Riabilitazione delle protesi di spalla

Riabilitazione delle protesi di spalla

 I – 26-210-A-40 Riabilitazione delle protesi di spalla S. Gain, P. Collin Nel 2014, la Haute Autorité de Santé (HAS) ha censito 12 500 procedure p...

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Riabilitazione delle protesi di spalla S. Gain, P. Collin Nel 2014, la Haute Autorité de Santé (HAS) ha censito 12 500 procedure per protesi di spalla in Francia. I progressi nella chirurgia e nella riabilitazione permettono ai pazienti di riacquistare una spalla funzionale. Le protesi di spalla possono essere classificate in due grandi categorie: le protesi anatomiche e le protesi totali inverse (PTI). Queste ultime hanno visto le loro indicazioni aumentare negli ultimi anni e ora costituiscono quasi la metà delle protesi di spalla. In termini di riabilitazione, non si tratta solo di prendere in carico la neoarticolazione gleno-omerale, ma di estenderla a tutto il complesso articolare della spalla, senza dimenticare la colonna cervicotoracica. Diversi studi hanno dimostrato l’importanza della mobilità scapolotoracica per le protesi, ancora più per le PTI che per le protesi anatomiche. Un altro principio è quello di recuperare la maggior parte della mobilità passiva prima di iniziare la riabilitazione attiva. Il recupero di quest’ultima favorisce il lavoro in posizione alta, come descritto originariamente da Saha. I muscoli bersaglio sono principalmente il dentato anteriore, il trapezio inferiore, i muscoli della cuffia, quando presenti, e il deltoide. Quest’ultimo è essenziale per la PTI, perché è l’unico motore della gleno-omerale con un ruolo importante anche per la stabilità. Sul piano neuromotorio si deve sottolineare il ruolo essenziale della visione e della mano. Si tratta, in qualche modo, di usare la mano per riabilitare la spalla. Una collaborazione ottimale tra il chirurgo e il fisioterapista è essenziale per la cura del paziente, continuando il monitoraggio durante tutta la riabilitazione. Fin dalla fase preoperatoria, l’educazione del paziente con suggerimenti per la vita quotidiana e l’autoriabilitazione guidata grazie all’apprendimento di esercizi realizzati tra le sedute contribuiscono al suo coinvolgimento nel trattamento. Oggi, la riabilitazione delle protesi di spalla deve essere ambiziosa e mirata a ottenere il miglior funzionamento possibile per i pazienti. © 2018 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.

Parole chiave: Protesi di spalla anatomiche; Protesi totali di spalla inverse; Fratture dell’estremità superiore dell’omero; Riabilitazione; Automobilizzazione; Ritmo scapolo-omerale; Cuffia dei rotatori; Deltoide

Struttura dell’articolo





Introduzione

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Diversi tipi di protesi e implicazioni per la riabilitazione Protesi anatomiche Impianti non anatomici (protesi totale inversa)

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Principi fondamentali della riabilitazione Spalla, una complessa articolazione Colonna cervicotoracica Mobilità passiva Mobilità attiva Aspetti neuromotori

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Valutazione preoperatoria e strumenti di monitoraggio

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Modalità di riabilitazione a seconda del tipo di protesi Protesi totale anatomica Fase 1 (dal giorno 1 al giorno 45) Fase 2 (dal giorno 45 al giorno 90) Fase 3 (oltre il giorno 90) Protesi totali inverse Fase 1 (dal giorno 1 al giorno 21) Fase 2 (dal giorno 21 al giorno 45 o a partire dal giorno 45) Fase 3 (dal giorno 45 al giorno 90) Fase 3 (giorno 90 e oltre, anche fino a sei mesi)

EMC - Medicina Riabilitativa Volume 25 > n◦ 2 > giugno 2018 http://dx.doi.org/10.1016/S1283-078X(18)89773-5

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Conclusioni

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 Introduzione Nel 2014, la Haute Autorité de Santé (HAS) [1] ha censito 12 500 interventi di protesi di spalla in Francia. Il più delle volte, si tratta di protesi totali anatomiche (PTA) e di protesi totali inverse (PTI). Queste ultime, il cui utilizzo iniziale da parte del Professor Grammont risale agli anni  70, hanno visto la loro indicazione notevolmente ampliata nel corso degli anni e, a oggi, rappresentano più della metà delle protesi di spalla e permettono a un numero crescente di pazienti di recuperare una spalla funzionale. La loro riabilitazione comporta punti specifici necessari da conoscere. Il trattamento dei pazienti deve essere considerato come un insieme comprendente un tempo chirurgico e un tempo riabilitativo. Il risultato finale dipende in larga misura dalla qualità della collaborazione tra il chirurgo, il fisioterapista, ma, anche, il paziente. Idealmente, questa collaborazione deve iniziare prima dell’intervento. Un rapporto di fiducia deve essere stabilito tra il chirurgo e il fisioterapista, basato, in particolare, sul rispetto delle istruzioni chirurgiche ma anche su una comunicazione

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regolare e reciproca tra i due partner. Inoltre, il fisioterapista deve sottolineare al paziente l’importanza del suo coinvolgimento nel successo del trattamento. In definitiva, deve essere implementata la cooperazione tra i tre attori.

 Diversi tipi di protesi e implicazioni per la riabilitazione Ci sono diversi tipi di protesi totali di spalla per soddisfare molteplici indicazioni. Le protesi articolari alla spalla possono essere classificate in due categorie distinte: le protesi anatomiche (non vincolati) e gli impianti non anatomici (semivincolati). L’accesso può essere una via deltopettorale (più comunemente) o transdeltoidea anteriore. Entrambe richiedono una sezione del sottoscapolare, che richiede una protezione nel postoperatorio.

Protesi anatomiche Protesi anatomiche omerali Coppe di rivestimento Sono state originariamente sviluppate per mantenere il massimo di riserva ossea. Il posizionamento è difficile (rischio di malposizionamento, di calibro inadatto). L’esposizione glenoidea non è facile. Il posizionamento di questo impianto richiede una curva di apprendimento lunga e una forte esperienza. Si può proporre in pazienti molto giovani con osteonecrosi. I risultati della letteratura sono contrastanti. Protesi omerali senza stelo Sono state sviluppate per facilitare un eventuale recupero e per evitare la difficile estrazione dello stelo omerale. Il taglio della testa è effettuato anatomicamente. Questo facilita la tecnica chirurgica e l’esposizione glenoidea. I risultati preliminari non hanno mostrato nessun fallimento a causa di una non tenuta primaria dell’impianto. Esse possono essere facilmente associate al posizionamento di un impianto glenoideo. Si può proporre questo impianto in pazienti sotto i 65 anni, in caso di omartrosi centrata. Non ci sono studi di autori non legati al promotore, a distanza di oltre due anni. Protesi omerali ad ancoraggio metafisario Sono state sviluppate con un obiettivo di convertibilità. L’ancoraggio metafisario si fa per compattazione. In caso di reintervento per cambiare la protesi, l’asta può essere conservata. Questo impianto può essere offerto in prima linea per una PTA o una PTI. A oggi, non ci sono risultati pubblicati in letteratura. Protesi omerali ad ancoraggio diafisario Storicamente, sono i primi impianti proposti secondo il concetto di Neer. Questo concetto è stato gradualmente migliorato, aggiungendo la possibilità di ricostruzione dell’anatomia originale. Così, l’inclinazione tra la testa e il collo, la rotazione e il riporto sono regolabili. Questo impianto può essere proposto nelle omartrosi centrate. I risultati sono buoni a oltre 10 anni.

Teste o calotte omerali Esse mirano a riprodurre l’anatomia. Il sistema di terza generazione permette di mantenere il posizionamento posteriore e mediale rispetto all’asse della diafisi. Ci sono diversi diametri e diversi spessori, per adattarsi meglio all’anatomia originale di ogni omero. Solitamente, sono costituite da una lega metallica (cromo cobalto). Di recente, sono disponibili anche in pirocarbonio e il loro obiettivo è quello di non utilizzare la glena in caso di non copertura (emiartroplastica).

Impianti glenoidei La letteratura è unanime e le protesi dette “totali” (con rifacimento glenoideo) forniscono risultati migliori rispetto all’emiartroplastica (rispetto della glena). Tuttavia, l’allentamento è molto comune oltre i 10 anni.

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Figura 1.

Vista radiologica di una protesi totale inversa.

