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Gestione anestesiologica per chirurgia di aneurisma dell’aorta addominale C. Hallynck, P. Farahmand, P. Julia, B. Cholley L’aneurisma dell’aorta addominale è una patologia frequente nei soggetti di più di 65 anni. Può manifestarsi in maniera acuta in occasione di una rottura oppure può essere scoperto casualmente in un paziente asintomatico. Per l’anestesista-rianimatore, questi due aspetti corrispondono a due gestioni differenti: l’urgenza, spesso con shock emorragico associato, o l’intervento a freddo. La gestione chirurgica è in piena evoluzione in virtù della comparsa delle tecniche endovascolari, la cui attuazione è tollerata meglio della chirurgia classica dai pazienti fragili, ma le cui complicanze sono più comuni nei postumi. La valutazione preoperatoria di questi pazienti a elevato rischio di malattia coronarica associata è stata ridefinita da recenti raccomandazioni che consigliano di non ricercare più sistematicamente delle lesioni coronariche associate nei pazienti asintomatici. Infine, la rianimazione postoperatoria di questi pazienti rimane caratterizzata da una forte probabilità di complicanze gravi, che richiedono una gestione adattata all’«alto rischio» chirurgico. © 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Valutazione preoperatoria; Aneurisma dell’aorta addominale; Paziente ad alto rischio chirurgico; Trattamento chirurgico; Trattamento endovascolare
Struttura dell’articolo
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Introduzione
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Gestione in urgenza: rottura di aneurisma dell’aorta addominale Quadro clinico Ruolo del medico anestesistarianimatore Strategia trasfusionale e di risparmio sanguigno Gestione del riempimento Periodo postoperatorio
2 2 2 3 3 3
Valutazione preoperatoria elettiva di un paziente portatore di aneurisma dell’aorta addominale Ricerca di cardiopatia ischemica associata Rischio di scompenso di un’insufficienza cardiaca Ricerca di stenosi carotidea associata Rischio renale Rischio respiratorio
4 4 5 5 5 5
Trattamento endovascolare dell’aneurisma dell’aorta addominale Ruolo del trattamento endovascolare Complicanze del trattamento endovascolare Gestione anestesiologica per trattamento endovascolare
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Tempi operatori del trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale Accesso chirurgico Clampaggio aortico Declampaggio
7 7 7 8
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EMC - Anestesia-Rianimazione Volume 18 > n◦ 1 > febbraio 2013 http://dx.doi.org/10.1016/S1283-0771(12)63943-7
Gestione anestesiologica per chirurgia convenzionale programmata di aneurisma dell’aorta addominale Scelta della tecnica anestetica
8 8
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Periodo postoperatorio immediato Analgesia postoperatoria
8 8
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Complicanze postoperatorie Complicanze cardiovascolari Complicanze respiratorie Ischemia mesenterica Insufficienza renale Ischemia distale Ischemia midollare
9 9 9 9 9 9 10
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Conclusioni
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Introduzione L’aneurisma dell’aorta addominale è una localizzazione frequente della malattia ateromatosa. Questa lesione interessa soprattutto la popolazione anziana: infatti, il 5-10% dei soggetti oltre i 65 anni è interessato da questa patologia. La sua frequenza è più elevata nell’uomo e aumenta con l’età. In Francia, circa 14 000 nuovi casi di aneurisma dell’aorta addominale sono individuati e 8 000 sono trattati ogni anno. Il più delle volte asintomatico, l’aneurisma dell’aorta addominale è spesso scoperto casualmente, ma si rivela, a volte, in
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maniera acuta in occasione di una rottura. I principali fattori di rischio identificati sono: il sesso maschile, il fumo, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia (in particolare il tasso di low density lipoprotein [LDL]) e i precedenti familiari di malattia aneurismatica [1–5] . La storia naturale dell’aneurisma dell’aorta addominale va verso un aumento progressivo delle sue dimensioni fino a un diametro critico, che aumenta, allora, in modo esponenziale. Il principale fattore che favorisce la dilatazione è una pressione arteriosa pulsata elevata. Oltre i 55 mm di diametro, il rischio di rottura diventa importante, il che giustifica l’intervento a freddo non appena l’aneurisma raggiunge questa dimensione [6–8] . La gestione chirurgica della patologia aneurismatica dell’aorta addominale è progredita in questi ultimi anni, in particolare grazie alla comparsa delle tecniche endovascolari. Il trattamento con endoprotesi è sempre più utilizzato e fa parte, attualmente, delle opzioni terapeutiche validate. Poiché questa patologia interessa una popolazione di pazienti a elevato rischio chirurgico, un gesto meno invasivo sembra, ovviamente, auspicabile per ridurre la morbi-mortalità postoperatoria. Tuttavia, a tutt’oggi, non sembra esservi un beneficio netto a lungo termine con un approccio rispetto all’altro [9] e sembrerebbe anche che, nei pazienti senza fattore di rischio maggiore associato, il trattamento chirurgico sia più duraturo [10] . Lo scopo del presente capitolo è di fare nuovamente il punto sulla gestione anestetica dei pazienti portatori di aneurisma dell’aorta addominale. Si distingueranno, in un secondo tempo, la situazione di urgenza (rottura di aneurisma) e la gestione a freddo di ogni paziente affetto da aneurisma dell’aorta addominale noto.
