Quaderni Italiani di Psichiatria 2010;29(3):79—80 Disponibile su www.sciencedirect.com
journal homepage: www.elsevier.com/locate/quip
EDITORIALE
Quando la notizia fa male When news hurts
Un muro riportava la scritta: ‘‘Una delle violenze quotidiane è quella di uccidere la speranza’’. Una minaccia simile è presente ogni mattina alla lettura del giornale, dove in bella vista o, più semplicemente, in un trafiletto può essere riportato che il farmaco X oppure la sostanza Y, considerati fino alla sera prima come curativi o addirittura preventivi, sono in effetti dannosi per l’organismo o per le reazioni che possono indurre con la loro assunzione. Conferme e smentite si susseguono con rapidità, ma solitamente il risalto dato alla denuncia è maggiore di quello riservato alla smentita e, comunque, l’impatto psicologico negativo ha già iniziato a dare i suoi frutti. Dobbiamo domandarci che tipo di controllo scientifico hanno le notizie riportate dalla stampa non specialistica? La risposta è preoccupante ed è che il controllo della notizia è quanto meno scarso rispetto alla portata delle conseguenze. Ne sono un esempio i numerosi quotidiani che riportano informazioni ricevute dalle varie agenzie di stampa che a loro volta le traggono arbitrariamente da riviste scientifiche, senza indicarne il contesto, il metodo di indagine, l’incidenza globale ecc., e come tali vengono riportate. Questa informazione, che a se stante potrebbe avere una funzione positiva o quanto meno in linea con gli scopi informativi e divulgativi della stampa, può tradursi anche, quando le notizie non sono segnalate dall’Istituto Superiore della Sanità, dal Ministero o da organi come la Food and Drugs Administration o l’EMEA, in un’azione lesiva nei confronti della relazione tra medici e pazienti. Questa constatazione di scarsa attendibilità non spiega però l’alto impatto emotivo che certe notizie portano con sé e ciò va ricercato in una serie di fattori a più livelli. Il primo lo si può individuare nell’atteggiamento, avviatosi a partire dagli anni Settanta, di progressiva fine della ‘‘luna di miele’’ con la scienza in generale e con la medicina allopatica in particolare. La scienza medica, con la scoperta degli antibiotici, il conseguente debellamento di molte forme infettive (es. tubercolosi, lue, ecc.), gli antinfiammatori, gli antidolori-
fici, gli psicofarmaci e i trapianti aveva indotto nei suoi confronti delle grandi attese, a volte di coloritura magica. Le successive scoperte di effetti collaterali, di resistenze, di effetti dannosi, assommatesi a grandi scandali, come quello del talidomide, hanno indotto a una progressiva diffidenza e sfiducia nell’assunzione dei farmaci. Una reazione, questa, di delusione o meglio di disillusione verso una scienza vissuta come strumento magico e di tali vissuti la stampa si è fatta portatrice e interprete, a volte anche con modalità aggressive. La proiezione di aspettative magiche porta con sé anche forti istanze di passività che si concretizzano quando alla notizia solo ventilata di un possibile risvolto indesiderato di una sostanza, l’individuo, invece di consultare il proprio medico, interrompe automaticamente l’assunzione del medicamento. Questo atteggiamento di passività collude con l’ambivalenza connaturata a ogni stato di malattia, dove al desiderio di guarigione si contrappone quello che trae vantaggio dallo stato morboso e questo accade in particolar modo nel campo dei disturbi emotivi e psichici. Una resistenza ben conosciuta nell’ambito delle cure psichiatriche ma estendibile anche ad altre situazioni cliniche. La stampa interpreta quindi, nel bene e nel male, nelle allusioni e nelle delusioni, il movimento del collettivo, ne dispone i vissuti e i conflitti tra aspettative magico — passive e istanze di autoterapia o di negazione. Il farmaco diviene così, inevitabilmente e contemporaneamente, rimedio e veleno. Alla base di un simile atteggiamento si può intravedere il sogno infantile e onnipotente di mantenere le cose così come stanno, di opporsi a ogni cambiamento vissuto come dannoso, allontanandosi così dal piano della realtà, unica prospettiva per valutare i pro e i contro di certe scoperte. Dobbiamo anche sottolineare l’altro aspetto rappresentato dal tipo di relazione medico-paziente per considerare l’impatto negativo di talune avventate notizie riportate dalla stampa. Infatti, una scarsa relazione, uno scarso coin-
0393-0645/$ – see front matter © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. doi:10.1016/j.quip.2008.11.011
80 volgimento del medico possono facilitare la creazione di uno spazio di attecchimento negativo di certe notizie. Se da un lato in questi anni abbiamo constatato una maggiore attenzione al rapporto e alla facilitazione di una compartecipazione attiva del paziente alle terapie, dall’altro dobbiamo riconoscere come una eccessiva burocratizzazione e parcellizzazione, abbiano indotto una progressiva svalutazione del ruolo sociale del medico fino a porlo solo come un funzionario spersonalizzato adibito a compilare ricette. Una condizione di reciproco avvilimento, che incrina la possibilità di stabilire un rapporto di fiducia e una collaborazione attiva tra il medico e i suoi pazienti. Sotto la pressione del paziente che, meravigliato, ripropone al medico le notizie riportate dal quotidiano, il medico stesso, pur conoscendo la sostanza amministrata, preso di sorpresa, può colludere con questo allarmismo senza preventivamente informarsi presso gli organi scientifici competenti. Il medico, prima di agire, aderendo subito alla richiesta del paziente, dovrebbe per un corretto atteggiamento scientifico e di realismo, chiedere un attimo di riflessione e di ulteriore informazione sulla veridicità di talune notizie. Così facendo, compie un’opera di realismo scientifico e mostra la sua disponibilità emotiva e umana a
Editoriale scoprirsi e quindi a non porsi in modo ‘‘magico’’ e, in ultima analisi, a rinsaldare un rapporto di fiducia. La diminuzione sociale della credibilità del medico unita a un ridotto impegno dello stesso a rafforzare la compliance (fornire chiare, semplici e adeguate informazioni sulla malattia in corso, sui farmaci da utilizzare, sull’eventuale comparsa di effetti collaterali e sulle aspettative riguardo a possibili risultati terapeutici), facilitano l’attecchimento di notizie allarmanti che, quando non confermate, risultano diffamatorie e dannose. Le notizie scientifiche allarmanti non controllate adeguatamente contribuiscono a incrinare la credibilità del medico, esponendolo a un’ulteriore svalutazione della sua funzione terapeutica e professionale e scatenando maggiori angosce nel paziente che si trova danneggiato nella relazione di fiducia col suo medico. La notizia ‘‘allarmante’’ si manifesta quindi come un attacco sia al medico sia al paziente. Se allora non è scienza, non è informazione, non è educazione, perché uccidere la speranza e le relazioni?
Claudio Mencacci Direttore DSM, AO Fatebenefratelli, Milano E-mail:
[email protected] Disponibile online 20 marzo 2009