L’impianto può essere o posizionato con una staffa metallica avvitata (si parla, allora, di metal-back) o sigillato direttamente nell’osso glenoideo con cemento. Il “metal-back” è stato progressivamente abbandonato, tenuto conto dell’allentamento precoce, delle dissociazioni metallo-polietilene (PE) e dell’usura accelerata del PE. Il fondo può essere piatto o convesso e l’ancoraggio può essere effettuato con borchie o con chiglia con del cemento. L’obiettivo è quello di mantenere il maggiore osso subcorticale possibile. Alcuni impianti sono più spessi dietro che davanti (aumento posteriore). L’obiettivo è di compensare l’usura asimmetrica della glena. Ma, attenzione, questo tipo di impianto non permette di correggere una sublussazione posteriore della testa omerale, frequentemente associata all’usura posteriore.

Impianti non anatomici (protesi totale inversa) (Fig. 1) In caso di artrosi relativa a una vecchia rottura della cuffia, il posizionamento di una protesi anatomica è destinato al fallimento. Gramont ha avuto, trent’anni fa, la brillante idea di invertire le superfici articolari. In una spalla normale, c’è un equilibrio muscolare tra le forze verso l’alto del deltoide e le forze verso il basso della cuffia dei rotatori. In caso di rottura vecchia della cuffia dei rotatori, si creano uno squilibrio delle forze con migrazione superiore della testa omerale e una retrazione del deltoide che porta a un’articolazione non funzionale. La PTI è caratterizzata da un centro di rotazione fisso con le superfici articolari congruenti per consentire l’elevazione con il solo muscolo deltoide, compensando i muscoli della cuffia carenti, ma senza una componente ascensionale. L’abbassamento dell’omero rispetto alla glena ripristina la tensione del deltoide, garantendo stabilità e robustezza. La medializzazione del centro della rotazione dell’omero riduce lo stress sulla componente glenoidea e aumenta il braccio di leva del deltoide, migliorando, così, la sua efficienza tanto in mobilità che in stabilità. EMC - Medicina Riabilitativa

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Impianti glenoidei Essi sono composti da due parti: una piastra glenoidea e una sfera. La piastra glenoidea è di metallo e fissata da un perno centrale, la cui lunghezza può variare (per facilitare l’ancoraggio, in caso di intervento di revisione o di necessità di innesto osseo). A seconda del modello, vengono utilizzate da due a quattro viti per fissarla. Alcune piastre sono più spesse e lateralizzano il centro di rotazione, mentre altre consentono la realizzazione di un innesto osseo per lateralizzare ugualmente, ma lasciando il centro di rotazione nell’osso. La sfera è adattata alla piastra utilizzando un cono. Le loro dimensioni variano da 32 a 42 mm. Lo spessore è variabile, per consentire una lateralizzazione del centro di rotazione.

Impianti omerali Ce ne sono di due tipi: • preparati anatomici (cfr. supra, impianti convertibili), su cui è adattato un distanziatore metallico con un inserto in PE. Questi impianti lateralizzano l’omero; • le aste non anatomiche (angolo cervicodiafisario di 155◦ ), in cui si inserisce un inserto regolabile in altezza in PE (per aumentare la lunghezza dell’omero e ottenere una migliore stabilità, se necessario). Diversi studi clinici hanno mostrato buoni risultati a più di dieci anni. Frequentemente, è segnalata la presenza di una tacca sulla glena, ma non è mai stata osservata in relazione a un allentamento. Per evitare questi inconvenienti, viene proposto di lateralizzare il centro di rotazione. Ci sono tre possibilità per lateralizzazione il centro di rotazione di una PTI: • lateralizzazione della piastra glenoidea (con un innesto osseo o nell’impianto); • l’uso di una sfera eccentrica; • l’uso di un impianto omerale anatomico. Inizialmente, le PTI sono state proposte per il trattamento delle omartrosi eccentriche. Le indicazioni sono state estese alle rotture massive della cuffia dei rotatori, anche in assenza di artrosi (soprattutto nelle grandi rotture anterosuperiori che includono il tendine del sottoscapolare). Dati i migliori risultati clinici e radiologici osservati a più di dieci anni rispetto alle protesi anatomiche, le indicazioni delle protesi inverse furono gradualmente sviluppate ed è stato riportato l’uso di questa protesi in tutte le artrosi a cuffia sana (omartrosi centrata, artrite reumatoide, tumori, fratture, artrosi post-traumatica, ecc.). Oltre alla migliore tenuta glenoidea, il loro vantaggio risiede nella correzione della stabilità statica gleno-omerale.

 Principi fondamentali della riabilitazione La riabilitazione delle protesi di spalla ha vincoli specifici legati alle difficoltà postchirurgiche relative ai tipi di protesi, all’età dei pazienti e alle loro aspettative. Tuttavia, i numerosi studi pubblicati sulla fisiologia e sulla fisiopatologia della spalla e sui vari approcci riabilitativi riguardanti le protesi, articolari o meno, sono di interesse, diretto o indiretto, per la riabilitazione della protesi della spalla.

Spalla, una complessa articolazione Mentre il posizionamento di una protesi riguarda il trattamento delle patologie che interessano l’articolazione gleno-omerale, sia di origine osteoarticolare che di origine muscolotendinea, è opportuno, per la riabilitazione, prendere in considerazione l’intero complesso articolare della spalla, per non parlare della colonna cervicotoracica. Così, durante il movimento di elevazione, due giunti, l’acromioclavicolare e lo sterno-costo-clavicolare, e lo spazio di scivolamento scapolo- serrato-toracico intervengono congiuntamente. EMC - Medicina Riabilitativa

L’articolazione acromioclavicolare è spesso un po’trascurata nella riabilitazione della spalla in generale. La sua rigidità può, comunque, avere importanti conseguenze sulla mobilità del complesso della spalla. I movimenti di questa articolazione sono legati a quelli della scapola e si svolgono in tre modi: movimenti superiori e inferiori, movimenti di apertura e di chiusura dell’angolo scapoloclavicolare e rotazione assiale. L’origine della rigidità può essere capsulolegamentosa, ma anche muscolare (tensione dei muscoli grande e piccolo pettorale, subclaveare e trapezio superiore). La diagnosi di malfunzionamento di questa articolazione è stata evidenziata da Cadogan et al. [2] , ma i test proposti sono difficili da usare perché troppo vincolanti nel postoperatorio. Il trattamento consiste nell’applicazione di tecniche manuali passive (mobilizzazione dell’estremità distale della clavicola rispetto all’acromion tipo scivolamento-spostamento anteriore e posteriore). I movimenti della scapola si osservano nei tre piani dello spazio [3–6] . I più importanti da recuperare durante la riabilitazione sono quelli detti “campana laterale” (upward rotation). Questo movimento varia linearmente con l’angolo omerale e rappresenta il 30-40% dell’ampiezza complessiva dell’elevazione. Un altro movimento è una rotazione intorno a un asse verticale e consiste in una retrazione (spesso limitata), frontalizzando la scapola sulla cassa toracica, o in una protrazione (poco limitata in generale), facendo scivolare la scapola secondo il piano in cui avviene il movimento di elevazione. L’ultimo movimento è una bascula posteriore (posterior tilt) della scapola intorno a un asse parallelo alla colonna vertebrale. I movimenti della scapola sono anche legati al funzionamento delle articolazioni sterno-costo-clavicolare e acromioclavicolare. La mobilità scapolotoracica è, quindi, un elemento essenziale della mobilità complessiva della spalla. Il suo recupero precoce e rapido durante la riabilitazione è una priorità per il fisioterapista. Inoltre, la scapola deve essere un elemento stabile anche per il funzionamento ottimale dei muscoli motori dell’articolazione gleno-omerale, perché la loro inserzione prossimale è, per tutti, sulla scapola o sulla clavicola.

