sua capsula al momento dello scollamento. Il peritoneo parietale è sezionato dall’alto in basso prestando attenzione a rimanere a distanza dall’apposizione del colon. Nella parte inferiore dell’accesso, l’apertura del peritoneo deve essere diretta dietro all’orifizio del trocar introdotto nella fossa iliaca, in modo da conservare un lembo di peritoneo parietale posteriore sufficiente per coprire la branca protesica sinistra di una protesi biforcata. Lo scollamento retroperitoneale è iniziato a livello iliaco, dopo aver reperito il muscolo psoas e, più in dentro, l’uretere, che deve essere spostato insieme al sacco peritoneale. Il polo inferiore del rene è reclinato verso destra per esporre la fascia retrorenale davanti alla guaina dello psoas. L’apertura della fascia permette così di condurre lo scollamento retrorenale dal basso in alto fino al diaframma in un piano strettamente avascolare, evitando la scopertura, spesso emorragica, delle fibre muscolari dello psoas. Un endoretrattore, introdotto attraverso il trocar paramediano inferiore, facilita la realizzazione di una rotazione medioviscerale destra completa che sposta la milza, il pancreas, il rene e il colon sinistri. Questo basculamento completo della massa viscerale è tanto più agevole da realizzare quando è stato ottenuto un vero decubito laterale destro. La massa viscerale può, quindi, essere mantenuta con un filo di trazione situato a livello della fascia renale sinistra ed esteriorizzato a destra. Una volta stabilizzata l’esposizione, la dissecazione è iniziata a livello dell’arteria iliaca comune sinistra, il cui rilievo è facilmente identificabile dopo aver reperito e basculato l’uretere sinistro con la massa viscerale. Essa è proseguita «passo a passo» risalendo lungo il bordo sinistro dell’aorta aprendo progressivamente la lamina linfonodale lateroaortica. Le fibre nervose splancniche lombari sinistre, che raggiungono il plesso nervoso preaortico, possono essere sezionate senza rischio di disturbi dell’eiaculazione. Nella parte alta della dissecazione, bisogna individuare e sezionare il tronco venoso reno-azygo-lombare per evitare la sua disinserzione al momento del basculamento anteriore del rene sinistro. Quest’ultimo incrocia generalmente la faccia posteriore sinistra dell’aorta appena al di sotto dell’arteria renale sinistra. Il più delle volte, in caso di trattamento di lesioni occlusive aortoiliache, l’esposizione dell’aorta è sufficiente a questo stadio. In caso di trombosi completa dell’aorta iuxtarenale o in caso di aneurisma aortico che richiede un accesso all’aorta celiaca, è necessario sezionare il pilastro sinistro del diaframma per estendere la dissecazione al di sopra delle arterie renali. L’esposizione del bordo destro dell’aorta è facilitata dall’utilizzo di un’ottica a 45◦ di cui si modifica l’orientamento per ottenere una visione ottimale. L’arteria mesenterica inferiore, orientata verso destra con la massa viscerale, è dissecata per il suo primo centimetro. Essa può essere controllata con una clamp bulldog oppure essere sezionata tra due clip, se necessario. In particolare, questa sezione può rivelarsi utile per esporre l’arteria iliaca comune destra senza rischiare di disinserire l’arteria mesenterica inferiore. Questa esposizione è facilitata anche modificando l’orientamento dell’ottica per visualizzare in linea la biforcazione aortoiliaca. È inutile tentare di esporre a questo stadio la totalità dell’arteria iliaca comune destra, la cui dissecazione è limitata dalla trazione sul mesocolon e sull’uretere sinistri. In caso di lesioni occlusive, solo la sua faccia anteriore è liberata, in modo da poter creare senza rischi un tragitto di tunnellizzazione per la branca protesica destra. Una volta completa, l’esposizione è stabilizzata con il posizionamento di fili di trazione e con l’introduzione di un endoretrattore attraverso un trocar sottocostale sinistro o sottoxifoideo, posizionato sul bordo destro dell’aorta sotto

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vena renale sinistra o il suo residuo, in caso di precedente di nefrectomia. Un retrattore intestinale può, infine, essere utilizzato per mantenere le anse intestinali a distanza dall’accesso aortico. L’apertura della lamina linfonodale preaortica conduce in seguito a esporre la faccia anteriore dell’aorta, come nel corso di una via transperitoneale mediana convenzionale. L’arteria mesenterica inferiore è reperita, orientata verso sinistra. La dissecazione è estesa verso la biforcazione aortica e verso le arterie iliache comuni, in modo piuttosto facile, quando la retrazione delle anse digestive è ottimale.