Gestione in urgenza: rottura di aneurisma dell’aorta addominale Le rotture di aneurisma dell’aorta addominale costituiscono una situazione di urgenza chirurgica gravata da una mortalità elevata (dal 50% al 60%, a seconda dei dati) che cresce con il ritardo nella gestione chirurgica. In questa situazione, la valutazione preanestesiologica del paziente è ridotta al minimo per non ritardare l’intervento.
Quadro clinico Il segno funzionale principale che fa sospettare una rottura è la comparsa di un dolore addominale brutale, sordo, che evolve a fitte e che conosce delle remissioni, di localizzazione epigastrica, lombare o pelvica e che si irradia verso la fossa lombare sinistra o il fianco sinistro, testimonianza di una reazione retroperitoneale al versamento ematico contenuto in questo spazio. Questo dolore è, a volte, associato a nausee o a vomiti. La palpazione addominale può evidenziare una massa pulsante. Il terreno del paziente è spesso tipico, ritrovando i fattori di rischio vascolare classici (ipertensione arteriosa, fumo o, ancora, età superiore ai 60 anni), quando la nozione di aneurisma non è già nota. In caso di aneurisma dell’aorta addominale rotto, la diagnosi è posta in base alla presenza di uno stato di shock in un paziente che ha un aneurisma noto o dei fattori di rischio e la cui anamnesi rileva la sintomatologia precedentemente descritta della rottura. È possibile una difesa in caso di rottura
intraperitoneale dell’aneurisma, situazione disastrosa rara che termina, in genere, con il decesso del paziente prima di qualsiasi intervento. In caso di shock emorragico, il paziente deve essere condotto in sala operatoria in estrema urgenza. Se lo stato del paziente lo permette (assenza di instabilità emodinamica) la conferma diagnostica si basa sulla TC addominale con mezzo di contrasto, che precisa la sede esatta e i rapporti anatomici dell’aneurisma, mostra lo stravaso di mezzo di contrasto e permette di scegliere il trattamento chirurgico appropriato.
Ruolo del medico anestesista-rianimatore Gestione della situazione di shock emorragico In questo contesto di urgenza, il ruolo essenziale consiste, prima di tutto, dell’anestesista-rianimatore nell’assicurare la gestione medica dello shock emorragico accertato o potenziale. Fin dall’arrivo del paziente, è opportuno avvisare il servizio di emotrasfusione dello stabilimento della possibilità di shock emorragico per il paziente interessato e verificare che siano disponibili tutti i documenti necessari alla trasfusione (principalmente gruppo e ricerca delle agglutinine irregolari [RAI]). In caso di shock emorragico, si impone una richiesta di concentrati globulari con la menzione «emergenza vitale immediata» (senza ritardo). La banca fornisce, allora, delle unità di GR 0 negativo senza alcun controllo di laboratorio. Sembra importante ricordare che, poiché questa risorsa è limitata e preziosa, la sua richiesta deve assolutamente essere limitata allo stretto necessario. In caso di emorragia acuta che diviene pericolosa, può essere fatta una richiesta di concentrati di GR con la menzione urgenza vitale (periodo di distribuzione delle unità di GR tra 30 minuti e 1 ora). Questa richiesta è associata a una sola determinazione del gruppo sanguigno del paziente e non è eseguita alcuna ricerca di agglutinine irregolari. La Tabella 1 riassume la procedura di ottenimento delle unità di GR con il tempo indicativo e le verifiche eseguite dal centro distributore [11, 12] .
Organizzazione del blocco operatorio per l’accoglienza in urgenza del paziente Non appena annunciato l’arrivo del paziente per il trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale rotto, tutta l’equipe del blocco operatorio interessato deve essere mobilizzata e pronta a intervenire il più rapidamente possibile. Per quanto riguarda l’anestesia, occorre fare in modo che tutto il materiale necessario sia pronto all’uso immediatamente, in particolare un dispositivo di recupero intraoperatorio del sangue versato, l’acceleratoreriscaldatore di infusioni, il materiale per il posizionamento di un catetere arterioso e venoso centrale, un apparecchio di misurazione della concentrazione dell’emoglobina e, se possibile, uno strumento di misurazione della gittata cardiaca di posizionamento rapido.