Ritmo scapolo-omerale Il concetto di ritmo scapolo-omerale (RSH) è stato definito da Codman come l’interazione cinematica tra la scapola e l’omero durante i movimenti della spalla. Pallot [7] parla di organizzazione spaziale delle articolazioni del cingolo scapolare contemporaneamente in funzione. Nel movimento di sollevamento, secondo Scibek et al. [8] , la scapola contribuisce al 2,5% del movimento per i primi 30 gradi, al 20-40% tra i 30◦ e i 90◦ e a più del 50% tra i 90 e i 120◦ . Per Favard et al. [9] , la gleno-omerale assicura i tre quarti del movimento fino a 90◦ di elevazione e meno di due terzi dopo. McClure et al. [6] hanno analizzato i movimenti della scapola nei tre piani dello spazio durante l’elevazione. Hanno constatato che l’upward rotation interviene linearmente oltre i 50◦ di elevazione. La rotazione laterale (retrazione) e l’inclinazione posteriore non aumentano linearmente e sono presenti soprattutto al termine del movimento di sollevamento. Braman et al. [10] hanno fatto la stessa osservazione. In un articolo che analizza i movimenti della scapola, Forte et al. [11] hanno constatato un’ampiezza della “campana esterna” e della bascula grande posteriore più importante a 60◦ e a 90◦ di elevazione, quando i movimenti sono eseguiti contro resistenza. Inoltre, la RSH non riguarda solo il movimento di elevazione: la retrazione e l’inclinazione posteriore accompagnano la rotazione laterale, l’inclinazione anteriore e la downward rotation accompagnano la rotazione mediale, l’anteroversione accompagna l’estensione e la downward rotation accompagna l’adduzione. Secondo Boileau, citato da Favard et al. [9] , la RSH è molto variabile nelle protesi anatomiche, con soggetti con una RSH vicina alla normalità e altri presentano una maggiore partecipazione della scapolotoracica. Nella protesi inversa, i soggetti usano, in proporzione, più la scapolotoracica rispetto alla gleno-omerale, per sollevare l’arto superiore [9, 12] . Kontaxis e Johnson [13] hanno fatto la stessa osservazione pur rilevando un’alta variabilità a seconda dei soggetti. De Toledo et al. [14] hanno constatato che, a prescindere dal tipo di protesi, la partecipazione della scapolotoracica

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ai movimenti è sempre più importante rispetto ai soggetti sani. Quindi, è essenziale che i pazienti recuperino una mobilità completa scapolotoracica.

Colonna cervicotoracica Crosbie et al. [15] considerano che l’omero, la scapola e il rachide toracico sono oggetto di azioni sincrone in tutti i movimenti della spalla. Hanno analizzato i movimenti della colonna vertebrale nei movimenti di elevazione della spalla eseguiti in tre piani (sagittale, scapolare e coronale) in unilaterale o in bilaterale. Così, si può osservare una piccola estensione del rachide toracico alto, essenzialmente nei movimenti bilaterali. L’estensione è maggiore nel rachide toracico inferiore, specialmente quando il movimento viene eseguito nel piano sagittale. Nei movimenti unilaterali, si osservano un’inclinazione controlaterale della colonna vertebrale toracica inferiore e una bassissima inclinazione omolaterale nella colonna vertebrale toracica alta. Per quanto riguarda la rotazione assiale, essa interviene essenzialmente a livello della colonna toracica alta.

Mobilità passiva Un obiettivo della riabilitazione è quello di ritrovare rapidamente la mobilità in elevazione globale della spalla prima che si instaurino eventuali aderenze o rigidità. Per quanto riguarda le rotazioni, compresa la rotazione laterale, il loro recupero è ritardato a seconda della via d’accesso scelta dal chirurgo (tempo di guarigione del muscolo sottoscapolare). La mobilità della scapola è dipendente da fattori articolari, a livello delle articolazioni acromioclavicolare e sterno-costoclavicolare, ma anche muscolari, che costituiscono l’essenziale [5] . Le cause sono una cattiva cinematica preoperatoria (massiccia rottura della cuffia dei rotatori, omartrosi eccentrica) e le posizioni antalgiche morfostatiche caratteristiche degli anziani (cifosi toracica, flessione anteriore della scapola). Su una cifosi toracica, Lewis e Valentino hanno validato un metodo di misurazione utilizzando due inclinometri [16] . Inoltre, attraverso diversi studi, hanno evidenziato l’impatto della cifosi toracica sulla mobilità del complesso articolare della spalla, in particolare in flessione e in abduzione nel piano della scapola. I trattamenti che offrono sono progettati per migliorare gli squilibri muscolari. Viene usato anche il taping [17, 18] . Nel quadro della riabilitazione della protesi di spalla, si tratta, quindi, in caso di ipercifosi toracica, di valutarne la riducibilità e di proporre esercizi mirati sul lavoro degli estensori del rachide. Per quanto riguarda la scapola, l’obiettivo della riabilitazione è quello di recuperare particolarmente i movimenti di oscillazione, di campana laterale (upward rotation) e di rotazione laterale. Le tecniche utilizzano in particolare il piccolo pettorale, che limita l’inclinazione posteriore, e l’elevatore della scapola e i romboidali, che limitano la campana laterale della scapola. I dati della letteratura vanno in questa direzione: la rivista di Ellenbecker e Cools nel 2010 [19] , lo studio clinico di Lewis nel 2012 [20] o i lavori di Watson et al. [21] . Diverse scelte sono possibili a seconda del soggetto e dell’esperienza del medico: eliminare le tensioni secondo Peninou e Tixa [22] , strain counterstrain di Jones [23] e tecniche proposte da Marc et al. [24] , fondate sull’innervazione reciproca utilizzando l’attività dei muscoli antagonisti. Per quanto riguarda l’articolazione gleno-omerale, il fisioterapista esegue delle mobilitazioni passive specifiche dolci e senza mai forzare la fine dell’ampiezza. Nelle PTA, le tecniche di mobilizzazione sono conformi a quelle applicate per un’articolazione gleno-omerale fisiologica. Un punto particolare riguarda l’allungamento della capsula posteriore. Nelle PTI, lo scorrimento della neotesta omerale avviene nello stesso senso del movimento. Un punto particolare è lo stiramento dei muscoli adduttori, in particolare il grande rotondo e il grande dorsale. La mobilità globale è, allo stesso modo, approcciata in modo complementare all’azione del fisioterapista sotto forma di automobilizzazioni a mani giunte, come sostiene Liotard [25, 26] . Questo tipo di automobilizzazione limita le compensazioni ed è più fisiologica perché fa appello a programmi motori automatici. Non

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subendo il movimento, ma controllandolo da sé, il paziente è più rilassato, in particolare per quanto riguarda i muscoli antagonisti al movimento. L’attività muscolare alla spalla operata è trascurabile, come hanno dimostrato Gaunt et al. [27] in un’analisi elettromiografica eseguita durante i movimenti autopassivi. Questa automobilizzazione viene eseguita tra le sedute. Gli esercizi sono supervisionati dal fisioterapista, che ne assicura l’apprendimento e che controlla la loro esecuzione.

Mobilità attiva Per quanto riguarda la mobilità attiva, è essenziale non iniziare la sua riabilitazione prima di un sufficiente recupero della mobilità passiva. Iniziare il lavoro attivo su una spalla insufficientemente flessibile espone a compensazioni, a dolori e a difficoltà per il paziente legate alle resistenze interne da superare. Alla fine, i movimenti così effettuati non fanno parte dei modelli di movimento fisiologici e sono all’origine di disturbi sul piano gestuale. Ciò consente anche di avere meno stress sulla protesi. Una mobilità passiva all’80% della normale, vale a dire circa 150◦ di elevazione complessiva, è l’obiettivo a cui tendere per essere in grado di iniziare la riabilitazione attiva. Namdari et al. [28] hanno definito le ampiezze funzionali necessarie per le attività della vita quotidiana: 120◦ di flessione, 130◦ di abduzione, 115◦ di adduzione orizzontale e 60◦ di RE2; 130◦ di elevazione sarebbero, quindi, sufficienti per la maggior parte delle attività quotidiane. Considerando che questa ampiezza di 130◦ non deve essere un’ampiezza limite, ma che deve comportare una riserva aggiuntiva di circa venti gradi, limitando lo sforzo del paziente e assicurandogli un confort da un punto di vista funzionale, questo obiettivo riabilitativo di 150◦ è coerente. È anche il segno di un buon funzionamento della neoarticolazione su un piano biomeccanico. Va, tuttavia, considerato questo obiettivo come una soglia minima. Dal punto di vista rieducativo, è del tutto possibile andare oltre questa ampiezza. Questa ampiezza di 150◦ corrisponde anche alla posizione “zero” descritta da Saha [29] già nel 1950. Per questo autore, questa posizione è interessante per diversi motivi: si tratta di una posizione di stabilità per l’articolazione, non c’è alcun conflitto con l’acromion e la componente ascensionale del deltoide è annullata. Per le PTI, questa posizione allo zenit permette di avere un braccio di leva minimo per rafforzare il deltoide. È per questo motivo che, nella riabilitazione proposta in questo articolo, il lavoro attivo inizia sempre con esercizi eseguiti in posizione alta. Il vantaggio di questa posizione è anche quello di ridurre il braccio di leva della gravità, di limitare la compensazione, di esercitare meno stress sulla protesi e di far lavorare insieme, come avviene durante i movimenti funzionali, il deltoide e il dentato anteriore, nonché il trapezio inferiore per il suo ruolo nella retrazione e nell’inclinazione posteriore, intervenendo alla fine del movimento di elevazione. Infine, questa posizione funzionale, corrispondente alla meta finale, è incoraggiante per il paziente. Potrebbe anche essere considerata l’ipotesi di un’azione sull’immagine motoria. Le mobilità passive e attive in elevazione sono generalmente leggermente inferiori nelle PTI, essendo dovute alla struttura della protesi. Per De Toledo [14] , le ampiezze nella gleno-omerale sono inferiori nelle PTI/PTA: da 150◦ a 160◦ per una PTI e da 160◦ a 170-180◦ per una PTA. Le differenze sono più nette per quanto riguarda la rotazione laterale attiva per le PTI [30] . Ciò è essenzialmente dovuto alla presenza o meno dei principali muscoli rotatori laterali (sottospinati e piccolo rotondo). Se i sottospinati e il piccolo rotondo sono completamente rotti, l’assenza di rotazione laterale attiva e la disabilità che questo comporta per il paziente sono fattori che possono indurre il chirurgo a proporre un lembo del grande dorsale che consentirà un recupero della rotazione laterale attiva in R2. Per quanto riguarda la rotazione mediale, il movimento di portare la mano nella parte posteriore resta spesso deficitario. Questo movimento è legato anche alla progettazione della protesi inversa. In termini di forza muscolare, le differenze sono significative [31] , a scapito della PTI, e ciò si spiega, logicamente, con l’assenza, talvolta completa, della cuffia dei rotatori e la presenza di un unico muscolo motorio, il deltoide. Secondo Walker et al. [32] , l’attività elettromiografica del deltoide è superiore tra i soggetti con una PTI che in una popolazione controllo. EMC - Medicina Riabilitativa