Via retroperitoneale

Figura 6.

Via transperitoneale retrorenale.

Figura 7. Via transperitoneale diretta: tracciato dell’incisione del peritoneo parietale posteriore.

l’arteria renale sinistra e mantenuto con un braccio di fissazione autostatico (Fig. 6). Un’attenzione particolare deve essere rivolta a questa manovra, per evitare una lacerazione della capsula splenica.

Via transperitoneale diretta Noi utilizziamo la via transperitoneale diretta in rari casi, limitati in pratica ai pazienti con precedenti di nefrectomia sinistra o a quelli particolarmente magri, nei quali l’aorta è immediatamente visibile sotto il peritoneo parietale posteriore. Il principale vantaggio di questa via è che essa riproduce un accesso lateroduodenale familiare ai chirurghi vascolari. Tuttavia, il suo svolgimento è spesso alterato dall’invasione di anse intestinali nel campo operatorio, il che porta a utilizzare un divaricatore specifico o una rete destinata a mantenerle verso destra, mentre ciò non è necessario per le altre due vie transperitoneali. Inoltre, questa via pone un problema importante di copertura della protesi al termine dell’intervento. Questo problema e quello legato alla retrazione intestinale possono in parte essere aggirati con il confezionamento di un grembiule peritoneale preparato a spese del mesocolon sinistro, come è stato proposto da Stadler et al. [33] . L’installazione del paziente e dei trocar è identica a quella descritta per le altre due vie transperitoneali. La posizione del paziente in decubito laterale destro assoluto è indispensabile perché le anse digestive possano essere delicatamente spostate dall’operatore verso la parte destra dell’addome e restarvi per tutta la procedura. Il peritoneo parietale posteriore è inciso a filo della faccia antero-laterale dell’aorta addominale e il quarto duodeno ne è escluso (Fig. 7). L’angolo duodenodigiunale è liberato dopo aver elettrocoagulato e poi sezionato il muscolo di Treitz. Esso è mantenuto verso destra grazie a un filo di trazione posizionato in prossimità sul peritoneo. Il mesocolon trasverso è mantenuto verso l’alto e verso sinistra con un filo di trazione esteriorizzato sotto il bordo costale sinistro, il che permette di esporre la

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La via retroperitoneale è riservata ai rari casi di addomi molto ostili o alle gravi insufficienze respiratorie. Benché l’orientamento degli strumenti dell’operatore sia identico a quello della chirurgia convenzionale, questa via comporta, in effetti, diversi inconvenienti. Lo spazio di lavoro è ridotto, sia all’interno, sotto il sacco peritoneale, che all’esterno, dove i trocar entrano in conflitto con il bordo costale e la cresta iliaca sinistri. In caso di lesione accidentale del peritoneo, si produce una diffusione del retropneumoperitoneo verso la cavità addominale, che ha come conseguenza una scomparsa immediata della visibilità del campo operatorio. Inoltre, ogni aspirazione prolungata motivata da un sanguinamento importante causa un rapido accollamento dello spazio di lavoro e l’impossibilità di mantenere un retropneumoperitoneo sufficiente per proseguire l’intervento. La realizzazione tecnica della via retroperitoneale è molto semplice. Dopo aver realizzato lo scollamento retroperitoneale, l’operatore apre la fascia retrorenale per respingere il rene sinistro verso l’alto e l’avanti. Il rene è, quindi, mantenuto in questa posizione con un endoretrattore introdotto attraverso il trocar paramediano. La dissecazione è condotta dietro al rene sinistro e al sacco peritoneale, che sono mantenuti anteriormente dall’endoretrattore. L’aorta è dissecata dal basso in alto, iniziando sempre a livello dell’arteria iliaca comune sinistra e progredendo lungo il suo margine sinistro. Come nella via transperitoneale retrorenale, occorre sezionare il tronco venoso reno-azygo-lombare quando esso ostacola la dissecazione. L’accesso all’arteria mesenterica inferiore, orientata in avanti, è tanto più difficile attraverso questa via quando l’aorta è aneurismatica. Analogamente, l’arteria iliaca comune destra, vista in prospettiva dall’operatore, è affrontata solo sulla sua faccia anteriore.