Condizionamento del paziente prima dell’anestesia Prima di iniziare l’anestesia, è indispensabile avere a disposizione almeno una via venosa periferica di buon calibro. Quindi, un catetere arterioso radiale è posizionato sotto anestesia locale prima di qualsiasi altra manovra (il catetere radiale è preferito, in quanto il clampaggio aortico toracico o addominale ostacola il monitoraggio della pressione arteriosa femorale per la durata del clampaggio). È preferibile posizionare il catetere sotto
Tabella 1. Procedura per ottenere dei concentrati di GR con il tempo indicativo e le verifiche eseguite dal centro distributore. Urgenza vitale immediata
Urgenza vitale
Senza urgenza
Periodo di ottenimento dei concentrati di GR
Senza ritardo (<30 min)
30 min-1 h
>1 h
Esami laboratoristici realizzati
Nessun esame
Gruppo Rh: una sola determinazione
Gruppo Rh: due determinazioni, RAI
RAI: ricerca di agglutinine irregolari.
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EMC - Anestesia-Rianimazione
Gestione anestesiologica per chirurgia di aneurisma dell’aorta addominale I – 36-587-A-10
anestesia locale prima dell’induzione dell’anestesia. Infatti, in questa situazione ad alto rischio di instabilità emodinamica, disporre di un monitoraggio istantaneo della pressione prima e nel corso dell’induzione sembra auspicabile per correggere immediatamente un’eventuale ipotensione eccessiva. Ciò è tanto più importante in quanto l’utilizzo dello sfigmomanometro è spesso impossibile in questo contesto di bassa pressione arteriosa. Infine, l’adeguatezza dell’ossigenazione deve essere verificata in continuo grazie al monitoraggio della saturazione arteriosa periferica in ossigeno (SpO2 ) dell’emoglobina, che deve idealmente essere mantenuta vicino al 100%.
Induzione anestetica La principale difficoltà di questo tipo di induzione risiede nel fatto che il paziente colpito è spesso instabile sul piano emodinamico. Ora, la maggior parte degli agenti anestetici ha un effetto vasodilatatore che aggrava l’ipotensione. In caso di stato di shock o di emorragia acuta, si consiglia di ricorrere agli agenti meno vasodilatatori e di impiegarli con cautela («frazionamento»). I due prodotti di scelta sono la ketamina e l’etomidato. Lo svantaggio della ketamina è che essa provoca spesso una tachicardia, che è consigliabile evitare nel contesto dello scompenso emodinamico. L’etomidato, dal canto suo, non deve più essere utilizzato in infusione continua per il mantenimento dell’anestesia, a causa del rischio ben stabilito di insufficienza surrenalica in queste condizioni [13] . La somministrazione di curari è eseguita solo dopo l’incisione, in quanto essi sono a volte responsabili di un aumento dell’emorragia per rilassamento della fascia addominale. Dato che l’induzione anestetica può provocare uno scompenso emodinamico brutale, è indispensabile realizzarla in presenza del chirurgo (preparazione cutanea eseguita e teli operatori posizionati), che cercherà, allora, di clampare l’aorta il più rapidamente possibile.
Condizionamento sotto anestesia Una volta eseguita l’induzione anestetica, è opportuno ottenere almeno altre due vie venose periferiche di buon calibro per far fronte a delle esigenze di riempimento o di trasfusioni rapide. È anche auspicabile il posizionamento di un catetere venoso centrale. Esso permette la somministrazione di catecolamine non appena si ritiene necessario introdurle. Il posizionamento di questo catetere si fa, se possibile, sotto guida ecografica. In effetti, in questa situazione d’urgenza, il paziente è molto spesso ipovolemico e il rischio di insuccesso della puntura è notevolmente aumentato. Il posizionamento del catetere sotto ecografia deve permettere un risparmio di tempo prezioso, nonché una riduzione delle complicanze legate alla puntura [14] . Sembra utile anche posizionare un sistema di monitoraggio del volume di eiezione sistolica (VES) o della gittata cardiaca in questa condizione di variazioni acute del ritorno venoso. Il mantenimento di un flusso (riflesso del trasporto in ossigeno) è un obiettivo di rianimazione importante quanto il controllo della pressione arteriosa e della concentrazione di emoglobina. Il paziente deve, peraltro, beneficiare del posizionamento di un catetere urinario per questa chirurgia di durata relativamente lunga, permettendo la raccolta intra- e postoperatoria della diuresi. Infine, un insieme di misure destinate a lottare contro l’ipotermia è fondamentale per prevenire questa complicanza, il cui ruolo deleterio sull’emostasi è ben stabilito, poiché tutta la cascata della coagulazione è rallentata nell’ipotermia [15] . Oltre al riscaldatore di infusione, è utilizzato un sistema di riscaldamento esterno mediante copertura ad aria pulsata, per ridurre al minimo la caduta termica intraoperatoria.