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Aspetti neuromotori

Dal movimento al gesto

Pochi autori si sono interessati alle conseguenze del posizionamento di protesi sul piano neuromotorio e propriocettivo. Maier et al. [33] hanno studiato gli effetti della protesi di spalla, delle protesi totali o delle emiartroplastiche sulla propriocezione tre anni dopo l’intervento chirurgico, utilizzando un sistema di cattura del movimento in 3D. I pazienti sono stati esaminati un giorno prima dell’intervento, poi sei mesi e tre anni dopo. Hanno constatato che la propriocezione non migliora o, a volte, peggiora, in particolare per quanto riguarda le endoprotesi. Kasten et al. [34] , in uno studio prospettico che utilizza la stessa tecnologia, confrontano gli effetti sulla propriocezione delle emiartroprotesi, delle protesi totali e delle protesi inverse. Sei mesi dopo l’intervento chirurgico, arrivano alla stessa conclusione: la propriocezione non è migliorata e, a volte, in alcuni casi, peggiora. Hanno ipotizzato che un periodo di riabilitazione di sei mesi è, forse, insufficiente per migliorare il funzionamento del sistema neuromotorio, responsabile del senso di posizione o dei movimenti articolari. In un altro studio, Kasten et al. [35] , utilizzando un sistema di cattura del movimento in 3D, hanno valutato l’impatto della protesi di spalla sul livello di mobilità utilizzato nelle attività della vita quotidiana. La loro conclusione è che la protesi di spalla in generale migliora il livello di mobilità, ma che i pazienti non utilizzano questo potenziale nelle attività della vita quotidiana. Evocano come ipotesi i deficit propriocettivi o la persistenza di schemi di movimento patologici. Maier et al. [36] , in uno studio su 24 pazienti con protesi di spalla, hanno fatto una valutazione un giorno prima dell’intervento e tre mesi dopo e hanno constatato che un basso punteggio di Constant prima dell’intervento è un fattore predittivo negativo che interessa il livello di propriocezione nel postoperatorio. A conoscenza degli autori, non ci sono pubblicazioni riguardanti la riabilitazione propriocettiva e gli aspetti neuromotori in generale, dopo un intervento di protesi di spalla. Alcuni autori si sono, invece, interessati a questo tipo di riabilitazione nel contesto dei conflitti subacromiali o delle tendinopatie della cuffia dei rotatori. Ngomo et al. [37] hanno constatato che, nelle tendinopatie della cuffia dei rotatori, c’è una modifica della rappresentazione corticale motoria, alterazione più legata al carattere cronico del dolore che alla sua intensità. Roy et al. [38] hanno studiato gli effetti di un programma di esercizi di controllo motorio e di rafforzamento in soggetti con conflitto subacromiale. La progressione degli esercizi è stata determinata dal livello di resistenza (movimento passivo, in attivo aiutato, in attivo senza resistenza e, poi, contro resistenza) e secondo la presenza o meno di un feedback, manuale, verbale o visivo. I soggetti sperimentali sono stati confrontati con un gruppo controllo. La loro conclusione è che l’applicazione di questo programma ha portato a un significativo miglioramento per quanto riguarda il dolore e la funzione. In un altro studio in 33 soggetti con conflitto subacromiale, Roy et al. [39] si sono interessati agli effetti cinematici di un allenamento con feedback visivo. I risultati hanno mostrato una minore compensazione del tronco e, nei soggetti con maggiori deficit, un miglioramento significativo delle ampiezze. Anche nelle sequele di conflitto subacromiale, Marzetti et al. [40] hanno studiato gli effetti della riabilitazione neurocognitiva in 48 soggetti con dolore per almeno tre mesi, ripartiti in due gruppi. Il programma prevedeva una serie di esercizi eseguiti in tre modi diversi: movimento eseguito dal massofisioterapista, in cui il paziente, con gli occhi chiusi, si concentra sulle sensazioni; movimento eseguito dal paziente con gli occhi chiusi; movimento eseguito dal paziente con feedback visivo. La loro conclusione è stata che la riabilitazione neurocognitiva è stata efficace sul dolore e sul miglioramento della funzione e i risultati sono stati mantenuti per almeno 24 settimane. In uno studio su una popolazione identica, Hoyek et al. [41] hanno trovato risultati simili a seguito di una riabilitazione basata sull’immagine motoria. Durante ogni seduta, quattro movimenti sono stati immaginati mentalmente dai soggetti. Questi movimenti sono stati mostrati in precedenza dai fisioterapisti. I pazienti sono stati, poi, invitati a immaginare questi movimenti a velocità più lenta e ad alta velocità.

Il recupero delle mobilità passive e attive garantisce la libertà di movimento alla spalla, che corrisponde, nella Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (CIF), alle funzioni della spalla. Nelle attività della vita quotidiana, tali funzioni articolari e muscolari sono necessarie e al servizio del gesto, vale a dire di un movimento legato a un’intenzione. Dal punto di vista gestuale, la spalla è al servizio della mano. Pertanto, qualsiasi riabilitazione gestuale della spalla deve integrare la mano. Questa concezione cambia profondamente il coinvolgimento del cervello sugli aspetti neuromotori coinvolti. Come sviluppato da Berthoz [42] , il cervello simula il gesto prima di agire e questo permette di anticipare le azioni. Così, le strategie motorie, la velocità dei movimenti, le ampiezze articolari e le differenti sinergie muscolari sono già operative prima dell’inizio di questa azione. Nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e nello sport, l’azione è sempre motivata da un obiettivo intenzionale. E, sia per la locomozione che per le azioni concernenti soprattutto l’arto superiore, il cervello prevede di raggiungere questo obiettivo delle traiettorie, corrispondente a un’efficacia ottimale, con la strategia più economica. In questo processo, la visione gioca un ruolo importante. È lo sguardo del soggetto puntato sull’obiettivo che permetterà al cervello di implementare questo processo (per esempio, per la scelta di un oggetto). Le implicazioni per la riabilitazione sono evidenti: nel quadro delle patologie della spalla, qualsiasi riabilitazione del gesto deve integrare la mano (il paziente non deve pensare, nel corso degli esercizi, che mobilizza la spalla, ma si deve concentrare sulla mano e guardarla), attraverso azioni che siano coerenti con quelle della vita di tutti i giorni. Occorre dare un senso al movimento. Questo è ciò che permette di sollecitare le strutture cerebrali del soggetto. Van Vliet e Heneghan [43] vanno nella stessa direzione e considerano che, nel trattamento delle disfunzioni muscoloscheletriche, gli esercizi orientati a un compito favoriscono il controllo motorio e, in definitiva, la funzione. Inoltre, l’uso di movimenti simmetrici bilaterali consente l’accoppiamento dei comandi motori per via interemisferica durante i movimenti simultanei. Si ha una facilitazione di movimento dell’arto superiore operato apportata dall’arto superiore sano. In qualche modo, l’arto superiore sano fa imparare di nuovo il gesto all’arto superiore operato. Altre possibilità: esercizi di visualizzazione mentale ed esercizi con feedback visivo, per esempio davanti a uno specchio.