 Introduzione della protesi e tunnellizzazione Una volta ottenuto l’accesso all’aorta addominale, il più delle volte (nella nostra esperienza più recente del trattamento laparoscopico delle lesioni occlusive aortoiliache) per via transperitoneale retrorenale, una protesi è introdotta attraverso uno dei trocar. Preventivamente, la sua estremità prossimale è ritagliata trasversalmente per eseguire un’anastomosi terminoterminale o sezionata a becco di flauto per eseguire un’anastomosi lateroterminale. Noi utilizziamo spesso una protesi di poliestere flessibile (GelweaveTM ), che imbeviamo di rifampicina per le sue qualità antibatteriche e per attenuarne la rifrazione luminosa. All’inizio della nostra esperienza, segnavamo sistematicamente la branca sinistra di questa protesi con una legatura alla sua estremità distale con filo di Nylon® . Questa marcatura è stata inclusa nella concezione della protesi Gelweave LaprograftTM che noi utilizziamo. Una lunga clamp curva aortica convenzionale, introdotta dall’incisione inguinale destra a contatto con la faccia anteriore dell’arteria femorale comune e poi dell’arteria iliaca esterna, permette di recuperare la branca protesica destra e di tunnellizzarla dietro all’uretere. Il ruolo dell’assistente, che orienta i suoi strumenti (pinza fenestrata e cannula di aspirazione in genere) in modo da aprire l’esposizione davanti dell’arteria iliaca comune destra sollevando il peritoneo parietale posteriore, è qui fondamentale. L’estremità distale della branca protesica esteriorizzata è rapidamente EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

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clampata. Si esegue, quindi, la tunnellizzazione della branca protesica sinistra, avendo cura, questa volta, di non aprire prematuramente la clamp durante il tragitto per non allargare quest’ultimo e per non creare una fonte di perdita permanente dello pneumoperitoneo. Anche l’estremità distale della branca protesica esteriorizzata è rapidamente clampata. Durante l’intervento, l’assistente deve costantemente badare a ridurre il rischio di formazione di trombi nella protesi somministrando regolarmente della soluzione fisiologica eparinata attraverso ciascuna delle sue branche. La tunnellizzazione delle due branche della protesi permette di stabilizzare quest’ultima per prendere in considerazione il clampaggio aortico e la preparazione dell’anastomosi prossimale.

 Clampaggio aortico e preparazione dell’anastomosi prossimale La preparazione dell’anastomosi prossimale di un bypass aortobifemorale nel corso di una procedura strettamente laparoscopica è ritenuta difficile. Peraltro, questa apparente difficoltà può essere superata con un addestramento regolare su pelvic trainer e con l’utilizzo della tecnica seguente. Per non moltiplicare il numero e la durata delle manovre destinate alla realizzazione dei nodi intracorporei e per non fragilizzare i fili di sutura che partecipano alla preparazione dell’anastomosi, noi prepariamo fin dall’inizio dell’intervento, a partire da fili di polipropilene 3/0-26 mm (Prolene® ), due tipi di fili. Dei fili corti di circa 10-12 cm, dedicati alla realizzazione di punti semplici, sono annodati su delle stecche squadrate di 2 mm di lato di feltro di Teflon® o di protesi. Dalla parte opposta all’ago, un’estremità del filo di circa 15-20 mm oltrepassa la stecca per costituire uno dei trefoli del nodo intracorporeo. Dei fili lunghi di circa 18-22 cm, dedicati alla realizzazione degli emisopraggitti dell’anastomosi, sono annodati su delle stecche squadrate di 8-10 mm di lato. Recentemente sono stati commercializzati, in risposta a questi bisogni specifici, dei fili confezionati secondo gli stessi principi

(Corolene® 3/0). Questi fili «industriali» presentano il doppio vantaggio di evitare una preparazione artigianale di almeno 20 minuti e di poter essere distribuiti a richiesta per ridurre la spesa inerente alla preparazione di un eccesso di fili che, alla fine, risultano non utilizzati. La lunghezza dei fili corti è di 15 cm fino a una stecca di 5 × 5 mm. Quella dei fili lunghi, consegnati con una misura di 45 cm ma la cui stecca di 10 × 10 mm non è inizialmente fissata, è decisa dall’operatore all’ultimo momento. In tutti i casi, che le suture siano confezionate dal chirurgo o prodotte dall’industria e per non rischiare di traumatizzare il capo lungo entrando nella preparazione dell’anastomosi al momento della realizzazione di un nodo all’inizio dell’emisopraggitto, i fili lunghi non presentano un capo distale suscettibile di essere annodato e devono essere bloccati sotto tensione per assicurare la tenuta stagna. Per questo, occorre assicurarsi fin dal passaggio del secondo punto dell’emisopraggitto che la stecca di feltro sia a diretto contatto con l’anastomosi, che questa sia lateroterminale o terminoterminale.