Strategia trasfusionale e di risparmio sanguigno Innanzitutto, ricordiamo che l’insufficienza di trasfusioni è la prima causa di mortalità intraoperatoria [16] . Le tecniche di EMC - Anestesia-Rianimazione
recupero del sangue versato intraoperatoriamente hanno, qui, un ruolo primario, permettendo un’autotrasfusione estremamente rapida e un risparmio importante in termini di prodotti ematici labili. Tuttavia, questo recupero riguarda solo i globuli rossi ed è per questo che bisogna misurare regolarmente la concentrazione di piastrine e realizzare dei test di coagulazione (tasso di protrombina [TP], fibrinogeno) per verificare che l’emostasi biologica sia soddisfacente. Il ricorso alla trasfusione di piastrine e di plasma fresco congelato (PFC) deve essere preso in considerazione precocemente per evitare la coagulopatia da diluizione che aggrava il quadro. In linea generale, la trasfusione piastrinica è indicata quando il tasso di piastrine è inferiore a 50 000 mm-3 [17] . Un ematocrito troppo basso, di per sé, riduce la marginazione delle piastrine, la loro adesione all’endotelio leso e la loro aggregazione [18, 19] . In caso di sanguinamento massivo, l’utilizzo di farmaci derivati dal sangue, quali il complesso protrombinico umano (Kaskadil® , Kanokad® ) [20] , il fibrinogeno (Clottagen® ) [21] o, anche, il fattore VII attivato ricombinante (Novoseven® ) [22] , può rivelarsi utile. Ricordiamo: le frazioni di complesso protrombinico umano non contengono fattore V né fibrinogeno, che sono presenti nel PFC.
Gestione del riempimento In una situazione di movimenti volemici importanti indotti nel corso di questa chirurgia (clampaggio/declampaggio, shock emorragico), gli obiettivi dell’anestesista-rianimatore sono di assicurare la migliore perfusione tissutale possibile, il che implica: • il mantenimento di pressioni arteriose medie (PAM) (per la perfusione degli organi) e diastoliche (PAD) (per la perfusione coronarica sinistra) corrette in funzione del contesto clinico. In effetti, in questi pazienti polivascolari, una PAM inferiore a 60 mmHg è sicuramente insufficiente e una PAD inferiore a 40 mmHg fa correre un rischio di ischemia coronarica. Il ricorso ai vasocostrittori deve essere precoce, per non tollerare un’ipotensione prolungata il cui carattere deleterio è formalmente stabilito [23] . Tuttavia, non bisogna richiedere una pressione «troppo» elevata prima del controllo chirurgico dell’aneurisma (clamp in sede), per non aggravare una rottura contenuta; • il monitoraggio e il mantenimento di una gittata cardiaca o di un volume di eiezione sistolica (VES) «ottimizzati», e questo indipendentemente dalla pressione arteriosa. La gittata cardiaca è un determinante principale del trasporto dell’O2 . Il suo monitoraggio permette di guidare la strategia di riempimento: il riempimento e le trasfusioni aumentano il VES in un paziente precaricodipendente. L’assenza di aumento del VES in risposta agli apporti è un segno molto affidabile che è stato raggiunto il limite tollerabile per il paziente. Il proseguimento degli apporti liquidi in queste condizioni rischia di generare delle complicanze congestizie (edemi sistemici o, anche, polmonari) [24] ; • il monitoraggio regolare della concentrazione di emoglobina, altro determinante fondamentale del trasporto di O2 .
Periodo postoperatorio L’aumento della mortalità legato a questo tipo di intervento è stato correlato a diversi fattori: l’instabilità emodinamica con ipotensione, un clampaggio sovrarenale o, anche, sovraceliaco, una durata di clampaggio e un tempo operatorio prolungati, delle perdite ematiche importanti (superiori a una massa sanguigna) e l’oliguria intraoperatoria. Gli obiettivi terapeutici sono, quindi, di evitare o di ridurre al minimo questi eventi. Le complicanze postoperatorie sono identiche a quelle della chirurgia al di fuori dell’emergenza dell’aneurisma dell’aorta addominale (cfr. infra), ma la loro incidenza e il loro tasso di mortalità sono notevolmente più elevati in questo contesto. Ciò giustifica pienamente il trattamento «a freddo» degli aneurismi dell’aorta addominale il cui diametro è superiore a 5 cm, che presentano un rischio importante di rottura [6] .
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Valutazione preoperatoria elettiva di un paziente portatore di aneurisma dell’aorta addominale Il rischio perioperatorio dipende allo stesso tempo dal rischio chirurgico e dal rischio legato al paziente. La cura chirurgica di un aneurisma dell’aorta addominale è considerata una chirurgia ad «alto rischio» a causa anche del trauma chirurgico che essa rappresenta [25] . I pazienti che hanno questa patologia sono spesso portatori di comorbilità importanti. Fra queste, la cardiopatia ischemica silente è molto spesso associata e spiega il tasso elevato di complicanze cardiache che accompagna questa chirurgia [26, 27] . Le raccomandazioni recenti della Società europea di cardiologia forniscono delle indicazioni nuove e semplificate per la gestione di questo problema [28] . Noi affronteremo anche i problemi legati alle altre comorbilità frequentemente riscontrate: insufficienza cardiaca, insufficienza respiratoria, lesione ateromatosa dei tronchi sovraaortici e insufficienza renale.