EMC - Medicina Riabilitativa

 Valutazione preoperatoria e strumenti di monitoraggio Dopo la decisione dell’intervento presa dal chirurgo, è auspicabile che il fisioterapista possa incontrare il paziente qualche giorno prima dell’artroprotesi. Durante questa seduta, il fisioterapista effettua una valutazione che consente di valutare lo stato della spalla prima dell’intervento e anche di stabilire un elemento di confronto con la spalla controlaterale. Questa seduta include anche un periodo di informazione e di educazione. Si tratta di informare il paziente sulle attività riabilitative. In concreto, gli si presenta il tutore di immobilizzazione e il modo di metterlo e di toglierlo per la pulizia e per gli esercizi di automobilizzazione, che saranno insegnati al paziente in questa fase e, in eseguito, nelle sedute. Vengono anche dati consigli per la vita quotidiana. Infine, il fisioterapista risponde alle domande del paziente e del suo coniuge, spesso presente in questa fase, in modo complementare al chirurgo, e senza oltrepassare le proprie competenze. L’obiettivo, attraverso un discorso positivo, è quello di rassicurare il paziente e di permettere una riabilitazione ottimale dall’inizio del trattamento riabilitativo. Un documento o un libretto vengono forniti al paziente nel quale trova, spiegate e illustrate in modo semplice, le varie fasi della riabilitazione. Durante la riabilitazione, il fisioterapista effettua regolarmente una valutazione, adattata in funzione della fase di riabilitazione. Questa valutazione consente di stabilire una diagnosi fisioterapica, con una conseguente scelta coerente della terapia. I criteri

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I – 26-210-A-40  Riabilitazione delle protesi di spalla

Giorno dell’ intervento

4 settimane

6 settimane Valutazione e radiografia

Ritiro progressivo della stecca Durante il giorno e la notte

Stecca del gomito al corpo giornoe notte Da rimuovere per: - vestirsi con aiuto - toilette con aiuto - esercizi di automobilizzazione

Non usare il braccio operato ESERCIZI di automobilizzazione

ESERCIZI di automobilizzazione

Riabilitazione 3 volte a settimana Figura 2.

6 mesi Valutazione e radiografia CHP

Assenza della stecca

Assenza della stecca

Riutilizzare il braccio operato per semplici attività della vita quotidiana (vestirsi, andare in bagno, mangiare, prendere oggetti leggeri)

Riutilizzare il braccio operato normalmente nella vita quotidiana. Condotta Attività domestiche

ESERCIZI di automobilizzazione

ESERCIZI di automobilizzazione

Riabilitazione 3 volte a settimana

Riabilitazione 1-2 volte a settimana a seconda dell'evoluzione

Attività più fisiche: fai da te, giardinaggio

Protesi totale anatomica di spalla: protocollo postoperatorio. CHP: ospedale privato.

principali sono il dolore, la mobilità passiva e attiva, le carenze muscolari (contratture ipoestensibilità, contrattilità), la qualità del ritmo scapolo-omerale e la funzione nella vita quotidiana. I punteggi validati sono utili per la valutazione dei risultati, in particolare il punteggio di Constant (con una restrizione riguardante la valutazione della forza muscolare durante i primi mesi), lo Score Subjective Shoulder Value (SSV) e le Disabilities of the Arm, Shoulder and Hand (DASH) o il Quick DASH, per gli aspetti funzionali più specifici. Tutti questi elementi di seguito sono comunicati al chirurgo che, a sua volta, trasmette al fisioterapista i risultati delle sue visite. È importante che queste valutazioni siano effettuate in modo rigoroso e standardizzato, per garantire l’obiettività, ma anche per consentire l’effettuazione, in vista delle pubblicazioni, di studi clinici.

 Modalità di riabilitazione a seconda del tipo di protesi A conoscenza degli autori, non ci sono studi che confrontano l’efficacia dei diversi protocolli di riabilitazione delle protesi della spalla. Tuttavia, varie pubblicazioni [26, 44–49] evidenziano un consenso professionale con piccole differenze. Così, sono, generalmente, descritte tre fasi: una prima fase di protezione delle procedure chirurgiche, indossando un tutore del gomito al corpo, il cui obiettivo è di recuperare la gamma delle ampiezze passive e di garantire l’assenza di dolore; una seconda fase, dopo la rimozione del tutore, per recuperare il movimento attivo contro la gravità o contro resistenza moderata; una terza fase, talvolta completata da una quarta fase, orientata al ritorno alle attività precedenti, in cui vengono introdotte gradualmente resistenze più grandi. Gli autori evidenziano anche l’importanza del coinvolgimento del paziente attraverso un programma di automobilizzazione per integrare la cura dal fisioterapista. Infine, la collaborazione tra il chirurgo, il fisioterapista ma, anche, il paziente è essenziale.

Protesi totale anatomica Lo svolgimento generale della riabilitazione è sintetizzato nella Figura 2.

Caratteristiche principali La riabilitazione delle PTA è più vicina nello spirito a quella della rottura della cuffia dei rotatori operata. Occorre un po’considerarla come la riabilitazione di una sutura del sottoscapolare. La cuffia nel suo insieme, nei pazienti più anziani, è

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3 mesi Valutazione e radiografia CHP

meno efficiente. Il concetto di protezione della cuffia è essenziale durante la fase 1. La riattivazione muscolare iniziata nella fase 2 deve essere prudente e graduale. La riabilitazione deve consentire la riattivazione della cuffia nel suo ruolo di compressione attiva della testa nella glena. La testa, così, ben centrata sulla cavità glenoidea durante i movimenti, permette una migliore distribuzione delle sollecitazioni sul pezzo glenoideo e, quindi, un buon recupero funzionale. La riabilitazione deve rispettare formalmente il dolore. Il sopraggiungere di un dolore persistente deve allertare il fisioterapista e richiede l’informazione del medico. La durata delle fasi descritte è quella il più delle volte osservata, ma può variare secondo i protocolli stabiliti dal chirurgo. Questi tempi sono indicativi, perché dipendono dai progressi del paziente. Sono indicati dei criteri specifici per il passaggio alla fase successiva.

Fase 1 (dal giorno 1 al giorno 45) La riabilitazione inizia immediatamente dopo l’intervento o pochi giorni dopo. Gli obiettivi specifici di questa fase sono quelli di assicurare l’analgesia e di recuperare le ampiezze passive o autopassive.

Precauzioni Una stecca del gomito al corpo viene indossata per quattro-sei settimane (Fig. 3). Questa stecca viene rimossa completamente durante le sessioni di riabilitazione o di automobilizzazione e, poi, per la toilette e per vestirsi, azioni che richiedono un aiuto. Nel caso di una via d’accesso inizialmente deltopettorale, la rotazione laterale è vietata, in modo da proteggere il sottoscapolare. Secondo i chirurghi, possono essere necessari altri tipi di stecche: in abduzione o in rotazione neutra.

Condotta da tenere per il paziente • Vita quotidiana: la stecca del gomito al corpo viene mantenuta giorno e notte. Viene rimossa solo per vestirsi e per la toilette (con un aiuto). • Automobilizzazione (cinque movimenti cinque volte al giorno) (Fig. 4). • Esercizi per migliorare la postura (retroversione di Marc [24] ) (Fig. 5). • Applicazioni di ghiaccio. Sul piano del sollievo dal dolore, si tratta soprattutto di privilegiare le tecniche che mirano al rilassamento muscolare di tutta la regione. A tal fine, può essere praticato il massaggio decontratturante della regione cervicoscapolare. Per quanto riguarda la colonna cervicotoracica, si privilegiano le trazioni EMC - Medicina Riabilitativa

Riabilitazione delle protesi di spalla  I – 26-210-A-40

Figura 4.

Figura 3.

Elevazione delle mani giunte in decubito.