Anastomosi lateroterminale Dopo aver somministrato l’eparina per via sistemica (50 UI/kg, neutralizzate al termine dell’intervento), l’aorta è clampata trasversalmente con una clamp curva, introdotta attraverso il trocar sottoxifoideo o sottocostale sinistro e la cui concavità è diretta verso il basso (Fig. 8). Bisogna per questo avere precedentemente ritirato l’endoretrattore, la cui funzione di mantenimento della massa viscerale ritorna, allora, alla clamp aortica prossimale. La clamp aortica distale è introdotta attraverso il trocar paramediano inferiore. Essa deve essere sufficientemente inclinata, con la concavità diretta in alto, per includere il clampaggio di eventuali arterie lombari il cui reflusso potrebbe complicare la realizzazione dell’anastomosi. In linea generale, il tallone di questa clamp è posizionato immediatamente a valle dell’origine dell’arteria mesenterica inferiore. Il reflusso proveniente da quest’ultima arteria è controllato temporaneamente con l’apposizione di una clip poco serrata o di una clamp bulldog oppure è eliminato preventivamente mediante la legatura-sezione eseguita al momento della dissecazione dell’aorta e dell’esposizione delle arterie iliache.

A

B

C

D

E

F

Figura 8. Principali tappe della realizzazione dell’anastomosi prossimale lateroterminale di un bypass aortobifemorale totalmente laparoscopico (via transperitoneale retrocolica). A. Clampaggio trasversale dell’aorta sotto l’incrocio della vena renale sinistra. B. Aortotomia che fa seguito al clampaggio aortico distale e al controllo dell’arteria mesenterica inferiore con una clamp bulldog. C, D. Anastomosi condotta con un punto di ancoraggio al tallone e due emisopraggitti. E, F. Aspetto dopo declampaggio. EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

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L’aortotomia è longitudinale, lunga circa 20 mm e situata sulla parete laterale dell’aorta. Prima di realizzarla, si deve badare a ottenere una stoffa di parete aortica sufficiente al di sopra dei morsi della clamp, per eseguire un’anastomosi in tutta sicurezza. Eventuali detriti aterosclerotici che rivestono le pareti dell’aorta e, a volte, alcune calcificazioni sono rimossi a questo stadio. L’anastomosi inizia con la fissazione del tallone della protesi, con l’ausilio di un punto semplice o a X eseguito con un filo corto e di cui si annodano i due capi. Con l’ausilio di fili lunghi, si esegue in seguito l’emisopraggitto posteriore, condotto fino alla punta dell’anastomosi, quindi si esegue l’emisopraggitto anteriore. I due emisopraggitti, regolarmente messi in tensione dall’operatore e dall’assistente, sono in seguito annodati l’uno all’altro. Il declampaggio progressivo permette di verificare la tenuta dell’anastomosi e di completarla, se necessario, con dei punti staccati eseguiti con fili corti. L’emostasi può anche essere completata dall’apposizione di uno zaffo emostatico o di colla biologica, applicata grazie a un lungo dispositivo specifico.

Anastomosi terminoterminale Quando l’aorta sottorenale è particolarmente calcifica o è sede di una distrofia aneurismatica moderata, è preferibile eseguire l’anastomosi prossimale secondo una modalità terminoterminale. Le modalità del clampaggio aortico prossimale sono identiche a quanto è stato esposto in precedenza. Al contrario, la clamp aortica distale è qui posta in maniera trasversale, a una distanza sufficiente dall’origine dell’arteria mesenterica inferiore, quando quest’ultima deve essere conservata. L’aorta è, allora, sezionata trasversalmente, almeno 1 cm a valle della clamp prossimale, per poter realizzare un’anastomosi sicura. È, a volte, necessario eseguire un’endoarteriectomia limitata del moncone aortico prossimale, prestando attenzione a non fragilizzare troppo la parete aortica residua. All’occorrenza, l’anastomosi prossimale è eseguita appoggiando tutti i punti su una stecca circolare di feltro di Teflon. Prima di questo, è preferibile eseguire la chiusura del moncone aortico distale, con un sopraggitto andata-ritorno che prende abbondantemente la parete e, se necessario, appoggiato su due stecche di feltro di Teflon® . Ciò permette di rimuovere la clamp aortica distale prima della preparazione dell’anastomosi prossimale e di liberare così il campo operatorio. L’anastomosi inizia con la fissazione della protesi al versante posterosuperiore dell’aorta, con un punto a X eseguito con un filo breve e poi annodato. Con un filo lungo, si esegue in seguito l’emisopraggitto posteriore dall’esterno all’interno sull’aorta, fino a raggiungerne la faccia anteriore. Un secondo emisopraggitto, condotto dall’indietro in avanti e dall’interno all’esterno sull’aorta, completa il piano anteriore dell’anastomosi. I due emisopraggitti, regolarmente messi in tensione dall’operatore e dall’assistente, sono in seguito annodati l’uno all’altro. Il declampaggio progressivo permette di verificare la tenuta dell’anastomosi e di completarla, se necessario, con dei punti staccati eseguiti con fili corti. L’emostasi può anche essere completata con l’apposizione di uno zaffo emostatico o di colla biologica. La realizzazione di un’anastomosi prossimale terminoterminale con la chiusura di un moncone aortico distale permeabile impone una verifica accurata dell’emostasi di quest’ultimo una volta rimesso in carico il flusso iliaco retrogrado attraverso le anastomosi distali. Ciò implica o di eseguire un nuovo tempo laparoscopico dopo aver realizzato le anastomosi femorali, cosa che richiede il passaggio iterativo da un decubito dorsale a un decubito laterale, o di tunnellizzare la protesi e anastomizzarne in primo luogo le branche distali. Clampando la protesi a filo di ogni anastomosi e a livello del suo corpo e cateterizzando la branca sinistra, è possibile iniettarvi della soluzione fisiologica eparinata per mettere in tensione il corpo della protesi e per ritagliarlo a una lunghezza adeguata. L’emostasi del moncone aortico distale può così essere verificata non appena eseguita l’anastomosi prossimale. Inoltre, questo