Ricerca di cardiopatia ischemica associata Valutazione clinica La frequenza delle lesioni coronariche associate alla patologia vascolare periferica è riconosciuta da lungo tempo [26] . L’anamnesi deve sistematicamente ricercare i precedenti di angina, infarto, dolori atipici e gesti di rivascolarizzazione, così come la presenza di fattori del revised cardiac risk index (o punteggio di Lee) (Tabelle 2, 3) [29] . Si valuta anche la capacità funzionale allo sforzo del paziente, con la possibilità, in seguito, di classificarlo in una categoria di attività (Tabella 4). La nozione di tolleranza allo sforzo è fondamentale per stratificare i pazienti. Un paziente che è in grado di compiere degli sforzi moderati nella vita quotidiana (per Tabella 2. Criteri clinici che valutano il rischio legato al paziente secondo il punteggio di Lee (revised cardiac risk index). 1
Chirurgia ad alto rischio
2
Precedenti di patologia ischemica cardiaca
3
Precedenti di insufficienza cardiaca congestizia
4
Precedenti di patologia cerebrovascolare
5
Insulinoterapia preoperatoria
6
Insufficienza renale (creatinina >170 mol.l-1 )
Tabella 3. Rischio di comparsa di eventi cardiaci maggiori secondo il numero di fattori di rischio di Lee. 0
1
2
3o>3
0,4%
0,9%
6,6%
11%
Tabella 4. Classificazione della capacità funzionale in equivalenti metabolici (MET) secondo l’attività fisica svolta dal paziente; 1 MET corrisponde a un consumo di ossigeno (VO2 ) di 3,5 ml.kg-1 .min-1 per un uomo di 40 anni di 70 kg. <1 MET
Allettato
1-3 MET
Attività domestiche, vestirsi da solo, mangiare da solo, deambulazione lenta (3 km.h-1 ) su 100 m
4 MET
Salire 2 piani senza affanno
5-10 MET
Salire più di 2 piani, pratica di sport (jogging su buona distanza)
>10 MET
Sport di alto livello, nuoto, tennis, scalate
4
esempio, salire due piani senza fermarsi) è sicuramente in grado di fare fronte alla «prova da sforzo» rappresentata dall’intervento chirurgico. In tali pazienti, non è giustificata alcuna indagine, in quanto essa non permetterà di affinare la previsione del rischio perioperatorio [30] . Le complicanze cardiovascolari costituiscono la prima causa di morbi-mortalità perioperatoria nei pazienti sottoposti alla chirurgia aortica. Così, l’evidenziazione di una cardiopatia ischemica o di un altro fattore di rischio del punteggio di Lee è considerata un fattore prognostico sfavorevole (Tabella 3). Il punteggio di Lee serve in particolare, attualmente, come riferimento per le raccomandazioni pubblicate dalla Società europea di cardiologia nel 2009 [28] e per quelle della Società francese di anestesia e rianimazione (SFAR) e della Società francese di cardiologia (SFC), pubblicate nel 2011 [31] .
Indagini paracliniche Le recenti raccomandazioni della Società europea di cardiologia [28] , rivisitate dalle raccomandazioni formalizzate di esperti della SFAR e della SFC [31] , chiariscono il buon utilizzo delle indagini preoperatorie per i pazienti «a rischio» che devono subire una chirurgia non cardiaca. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, non bisogna dosare la troponina, il brain natriuretic peptide (BNP) o la proteina C reattiva (PCR) nel preoperatorio con il semplice obiettivo di valutare il rischio del paziente. La realizzazione sistematica di un elettrocardiogramma (ECG) preoperatorio rimane raccomandata in questa popolazione, ma l’ecocardiografia a riposo, troppo spesso prescritta dagli anestesisti-rianimatori che ne ignorano i limiti, non ha alcuna indicazione nella valutazione preoperatoria del rischio coronarico. Inoltre, la ricerca sistematica di una cardiopatia ischemica silente (paziente asintomatico) è giustificata solo in una minoranza di pazienti. Questa ricerca, basata su indagini dinamiche non invasive, ma complesse e costose (ecocardiografia da stress o scintigrafia tallio persantin), ha lo scopo di portare a una rivascolarizzazione coronarica profilattica precedente la cura dell’aneurisma dell’aorta addominale. Ora, due studi prospettici hanno concluso per l’assenza di benefici di sopravvivenza a lungo termine della rivascolarizzazione profilattica [32, 33] . Ciò ha condotto gli autori delle raccomandazioni a proporre di non realizzare più uno screening sistematico della cardiopatia ischemica nei pazienti asintomatici. Questo atteggiamento è ancora controverso (cfr. «Rivascolarizzazione coronarica»), ma il dogma «la chirurgia coronarica prima della chirurgia vascolare» è ormai rimesso in causa [34–37] . La realizzazione di un test dinamico non invasivo resta raccomandata nei pazienti il cui stato è molto grave e che presentano tre (o più) fattori di Lee, mentre sono asintomatici. Si tratta di una raccomandazione di livello I (consenso sul beneficio), ma con un livello di evidenza basso (C: consiglio di esperti, studi retrospettivi). I test dinamici sono, quindi, da riservare ai pazienti nei quali i risultati possono portare a una gestione differente (rivascolarizzazione preoperatoria) e benefica per i pazienti. Solo quelli che hanno un’ischemia estensiva (almeno il 30% del ventricolo sinistro o almeno 4 segmenti su 17) dimostrata dal test dinamico costituiscono una popolazione per la quale il solo trattamento medico è probabilmente insufficiente per ridurre la comparsa di eventi (decesso o infarto) perioperatori [27, 38] . La coronarografia preoperatoria è, quindi, da riservare soprattutto ai pazienti che presentano una malattia coronarica sintomatica mal controllata con un trattamento medico ottimale o a quelli che presentano un’ischemia estensiva (almeno 4 segmenti su 17) oggettivata nel corso di esplorazioni dinamiche non invasive.