Ortesi di immobilizzazione del gomito al corpo.

dolci o le mobilitazioni specifiche, tipo Sohier [50] o equivalenti. L’applicazione di ghiaccio al termine delle sedute e l’uso dell’elettrostimolazione transcutanea dei nervi (TENS) sono utili nella lotta contro l’infiammazione e il dolore. Sono utilizzate tecniche di drenaggio per ridurre il gonfiore. Il posizionamento nella stecca e il posizionamento nel letto (cuscino sotto il gomito) sono importanti. Le tecniche di rilassamento attraverso esercizi di respirazione e i classici esercizi del pendolo appresi dal paziente vengono eseguiti al di fuori delle sedute. Il secondo obiettivo è quello di recuperare, se possibile, in modo rapido, le ampiezze passive e autopassive in elevazione. Vengono utilizzate tecniche analitiche e globali. Le tecniche analitiche sono quelle utilizzate dal massofisioterapista e cercano di recuperare la mobilità di tutto l’insieme del complesso della spalla. Le tensioni muscolari dopo l’intervento sono numerose e, spesso, erano presenti prima dell’intervento chirurgico. I muscoli scapolotoracici sono prevalentemente interessati, soprattutto il piccolo pettorale, l’elevatore della scapola, il trapezio superiore, i romboidi e il dentato posteriore e superiore. Le tecniche sono molteplici: aumento della tensione di Peninou e Tixa [22] , fondato sul contrarre rilassare, lo “strain counterstrain” di Jones [23] , ben adattato in caso di contratture dolorose, e l’esercizio di “retroversione” di Marc [17] , fondato sulla reciproca innervazione di Sherrington e che mira al rilassamento del piccolo pettorale, attraverso la contrazione del suo antagonista, il trapezio inferiore. Altre tecniche utilizzate: la mobilizzazione in scivolamento anteriore e posteriore dell’articolazione acromioclavicolare (la sua perdita di mobilità può essere fonte di importanti limitazioni della mobilità complessiva della spalla), la mobilizzazione passiva della scapola (Fig. 6) e le mobilizzazioni specifiche della colonna vertebrale cervicotoracica. Per quanto riguarda l’articolazione gleno-omerale, le contratture del piccolo rotondo e del grande rotondo sono le cause principali delle limitazioni e devono essere trattate (innalzamento della tensione, allungamento). L’allungamento della capsula posteriore è praticato anche al termine della fase di recupero delle ampiezze. Le mobilizzazioni passive (dolci, non forzate alla EMC - Medicina Riabilitativa

Figura 5. Esercizio dello “retroversione” di Marc. Al paziente viene chiesto di portare le scapole indietro e verso il basso. Il fisioterapista accompagna il movimento. L’esercizio fisico è praticato anche dal paziente al di fuori delle sedute.

fine dell’ampiezza), da parte del fisioterapista, dell’articolazione gleno-omerale sono praticate seguendo gli stessi principi usati per un’articolazione fisiologica. In modo complementare, al di fuori delle sedute, sono utilizzate le mobilitazioni globali della spalla e, in particolare, le automobilizzazioni tipo Liotard [25, 26] . Il numero totale di movimenti è ridotto (cinque movimenti per cinque volte al giorno), per evitare qualsiasi reazione infiammatoria, ma sufficiente per partecipare al recupero della mobilità passiva globale e per mantenere l’immagine motoria (cfr. “Principi fondamentali della riabilitazione”). Il paziente viene anche introdotto alla pratica dei movimenti immaginati. Per essere più vicino al concetto

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I – 26-210-A-40  Riabilitazione delle protesi di spalla

di gesto, i movimenti sono scelti dal paziente e corrispondono ai gesti reali effettuati nel contesto specifico del paziente, cosa che è favorevole al controllo motorio [43] . Se necessario, si deve anche preservare la mobilità delle articolazioni sottostanti: gomito (una posizione in flessione troppo a lungo mantenuta può comprimere il nervo ulnare e causare disestesie distali), polso e mano. Quando è ottenuta la guarigione cutanea, la fisioterapia in acqua calda ha la sua utilità, soprattutto in termini di rilassamento muscolare e di analgesia. L’elettrostimolazione completa il trattamento riabilitativo. Muscoli bersaglio: infraspinato, sovraspinato. Alla fine, la maggior parte della mobilità è da recuperare durante le prime sei settimane e la rigidità aumenta le resistenze interne al movimento durante l’elevazione attiva.

attiva in elevazione contro la gravità. Nota: il lavoro attivo in elevazione deve iniziare solo dopo un sufficiente recupero delle ampiezze passive, cioè circa 150◦ (cfr. “Principi fondamentali della riabilitazione”). Si tratta anche di rendere l’estremità superiore funzionale per le attività della vita quotidiana, tranne il sollevamento di carichi pesanti o altre attività che generano una resistenza significativa.

Precauzioni Il lavoro contro resistenza non viene ancora praticato in questa fase. Le manovre forzate sono controindicate per recuperare le ampiezze. Le tecniche attive o autopassive sono preferite.

Condotta da tenere per il paziente

Fase 2 (dal giorno 45 al giorno 90) Condizioni per il passaggio alla fase 2 Sono: spalla non dolorosa, ampiezze passive in elevazione superiori o uguali a 150◦ .

Obiettivi specifici In questa fase, consistono nel recuperare le ampiezze in rotazione laterale e rotazione mediale e nel recuperare la mobilità

Figura 6.

Mobilizzazione della scapola in campana laterale.

• Consigli per la vita quotidiana: permesso di utilizzare l’arto superiore operato per semplici attività della vita quotidiana (vestirsi, andare in bagno, mangiare, prendere oggetti leggeri). • Esercizi di automobilizzazione (Fig. 7). Per quanto riguarda il movimento di sollevamento, le tecniche di automobilizzazione sono praticate in progressione nelle posizioni semiseduta e seduta, permettendo, così, un carico muscolare progressivo. Il recupero delle mobilità di rotazione viene effettuato in maniera attiva o autopassiva. La rotazione mediale è praticata con il braccio lungo il corpo (il movimento che consiste nel portare la mano posteriormente è vietato perché estende significativamente l’intervallo dei rotatori). Il lavoro attivo in elevazione avviene inizialmente con esercizi posizionare-mantenere in posizione semiseduta (Fig. 8), poi, rapidamente, in posizione seduta e in piedi (Fig. 9). Poi, il lavoro attivo in elevazione viene eseguito sopra i 90◦ (cfr. “Principi fondamentali della riabilitazione”). Questa posizione, in cui il deltoide non ha più la sua componente ascensionale è protettiva per i tendini della cuffia. Un metodo di base è quello di evitare gli esercizi con i gomiti tesi, a beneficio degli esercizi che associano flessione ed estensione del gomito. Questo metodo, oltre a permettere un miglior controllo del momento della gravità, è anche più vicino alla funzione negli atti correnti. Questo metodo si trova nell’esercizio tipo “military press”. Questo esercizio consiste nel fornire una flessione della spalla, con o senza carico, a partire da una posizione a gomito flesso, seguendo la mano un movimento lineare. Secondo lo studio di Ichihashi et al. [51] , che comparavano questa modalità rispetto al movimento eseguito con il gomito esteso, i movimenti della scapola (in particolare “upward rotation” e “posterior tilt”) erano di maggiore ampiezza nell’esercizio tipo “military press”. Conoscendo l’importanza della parte della mobilità della scapola nella mobilità complessiva della spalla per le protesi di spalla, è importante privilegiare e, a volte, sistematizzare questa modalità. Progressione degli esercizi: • posizionare-mantenere in “posizione zero” consente la stimolazione congiunta del deltoide e dei muscoli della cuffia dei

A Figura 7.

8

B

Rotazione laterale attiva (A, B).

EMC - Medicina Riabilitativa

Riabilitazione delle protesi di spalla  I – 26-210-A-40

Figura 8. finale).