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metodo che rimette immediatamente in carico le due branche protesiche riduce notevolmente la durata del clampaggio aortico.

 Anastomosi distali e fine della procedura Una volta realizzata l’anastomosi prossimale latero-terminale, bisogna verificare attentamente la sua emostasi e poi quella degli scollamenti eseguiti al momento della dissecazione iniziale. Ci si può aiutare con una riduzione della pressione dello pneumoperitoneo per evidenziare un sanguinamento tamponato da quest’ultimo. Un drenaggio semplice o duplice lateroprotesico è posto in sede e, quindi, esteriorizzato nella fossa iliaca sinistra. Il paziente è riposizionato in decubito dorsale, il che permette di riportare il mesocolon sinistro nella sua posizione iniziale e di ricoprire la protesi e le sue branche per isolarla perfettamente dalle anse digestive. I trocar sono rimossi sotto controllo videoscopico e i loro orifizi sono chiusi in un piano di filo riassorbibile. Le anastomosi femorali sono in seguito realizzate in maniera convenzionale. In caso di anastomosi prossimale terminoterminale, quando le anastomosi femorali sono state realizzate precedentemente, restano da eseguire solo le manovre riguardanti la verifica dell’emostasi addominale e il drenaggio, il riposizionamento delle strutture digestive e la rimozione dei trocar. In entrambi i casi, l’intervento termina con la chiusura delle incisioni inguinali su un drenaggio in aspirazione, in un paziente posizionato in decubito dorsale.

 Casi particolari Con una certa esperienza tecnica, diviene possibile trattare per via rigorosamente videoscopica delle lesioni occlusive aortiche complesse come le trombosi dell’aorta iuxtarenale, le lesioni di ateroma protrusivo esuberante (coral-reef atheroma) o le lesioni che impongono per ragioni tattiche un bypass a partire dall’aorta discendente o anche ascendente.

Trombosi dell’aorta iuxtarenale In caso di trombosi completa dell’aorta iuxtarenale (Fig. 9), resta possibile eseguire una rivascolarizzazione aortobifemorale per via rigorosamente laparoscopica, realizzando le seguenti modificazioni tecniche. L’aorta è affrontata per via transperitoneale retrorenale, proseguendo la sua esposizione verso l’alto, dopo aver esposto i primi centimetri dell’arteria renale sinistra e dopo aver sezionato l’inserzione bassa del pilastro sinistro del diaframma. Essa può così essere controllata a monte delle arterie renali, in zona pervia, per esservi clampata. L’esposizione è mantenuta stabile con un endoretrattore introdotto attraverso il trocar superiore, paramediano o sottocostale sinistro, e posto sotto l’arteria renale sinistra per retrarre la massa viscerale ed esporre il bordo destro dell’aorta. La clamp aortica prossimale è introdotta attraverso un trocar situato nel fianco sinistro, dietro al trocar dell’ottica. L’aorta è clampata a monte dell’origine dell’arteria renale sinistra e poi è sezionata trasversalmente 2-3 cm a valle. In assenza di reflusso, non è di solito necessario legare immediatamente il moncone aortico distale obliterato. Il moncone aortico prossimale è liberato su tutte le sue facce, per potergli imprimere una rotazione che permetta di visualizzarne il lume. Con una spatola e/o una pinza fenestrata, lo si disostruisce fino a visualizzare l’ostio di ciascuna arteria renale. Un breve declampaggio completa questa disostruzione e permette di assicurarsi dell’assenza di materiale cruorico ritenuto tra i morsi della clamp. Un’altra clamp, introdotta attraverso il trocar operatore sinistro, afferra in seguito l’estremità del moncone aortico distale per poter spostare la clamp aortica prossimale a valle dell’origine delle arterie renali. In questa maniera, la durata del clampaggio aortico soprarenale non supera una decina EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