Strategia terapeutica Rivascolarizzazione coronarica preoperatoria I pazienti che presentano una malattia coronarica sintomatica e il cui aneurisma dell’aorta addominale non richiede un trattamento chirurgico in urgenza devono essere trattati prioritariamente per la loro insufficienza coronarica secondo le attuali raccomandazioni [31, 39] . Al contrario, la rivascolarizzazione profilattica, che si rivolge quindi ai pazienti asintomatici, non è stata associata a un beneficio clinico in due studi prospettici EMC - Anestesia-Rianimazione
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randomizzati e non è più raccomandata in questo contesto. Secondo gli autori delle diverse raccomandazioni, la rivascolarizzazione profilattica resta da prendere in considerazione nei pazienti più a rischio (almeno tre fattori di Lee) e in cui il test dinamico dimostra un’ischemia reversibile estesa, che interessa almeno il 30% del ventricolo sinistro, a condizione che il paziente e l’equipe medica (cardiologo, anestesista-rianimatore e chirurgo) siano d’accordo su questa impostazione. In caso di chirurgia urgente (rottura), la chirurgia dell’aneurisma dell’aorta addominale deve essere realizzata senza ritardi, qualunque sia la sintomatologia coronarica associata. Trattamento con betabloccanti Il trattamento betabloccante ha mostrato un beneficio riducendo la morbimortalità cardiaca perioperatoria dei pazienti ad alto rischio [40, 41] . Tuttavia, questo beneficio deve essere temperato dal rischio aumentato di ischemia cerebrale legato alle ipotensioni intraoperatorie osservate quando l’introduzione dei betabloccanti avviene in maniera improvvisa, appena prima dell’intervento [42] . Le raccomandazioni della Società europea di cardiologia sono, quindi: • di introdurre i betabloccanti nei pazienti a rischio (classe I, livello B), iniziando alcune settimane prima della chirurgia e regolando la posologia fino a ottenere una frequenza cardiaca inferiore a 80 bpm; • di non interrompere un trattamento betabloccante esistente (classe I, livello C) [28] . Statine Le statine hanno un effetto preventivo della rottura di placca di ateroma e delle sue conseguenze in termini di ischemia miocardica perioperatoria [43] . La fluvastatina, in particolare, ha dimostrato che poteva ridurre il rischio di complicanze cardiache dei pazienti di chirurgia vascolare già trattati con betabloccanti [44] . Quindi, si consiglia di introdurre le statine nei pazienti ad alto rischio che non ricevono questo trattamento [28] . Il momento ottimale per la loro introduzione è compreso tra una settimana e 1 mese prima della chirurgia (classe I, livello B). Nei pazienti che sono già trattati, si deve continuare questo trattamento fino all’intervento e bisogna riprenderlo subito dopo (classe I, livello C), a causa del rischio di effetto rebound in caso di interruzione [45, 46] . Antiaggreganti piastrinici Il rischio emorragico legato alla chirurgia sotto antiaggreganti piastrinici (AAP) resta mal documentato al di fuori di studi sul clopidogrel in chirurgia cardiaca [47, 48] . Questi ultimi hanno evidenziato un rischio emorragico aumentato quando i pazienti sono sottoposti a intervento sotto clopidogrel, ma una sospensione di breve durata (5-7 giorni) non sarebbe associata a un rischio di emorragia più importante rispetto a un’interruzione più lunga. La sospensione degli AAP nel periodo perioperatorio nei pazienti coronarici favorisce la comparsa di eventi trombotici, in particolare per quanto riguarda l’aspirina, la cui sospensione appare un fattore di rischio indipendente di infarto del miocardio (IDM) postoperatorio [49, 50] . Quindi, si consiglia di proseguire l’aspirina nei pazienti precedentemente trattati con questo farmaco (classe II a, livello B). La sospensione deve essere presa in considerazione solo nei soggetti per i quali l’emostasi presenta una difficoltà particolare (classe II a, livello B) [28] . La ripresa postoperatoria degli antiaggreganti non è stata oggetto di raccomandazioni o di consenso; l’anestesista-rianimatore deve decidere in funzione del rapporto benefici/rischi (trombosi/sanguinamento) che valuta individualmente. Anticoagulanti La Haute Autorité de Santé (HAS) e la Società europea di cardiologia propongono una sintesi chiara a proposito della gestione dei pazienti sotto antivitamine K (AVK), precisando in particolare la condotta da tenere in un paziente sotto AVK a lungo corso e che deve essere sottoposto a una chirurgia emorragica programmata o in urgenza, secondo il rischio tromboembolico e il rischio di sanguinamento intraoperatorio [28, 51] . In un contesto di urgenza chirurgica, è opportuno antagonizzare il trattamento con un’iniezione endovenosa di fattori del complesso protrombinico umano in associazione con EMC - Anestesia-Rianimazione
un’iniezione di vitamina K (5 mg). La somministrazione di vitamina K da sola ha un ritardo d’azione di 12 ore, incompatibile con il grado di urgenza di una rottura di aneurisma.