Posizionare-mantenere in posizione semiseduta (posizione

rotatori. Esercizi che possono essere riprodotti al domicilio del paziente, dal momento che la fase di “posizionare” è effettuata con l’aiuto dell’arto superiore sano; • gli esercizi eccentrici non sono raccomandati perché aumentano la tensione nei tendini dei rotatori; • esercizio attivo aiutato sull’intero movimento, con il massofisioterapista che accompagna il movimento a livello scapolotoracico e gleno-omerale; • esercizi con mano sul palloncino (Fig. 10) o su un rullo (Fig. 11). Sono effettuati fra i 90◦ di elevazione e lo zenit. La mobilizzazione è facilitata dall’alleggerimento da parte dell’oggetto del peso dell’arto superiore. La riabilitazione in acqua ha lo stesso effetto di controllo degli effetti della gravità e favorisce il rilassamento del soggetto; ® • esercizi di stabilizzazione in posizione alta con Flexibar (Fig. 12): questo strumento permette di combinare il rafforzamento e la propriocezione. L’alternanza di compressionedecompressione causata dalle oscillazioni stimolerà l’attività muscolare nel suo ruolo di stabilizzazione dell’articolazione. Gli esercizi possono essere eseguiti bilateralmente in diverse posizioni tra lo zenit e l’orizzontale (ottenuti con entrambe le mani tra i 90◦ e l’ampiezza massima di elevazione); • riattivazione dei rotatori laterali: gli esercizi sono realizzati in quasi-isometria (non più di 5-10◦ di mobilità) contro resistenze elastiche, per evitare effetti di taglio sui tendini della cuffia. Le resistenze in questa fase sono moderate. Le serie sono brevi: ◦ esercizio del gomito al corpo per l’infraspinato (posizione di maggiore attività, secondo Kurokawa et al. [52] ), con, per ® esempio, l’Orthoband ◦ il piccolo rotondo viene stimolato in posizione R2, la sua posizione privilegiata sul piano biomeccanico [52, 53] . La riabilitazione globale e gestuale segue rapidamente la riabilitazione analitica. Gli esercizi possono essere fatti bilateralmente (facilitazione del movimento dell’arto superiore operato da parte dell’arto superiore sano, con accoppiamento dei comandi motori per via interemisferica) e unilateralmente. Come descritto in precedenza (“Principi fondamentali della riabilitazione”), si tratta di dare un senso al movimento, per esempio prendere un picEMC - Medicina Riabilitativa

Figura 9. Posizionare-mantenere in elevazione: il paziente deve “mantenere” nella posizione in cui è stato portato dal fisioterapista o con l’aiuto dell’arto superiore controlaterale (fase “posizionare”).

colo oggetto o colpire un bersaglio. Durante gli esercizi, occorre chiedere al paziente di guardare la sua mano e di concentrarsi sulla sua mano. Degli esercizi possono essere praticati con feedback visivo (davanti a uno specchio). Altri esempi di esercizi: esercizio allo specchio con la mano del terapista (il paziente deve seguire con la sua mano i movimenti della mano del fisioterapista, giocando con un pallone di plastica [questo esercizio combina gesto e vista e permette di compiere movimenti in più direzioni, associando i movimenti di tutto il corpo]. I movimenti lenti della palla sono adattati al livello di recupero del soggetto. Lo sforzo muscolare è moderato a causa del peso trascurabile del pallone). Per Yamauchi [54] , gli esercizi con movimento del tronco aumentano le ampiezze di rotazione esterna e di bascula posteriore, promuovendo l’attività del trapezio inferiore e diminuendo il rapporto trapezio superiore/trapezio inferiore. Il fisioterapista può lavorare anche partendo da situazioni concrete [43] , descritte dal paziente, analizzando i problemi e cercando soluzioni con il paziente.

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I – 26-210-A-40  Riabilitazione delle protesi di spalla

Figura 10. Esercizio con palla di KleinVogelbach. A. Inizio del movimento. B. Fine del movimento.

A

B

Figura 11. Esercizio con rulli. A. Movimento di elevazione contro la parete con il rullo. B. Il paziente toglie il rullo dalla parete.

A

Fase 3 (oltre il giorno 90) Condizioni di passaggio a questa fase Ampiezze passive complete, spalla senza dolore, elevazione attiva contro la gravità con un corretto ritmo scapolo-omerale.

Obiettivo principale In questa fase, è quello di aumentare la forza muscolare con uno scopo funzionale.

Precauzioni Le resistenze restano submassimali. Non si tratta di una recupero funzionale ma di uno stimolo muscolare al servizio della

10

B funzione, con concetti di ripetizione e di resistenza. Assenza di lavoro della mano nella parte posteriore. Assenza di rafforzamento eccentrico. Assenza di lavoro contro carichi pesanti prima di sei mesi.

Condotta da tenere per il paziente • La vita quotidiana: uso normale dell’arto superiore. • Automobilizzazione. Gli strumenti utilizzati sono prevalentemente la resistenza manuale e le resistenze elastiche che permettono un lavoro secondo la modalità concentrica e isometrica. Inoltre, ciò permette di lavorare in sicurezza, perché le resistenze sono autoridotte. EMC - Medicina Riabilitativa

Riabilitazione delle protesi di spalla  I – 26-210-A-40

A Figura 12.

Figura 13.

B ®

Esercizio con Flexibar (A, B).

Rafforzamento del trapezio inferiore.

Muscoli mirati I muscoli motori della scapola, in particolare il dentato anteriore e i trapezi inferiore e medio (Fig. 13). I muscoli piccolo pettorale e trapezio superiore, spesso ipertonici e all’origine di disturbi della cinematica e della postura, non sono, ovviamente, rafforzati. Gli esercizi sono globali e comprendono tutto l’arto superiore. I rotatori laterali della gleno-omerale sono rafforzati in modo più analitico, in un modo vicino all’isometria. L’infraspinato (rotatore laterale) è rafforzato nella posizione curva del corpo e il piccolo rotondo, altro rotatore laterale, in posizione RE2. Il rotatore mediale sottoscapolare non è rafforzato analiticamente, per evitare di aggravare lo squilibrio a favore del rotatore mediale, presente fisiologicamente a livello della spalla (grande dorsale, grande rotondo, grande pettorale, sottoscapolare). EMC - Medicina Riabilitativa

Figura 14.

Rafforzamento del dentato anteriore e del deltoide.

Il deltoide è rafforzato in posizione alta negli esercizi che associano l’azione dei muscoli della cuffia dei rotatori e del dentato anteriore e l’insieme dell’arto superiore (Fig. 14). Gli elastici sono uno strumento semplice e sicuro che il paziente può utilizzare ® anche a casa. Gli esercizi con la Flexibar vengono continuati e, gradualmente, possono essere praticati unilateralmente. Possono essere utilizzate anche le resistenze manuali, soprattutto all’inizio della progressione. Altri tipi di protesi anatomiche Emiartroplastiche. La riabilitazione è simile a quella delle PTA.

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I – 26-210-A-40  Riabilitazione delle protesi di spalla

Giorno dell’ intervento

6 settimane Valutazione e radiografia

3 settimane

Stecca del gomito al corpo giorno e notte Autorizzazione a levarla per: - vestirsi con aiuto - toilette con aiuto - Esercizi di automobilizzazione

6 mesi Valutazione e radiografia

Assenza di stecca

Non usare il braccio operato

Riutilizzare il braccio operato per semplici attività della vita quotidiana (vestirsi, andare in bagno, mangiare, prendere oggetti leggeri)

ESERCIZI di automobilizzazione

ESERCIZI di automobilizzazione

Riabilitazione 3 volte a settimana Figura 15.

Riutilizzare il braccio operato normalmente nella vita quotidiana. Condotta Attività domestiche

Attività più fisiche

ESERCIZI di automobilizzazione Riabilitazione 1-2 volte a settimana

Fine della riabilitazione o 1-2 volte a settimana a seconda dell'evoluzione

Protesi inversa di spalla: protocollo postoperatorio.

Protesi anatomiche per frattura. Sono indicate nel caso di fratture-lussazione della testa omerale. In questo caso, il chirurgo utilizza uno specifico impianto protesico omerale che consente il reinserimento dei tubercoli maggiore e minore. Un tutore del gomito al corpo viene prescritto per un periodo di tre settimane. La riabilitazione è immediata ma molto prudente, al fine di rispettare il processo di consolidamento e di evitare il rischio di migrazione delle tuberosità. L’obiettivo è quello di recuperare la mobilità passiva del complesso articolare della spalla. Il tipo di tutore e il tempo del suo utilizzo possono variare secondo le equipe [49] . L’inizio della fase 2, non prima del giorno 45, avviene dopo il consolidamento delle tuberosità (radiologia e parere chirurgico) e dopo il recupero della mobilità passiva in elevazione a 150◦ . Dal momento che il recupero di quest’ultima è, a volte, più lento per le PTA, senza fratture, l’inizio della fase 2 è, a volte, spostato nel tempo. Il lavoro attivo è molto graduale (controllo delle tensioni generate dai tendini della cuffia dei rotatori sui tubercoli). Il passaggio alla fase 3 segue gli stessi principi usati per le PTA.