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Figura 9. Angio-TC di una trombosi completa dell’aorta iuxtarenale prima della realizzazione di un bypass aortobifemorale totalmente laparoscopico.

A

B

Figura 10. Viste toracoscopiche su cadavere dell’aorta ascendente (1) (A) e dell’arco dell’aorta (B) da cui nascono il tronco arterioso brachiocefalico (2) e l’arteria carotide comune sinistra (3).

1

3 2

A

di minuti e la rivascolarizzazione aortobifemorale può essere continuata con la preparazione dell’anastomosi aortica prossimale, come è stato descritto in precedenza. Le condizioni di realizzazione di questa anastomosi sono tanto più favorevoli quando si è potuto conservare un moncone aortico prossimale sufficientemente lungo. Per sicurezza, il moncone aortico distale, liberato in tutto o in parte del suo trombo, è in seguito obliterato con un sopraggitto.

Ateroma protrusivo esuberante La presenza di una placca di ateroma protrusivo esuberante (coral-reef atheroma) a livello dell’aorta soprarenale o sopraceliaca può essere responsabile di sintomi ischemici delle arterie viscerali, renali e digestive e/o degli arti inferiori. L’endoarteriectomia transaortica, isolata o associata a una rivascolarizzazione aortobifemorale, è il suo trattamento di elezione. In alcuni casi dove le lesioni sfiorano l’origine delle arterie viscerali senza impegnarvisi, la via d’accesso convenzionale, toracoaddominale, può essere sostituita da un accesso rigorosamente laparoscoEMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

B

pico [34] . La via transperitoneale retrorenale, estesa a monte dell’origine del tronco celiaco dopo aver sezionato il pilastro sinistro del diaframma come descritto prima, è qui ideale, in quanto offre la possibilità di clampare l’aorta a livello sopraceliaco o in posizione interceliomesenterica. Dopo aver aperto longitudinalmente l’aorta, è preferibile eseguire sotto videoscopia una semplice rimozione delle gemme esuberanti o, nei casi estremi, un’endoarteriectomia che passi nel piano medio della media per non correre il rischio di fragilizzare troppo la parete aortica e di complicarne la sutura videoscopica. Analogamente, si deve badare a non coinvolgere nel piano di endoarteriectomia le arterie viscerali, per non trovarsi di fronte a un arresto di placca rischioso, a volte ostruttivo, e a un rischio di dissecazione arteriosa estesa al momento del declampaggio. La durata del clampaggio influisce direttamente sul successo della rivascolarizzazione viscerale. È quindi preferibile riservare questo approccio a casi selezionati e prenderlo in considerazione solo dopo aver raggiunto la padronanza della tecnica laparoscopica di rivascolarizzazione aortobifemorale, tanto più che è frequente doverne associare una a valle del segmento aortico disostruito.

9

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Rivascolarizzazione a partire dall’aorta discendente o ascendente In rari casi in cui l’aorta addominale è stata più volte aggredita o è massivamente calcificata in pazienti in buono stato generale, è preferibile rivascolarizzare gli arti inferiori a partire dall’aorta toracica discendente [35] . Quest’ultima può essere affrontata per via toracoscopica isolata, senza che sia necessario insufflare CO2 , per eseguirvi l’anastomosi terminolaterale della protesi. La tunnellizzazione di quest’ultima segue, il più delle volte, un decorso retroperitoneale, iniziato con un dito attraverso una breve incisione sul fianco sinistro e continuato con la punta dell’ottica una volta iniziata l’insufflazione del retropneumoperitoneo. In questi casi, l’accesso videoscopico offre una visualizzazione ottimale del sito di attraversamento toracoaddominale e del tragitto retroperitoneale della protesi, utile per evitare qualsiasi plicatura che potrebbe portare alla sua trombosi precoce. In maniera ancora più eccezionale sono praticate delle rivascolarizzazioni dell’aorta addominale sottorenale o degli arti inferiori a partire dall’aorta ascendente. È tecnicamente possibile affrontare quest’ultima e anastomizzarvi l’origine di un bypass per via rigorosamente laparoscopica (Fig. 10). Tuttavia, le qualità tecniche richieste per questo devono essere messe in bilancio con un beneficio sicuramente sovrapponibile a quello di una sternotomia parziale, che causa meno dolori cronici rispetto al superamento da parte dei trocar di due o tre spazi intercostali, e con un rischio operatorio aumentato in caso di intervento mal padroneggiato.