Rischio di scompenso di un’insufficienza cardiaca Oltre al rischio di cardiopatia ischemica perioperatoria, quello dello scompenso di un’insufficienza cardiaca nel periodo postoperatorio del trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale è reale. La ricerca di precedenti o di fattori di rischio di scompenso (dispnea da sforzo, precedenti di scompenso cardiaco, cardiomegalia sulla radiografia del torace) permette all’anestesista-rianimatore di adattare la sua gestione terapeutica e, in particolare, di monitorare l’effetto del riempimento vascolare perioperatorio con una misurazione del volume di eiezione sistolica o della gittata cardiaca e di potere, così, ridurre il rischio di comparsa di questa complicanza. In effetti, l’interruzione degli apporti non appena il volume di eiezione sistolica non aumenta più riduce il rischio di complicanze congestizie [24] . Nei pazienti trattati con inibitori dell’enzima di conversione (ACEI) per insufficienza cardiaca o che hanno una disfunzione sistolica ventricolare sinistra stabile, si raccomanda di mantenere questo trattamento prima dell’anestesia, tenuto conto dei suoi effetti benefici sulla funzione ventricolare sinistra (raccomandazione di classe I, livello C) [28] . Al contrario, i pazienti sotto ACEI a scopo antipertensivo sono a rischio di ipotensione refrattaria intraoperatoria [52] . In questi ultimi, è consigliabile sospendere il trattamento nel preoperatorio (raccomandazione di classe II, livello C).
Ricerca di stenosi carotidea associata La prevalenza delle stenosi carotidee superiori al 60% nella popolazione dei pazienti portatori di aneurisma dell’aorta addominale è stimata pari a meno del 20%. Delle analisi di rapporto costo/efficacia hanno stabilito che lo screening sistematico con ecodoppler dei tronchi sovraortici (TSA) è giustificato solo nei pazienti sintomatici che hanno avuto un accidente vascolare ischemico cerebrale o retinico transitorio o costituito [53] . Di conseguenza, le raccomandazioni attuali sono di ricercare e (all’occorrenza) di trattare le lesioni carotidee dei soli pazienti portatori di aneurisma dell’aorta addominale che hanno presentato dei sintomi di accidente vascolare cerebrale (AVC) retinico o carotideo. Il potenziale beneficio è, tuttavia, stabilito solo sulla base di studi non randomizzati. Viceversa, nei pazienti asintomatici non deve essere sistematicamente intrapresa un’esplorazione, in quanto il beneficio atteso di un’endoarteriectomia è modesto [54] .
Rischio renale La valutazione preoperatoria della funzione renale (creatininemia e calcolo della clearance) resta indispensabile in questa popolazione che associa un rischio di nefropatia ipertensiva e di stenosi ateromatose delle arterie renali. Il grado di insufficienza renale preoperatoria, un trattamento preoperatorio con inibitori dell’enzima di conversione [55] , l’estensione della ricostruzione aortica, la durata del clampaggio e il grado di aterosclerosi renale sono i principali fattori di rischio individuati per lo sviluppo di un’insufficienza renale postoperatoria.