Protesi totali inverse Caratteristiche principali Il nuovo modello biomeccanico legato all’inversione della forma delle superfici consente un movimento di sollevamento con il solo deltoide, senza che l’azione dei muscoli della cuffia dei rotatori sia necessaria per controllare la componente ascensionale presente nel modello anatomico originale. Il deltoide ha, quindi, un ruolo essenziale nella mobilità, ma anche nella stabilità dovuta all’assenza della cuffia. Il suo rafforzamento graduale è una priorità. La riabilitazione è, generalmente, più veloce che per le PTA. Il lavoro attivo può iniziare prima. I pazienti con una PTI sono, in media, più anziani. Occorre tenerne conto nella riabilitazione e in termini di obiettivi. Il corso generale della riabilitazione è sintetizzato nella Figura 15.

Fase 1 (dal giorno 1 al giorno 21) Obiettivi Recuperare le ampiezze passive, lottare contro l’amiotrofia del deltoide.

Precauzioni Esse riguardano la rotazione laterale, vietata per proteggere il sottoscapolare. Tuttavia, questo muscolo non è, a volte, più presente (questa è un’indicazione della PTI). Sono proibiti gli esercizi

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3 mesi Valutazione e radiografia

del pendolo: infatti, in questi esercizi, il muscolo deltoide è rilassato e non può assicurare la stabilità dell’articolazione. Si noti che non ci sono studi per confermare questa raccomandazione di alcuni chirurghi. L’ipotesi alla base di questa raccomandazione è che lo scopo della riabilitazione, a causa della quasi totale assenza, il più delle volte, della cuffia dei rotatori, è la ricerca della coaptazione. Per questo, si dà priorità alla sollecitazione del deltoide più che alla sua espansione, tanto più che la sua contrazione è spesso poco operativa all’inizio.

Condotta da tenere per il paziente • La stecca del gomito al corpo viene indossata giorno e notte durante le prime tre settimane: viene rimossa solo per vestirsi, per la toilette (con aiuto) e per gli esercizi di automobilizzazione. Per quanto riguarda le PTA, ma molto più raramente, altri tipi di stecche possono, eventualmente, essere prescritti. • Gli esercizi del pendolo non sono, generalmente, raccomandati. • Nessun gesto della vita quotidiana deve essere effettuato con l’arto superiore operato. Per quanto riguarda il rachide cervicotoracico, le articolazioni scapolotoracica e acromioclavicolare e le articolazioni sottostanti (gomito, polso, mano), le tecniche utilizzate sono identiche a quelle raccomandate per la PTA. Il recupero di una completa mobilità della scapolotoracica e dell’acromioclavicolare costituisce una priorità nella riabilitazione delle PTI [9, 12, 13] . Per quanto riguarda la gleno-omerale, sono praticate le mobilizzazioni passive (dolci, non forzate a fine ampiezza), con la particolarità che si mobilizza una superficie concava in rapporto a una superficie convessa e che, di conseguenza, il movimento è nella stessa direzione. Come per la PTA, l’automobilizzazione condotta tra le sedute va a completare l’azione del fisioterapista. Nelle PTI, è spesso osservata una tensione significativa del grande rotondo, responsabile di limitare la gleno-omerale, da cui emerge la necessità di allungarlo (Fig. 16). Il fatto che le spalle siano spesso pseudoparalizzate nel preoperatorio è, probabilmente, all’origine di queste tensioni. Per lottare contro l’amiotrofia del deltoide, l’elettrostimolazione viene praticata non appena il dolore, il gonfiore e l’ematoma sono regrediti.

Fase 2 (dal giorno 21 al giorno 45 o a partire dal giorno 45) Condizioni per la transizione a questa fase Mancanza di dolore, sufficiente recupero delle ampiezze passive (150◦ ). EMC - Medicina Riabilitativa

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Se il paziente è ancora rigido in questa fase, l’inizio è ritardato fino al giorno 45.

Obiettivi Recuperare un’elevazione attiva funzionale.

Condotta da tenere per il paziente • La stecca viene rimossa. • Il paziente può ancora utilizzare l’arto superiore operato per semplici attività della vita quotidiana: vestirsi, andare in bagno, mangiare e prendere oggetti leggeri. • Esercizi di automobilizzazione. Il recupero delle ampiezze passive è proseguito con l’obiettivo di una mobilità quanto più completa possibile. Il lavoro attivo può essere avviato fin da questa fase, più precocemente rispetto alle PTA. I muscoli bersaglio sono, in primo luogo, il deltoide e, poi, il dentato anteriore e il trapezio. Gli esercizi sono simili a quelli utilizzati per le PTA.

La priorità è data al graduale rafforzamento del deltoide, il muscolo principale della PTI. La sua contrattilità varia tra i pazienti, all’inizio di questa seconda fase. Quando è bassa, particolare attenzione deve essere posta dal fisioterapista per realizzare esercizi di potenziamento progressivi (Fig. 17), oltre all’elettrostimolazione. Il lavoro si concentra sulla resistenza del deltoide con esercizi in posizione alta: esercizio che consiste nel toccare la mano del fisioterapista che si sposta, pallone di plastica da prendere in altezza, ® Flexibar . L’elettrostimolazione del deltoide viene continuata.

Rotazioni Rotazione mediale: bisogna soprattutto evitare gli esercizi che portano la mano nella parte posteriore, perché possono favorire la formazione di tacche. Rotazione laterale: dipende dalla massa muscolare residua: • infraspinoso assente: rotazione laterale impossibile in posizione R1 (braccio lungo il corpo); • rotazione laterale possibile in posizione R2 in presenza del piccolo rotondo. Ruolo collegato svolto dal deltoide posteriore; • l’assenza del sottospinato e del piccolo rotondo impedisce, sostanzialmente, tutta la rotazione laterale attiva. In caso di grave danno funzionale, può essere proposto al paziente un intervento palliativo, che consiste in un trasferimento di un lembo del grande dorsale (che diventa rotatore laterale).

Fase 3 (dal giorno 45 al giorno 90) Condizioni di passaggio a questa fase

Figura 16.

Stretching del grande dorsale e del grande rotondo.

Ampiezze passive complete, spalla indolore, posizionaremantenere eseguito correttamente in posizione seduta o in piedi. Vengono introdotte resistenze più importanti negli esercizi posizionare-mantenere. Sono praticate mobilizzazioni attive di basse ampiezze (dai 20◦ ai 30◦ ) in elevazione sopra i 90◦ . Gli esercizi con il supporto dell’arto superiore (pallone di Klein-Vogelbach) sono aumentati in lunghezza, con un obiettivo di resistenza. Gli esercizi per rafforzare il dentato anteriore e il trapezio inferiore riprendono quelli descritti per le PTA. La riabilitazione globale e gestuale è conforme a quella utilizzata per la PTA. Figura 17. Lavoro attivo del deltoide contro resistenza manuale (A, B).

A

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B

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L’elettrostimolazione del deltoide viene abbandonata a seconda dell’efficacia della sua azione nell’elevazione attiva.

Fase 3 (giorno 90 e oltre, anche fino a sei mesi) Spesso la riabilitazione si ferma il giorno 90 e i pazienti, nella maggior parte dei casi, hanno recuperato una funzione sufficiente. Per un certo numero di pazienti, piuttosto minoritari, persiste, il giorno 90, un divario significativo tra una mobilità passiva sufficiente e una mobilità attiva ancora deficitaria. In questi casi, la riabilitazione deve essere continuata. Si concentra principalmente sul rafforzamento del muscolo deltoide e sulla riabilitazione neuromotoria. La riabilitazione può anche essere continuata dopo tre mesi, quando il paziente è giovane o molto attivo (fai da te, ecc.) e ha una maggiore necessità di recuperare la forza massima.

 Conclusioni La riabilitazione deve essere ambiziosa e puntare a recuperare la funzione migliore possibile.

“ Punti importanti Riabilitazione delle protesi di spalla • Recuperare rapidamente le ampiezze passive. Importanza della mobilità scapolotoracica per la PTA e, ancora di più, per la PTI. Importanza anche della mobilità acromioclavicolare. • Non iniziare la riabilitazione attiva prima di recuperare le ampiezze passive (almeno 150◦ in elevazione). • I muscoli da mirare, in particolare: il dentato anteriore, il trapezio inferiore, il deltoide e i muscoli della cuffia dei rotatori (per le PTA). • Privilegiare il lavoro in posizione alta per l’elevazione. • Sul piano neuromotorio: ruolo principale della mano e della visione.

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