 Incidenti e conversioni Solo una tecnica rigorosa permette di ridurre la possibilità di comparsa di un incidente maggiore durante la realizzazione di una rivascolarizzazione aortobifemorale laparoscopica. Oltre alla conoscenza dei piani anatomici abituali e all’addestramento indispensabile per apprendere la preparazione delle anastomosi, prerequisiti degli interventi rigorosamente videoscopici, l’operatore deve disporre di una capacità particolare di controllare i suoi gesti e quelli dei suoi assistenti. Questo controllo, più delicato che in chirurgia convenzionale in quanto limitato a ciò che mostra l’ottica, riguarda sia la mobilizzazione degli organi e la loro retrazione durante il tempo di esposizione dell’aorta che il tempo più temuto dell’anastomosi aortica. La milza figura al primo posto tra gli organi suscettibili di essere lesi da minimi traumi diretti o imposti dalle manovre di retrazione. Analogamente, le trazioni eccessive e ripetute sull’intestino tenue possono crearvi una lacerazione sierosa o più profonda che può inizialmente passare inosservata. Infine, la manipolazione a piena pinza dei fili destinati all’anastomosi è fonte di lesioni che mettono in pericolo la resistenza meccanica dell’anastomosi e che possono determinarne la rottura postoperatoria. Solo l’utilizzo di fili in politetrafluoroetilene permette, in effetti, una tale manipolazione senza rischio di rottura del filo. In tutti i casi, si deve poter scegliere una conversione chirurgica convenzionale abbastanza rapidamente in seguito alla comparsa della complicanza intraoperatoria, per non correre alcun rischio per la sicurezza del paziente [36] . È preferibile una reazione rapida e adeguata che una concatenazione di complicanze che derivano da una decisione troppo tardiva. In genere, l’incidente si produce nel corso delle manovre di dissecazione e di esposizione o, più tardivamente, durante la realizzazione dell’anastomosi prossimale. La conversione è, allora, realizzata con una breve via pararettale verticale di circa 10-12 cm, unendo i due orifizi di trocar situati sulla linea ascellare media (Fig. 11). Con più esperienza, è possibile proseguire la chirurgia videoscopica per trattare alcune complicanze. Così, è possibile realizzare una splenectomia totalmente laparoscopica in caso di rottura capsulare splenica. L’esteriorizzazione della milza, liberata dai suoi legami vascolari e, quindi, spezzettata all’interno di un endosacco portato alla parete, deve tuttavia essere eseguita una volta completata la rivascolarizzazione aortica, per poter conservare la tenuta dello pneumoperitoneo.

10

Figura 11. Cicatrice di una conversione eseguita durante la realizzazione di un bypass aortobifemorale. Il tracciato dell’incisione unisce i due orifizi di trocar situati sulla linea ascellare media.

 Risultati e indicazioni Il ruolo esatto della videochirurgia aortica nell’arsenale terapeutico deve essere determinato e affermato per mezzo di risultati riferiti a medio e a lungo termine [27, 29, 37–49] (Tabella 1). L’obiettivo è, per le lesioni aortoiliache gravi (Transatlantic Inter-Society Consensus [TASC] C e TASC D [50] nel paziente con buon rischio chirurgico), competere con il tasso di pervietà di circa il 90% a 10 anni offerto dalla chirurgia convenzionale, conservando i vantaggi potenziali di una chirurgia meno invasiva. La riduzione dei dolori postoperatori, del tempo di riabilitazione e del tasso di sventramento parietale e l’interesse estetico (Fig. 12) sono gli elementi più semplici da evidenziare. I pazienti che hanno delle lesioni meno gravi (TASC A e TASC B) [50] o moderate (TASC C), ma particolarmente giovani o che presentano numerose comorbilità, potrebbero piuttosto trarre beneficio da un’angioplastica transluminale, che consideriamo dunque più una tecnica complementare che una rivale della videochirurgia. Infine, i pazienti a rischio chirurgico proibitivo potrebbero richiedere delle rivascolarizzazioni extra-anatomiche, isolate o associate a un’angioplastica dell’asse donatore e/o ricevente. In questa maniera, noi concepiamo ancora la realizzazione di una rivascolarizzazione aortobifemorale convenzionale nei pazienti che presentano grandi difficoltà tecniche prevedibili in videoscopia (reinterventi aortici, presenza di calcificazioni aortiche importanti, addomi multioperati) e in quelli per i quali si ipotizza una rivascolarizzazione renale, digestiva o ipogastrica associata, soprattutto finché la curva di apprendimento non è completata. Infine, l’apporto della robotica, attualmente in corso di valutazione [33, 51–53] , rappresenta una prospettiva suscettibile di ampliare il campo delle indicazioni del trattamento laparoscopico delle lesioni occlusive aortoiliache.

 Conclusioni La chirurgia videoscopica delle lesioni occlusive aortoiliache rappresenta ancora una vera e propria sfida tecnica per la maggioranza dei chirurghi vascolari, poco abituati alla sua gestualità e alle sue insidie. Essa richiede un apprendimento rigoroso che passa attraverso l’osservazione di esperti, un addestramento personale continuo e l’assistenza di un chirurgo esperto nella tecnica per le prime procedure. Trattandosi di una tecnica emergente ritenuta difficile, è fondamentale che il paziente riceva dal chirurgo un’informazione adeguata riguardante, oltre ai rischi abituali della chirurgia aortoiliaca, quelli specifici della videochirurgia. La possibilità di conversione deve essere ipotizzata in EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache  I – 43-037

Tabella 1. Risultati delle principali casistiche di chirurgia videoscopica delle lesioni occlusive aorto-iliache. Primo autore [riferimenti bibliografici] (anno) Fourneau [29] (2008) Cau [42] (2006) Di Centa [43] (2006) Dooner [45] (2006) Remy [47] (2005) Rouers

[48]

(2005)

Lin [39] (2005) Olinde

[46]

(2005)

Dion [44] (2004) Barbera (2001)

[41]

Said [27] (1999)

Numero di pazienti

Durata operatoria media (min)

50

331 (205-490)

Conversione (n) (%)

Mortalità (n) (%)

Morbilità (n) (%)

Durata ricovero (gg)

70 (20-173)

11 (22)

0

8 (16)

4 (3-43)

Durata clampaggio media (min)

72

216 (± 50)

57 (± 21)

2 (2,7)

0

7 (9,7)

8 (5-42)

150

260 (med) (120-450)

81 (med) (36-190)

5 (3,3)

4 (2,7)

30 (20)

7 (2-90)

13

390 (320-480)

NR (35-60)

3 (23)

0

2 (15,4)

6,7 (3-14)

21

240 (med) (150-420)

60 (med) (30-120)

1 (4,8)

0

5 (23,8)

7 (5-30)

30

244 (± 11)

66 (± 5)

6 (20)

0

11 (36,7)

5,1

68

199 (± 31)

85 (± 32)

3 (4,4)

1 (1,5)

5 (7,3)

6,3

22

267 (med) (198-365)

89,5 (64-141)

2 (9)

1 (4,5)

4 (18,2)

4

49

290 (± 62)

99 (± 28)

4 (8,2)

1 (2)

3 (6,1)

5 (4-24)

30

302 (150-450)

70 (55-120)

5 (16,6)

0

4 (13,3)

9,1

7

390 (180-600)

59 (45-110)

0

1 (14,3)

0

6,2 (3-14)

La morbilità corrisponde al numero totale di complicanze riportato al numero totale di pazienti; med: mediana; NR: non riferito.

[6] [7] [8]

[9]

[10] [11] [12] [13]

[14]

[15] Figura 12. Aspetto estetico della parete addominale 1 mese dopo la realizzazione di un bypass aortobifemorale laparoscopico.

[16]

modo che questa appaia giustamente, all’occorrenza, più come una misura di sicurezza per il paziente che come un insuccesso della tecnica.

[17]

 Riferimenti bibliografici [1] [2] [3] [4] [5]

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EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare

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[21]

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L. Chiche ([email protected]). Service de chirurgie vasculaire, Centre hospitalier universitaire Pitié-Salpêtrière, 47-83 boulevard de l’Hôpital, 75013 Paris, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Chiche L. Chirurgia sotto videoscopia delle lesioni occlusive aortoiliache. EMC - Tecniche chirurgiche - Chirurgia vascolare 2012;17(2):1-12 [Articolo I – 43-037].

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