Rischio respiratorio Uno dei fattori di rischio riconosciuti di sviluppo di un aneurisma dell’aorta addominale è il fumo. Una delle possibili conseguenze a lungo termine di questa intossicazione è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). La BPCO è un fattore di rischio di morbilità respiratoria postoperatoria, in particolare a causa della comparsa frequente di atelettasia, di pneumopatia o, ancora, di scompenso acuto di un’insufficienza respiratoria cronica. La valutazione preoperatoria delle ripercussioni di
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questa patologia da parte dell’anestesista-rianimatore è, quindi, fondamentale. Essa si basa essenzialmente sull’anamnesi e sull’esame obiettivo (consumo di tabacco e pressione arteriosa [PA], nozione di tosse quotidiana, precedenti recenti di sovrainfezione bronchiale, attività fisica e tolleranza allo sforzo). Le indagini funzionali respiratorie non sono di alcuna utilità per la nostra valutazione preoperatoria, in quanto non modificano la gestione dell’aneurisma dell’aorta addominale, né la necessità di intervenire, qualunque sia il loro risultato. Al contrario, la nozione di lesione respiratoria grave (sulla base dell’anamnesi) può influenzare la scelta della tecnica chirurgica. In effetti, il trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale per via endovascolare sembra essere un’alternativa interessante alla terapia convenzionale nella popolazione dei pazienti insufficienti respiratori cronici, in particolare per la riduzione del rischio di insufficienza respiratoria acuta (inibizione minima o nulla della cinetica diaframmatica) e di polmoniti postoperatorie [56] . La preparazione del paziente broncopneumopatico con fisioterapia respiratoria (disingombro, apprendimento della respirazione addominodiaframmatica e tecniche di accelerazione del flusso espiratorio) e l’eradicazione di eventuali focolai infettivi consentono di migliorare la funzionalità respiratoria preoperatoria e di ridurre, così, le complicanze postoperatorie [57, 58] . È, inoltre, lecito porre questi pazienti nel periodo postoperatorio in un’unità in grado di affrontare un’estubazione precoce, se necessario con assistenza mediante ventilazione non invasiva (unità di sorveglianza continua o di terapia intensiva), per ridurre al minimo la durata della ventilazione meccanica e il rischio di pneumopatia acquisita sotto ventilatore. Occorre sottolineare anche l’interesse dello svezzamento tabagico: per ridurre il rischio di complicanze, è stato mostrato che esso dovrebbe essere superiore alle 8 settimane [59] . Si deve sviluppare un ampio coinvolgimento dell’equipe curante e delle reti extraospedaliere, per facilitare questa prova per il paziente: proposta di sostegno psicologico, patch sostitutivi e così via.
Trattamento endovascolare dell’aneurisma dell’aorta addominale Ruolo del trattamento endovascolare La gestione degli aneurismi dell’aorta addominale è attualmente in piena evoluzione, con lo sviluppo del trattamento endovascolare. Questa tecnica, meno invasiva rispetto all’accesso chirurgico diretto, consiste nell’introduzione di un’endoprotesi ricoperta mediante cateterismo retrogrado delle arterie femorali. L’endoprotesi così posizionata viene sviluppata e deposta a livello dei colletti prossimale e distale dell’aneurisma, permettendo l’esclusione della sacca aneurismatica dal flusso ematico. Questo trattamento ha l’obiettivo di prevenire l’aumento di diametro dell’aneurisma dell’aorta addominale riducendo la tensione parietale e, con questo, di ridurne il rischio di rottura. In caso di aneurisma dell’aorta addominale rotto, il trattamento endovascolare permette l’esclusione della zona rotta e favorisce, così, la sua trombosi. La decisione di trattamento endovascolare si basa essenzialmente sulle raccomandazioni pubblicate dall’Agenzia francese di sicurezza sanitaria dei prodotti di salute (Afssaps) nel 2003 [60] . Questa tecnica era inizialmente riservata ai pazienti più fragili [61, 62] , ma il beneficio a lungo termine rispetto all’assenza di intervento in questa popolazione non è ancora stato stabilito in modo formale [63] . Tuttavia, l’approccio endovascolare è sempre più spesso proposto per altri pazienti meno fragili. Il tasso di mortalità e le complicanze sistemiche iniziali sono inferiori nei pazienti rispetto all’approccio chirurgico [63, 64] , ma, a causa di complicanze successive più frequenti legate alle endoperdite (= ripristino di un flusso ematico aneurismatico periprotesico), il beneficio a lungo termine non è dimostrato [9] .
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“ Punto importante Raccomandazioni dell’Afssaps per l’utilizzo delle endoprotesi aortiche nel trattamento endovascolare degli aneurismi dell’aorta addominale infrarenale. L’impianto di un’endoprotesi aortica può essere scelto nei pazienti che hanno un rischio chirurgico elevato, definito dalla presenza di uno dei seguenti fattori: • età ≥80 anni; • coronaropatia (precedente (i) di infarto del miocardio o angina) con test funzionale positivo e lesioni coronariche per le quali un gesto di rivascolarizzazione è impossibile o non indicato; • insufficienza cardiaca con manifestazioni cliniche evidenti; • stenosi aortica serrata non operabile; • FEVG < 40%; • insufficienza respiratoria cronica documentata da uno dei seguenti criteri: ◦ VEMS < 1 200 ml/s ◦ CV < 50% del valore previsto in funzione dell’età, del sesso e del peso ◦ emogasanalisi arteriosa in assenza di ossigeno: PaCO2 > 45 mmHg o PaO2 < 60 mmHg ◦ ossigenoterapia a domicilio; • creatinemia ≥200 mol/l prima dell’iniezione del mezzo di contrasto; • addome «ostile», compresa la presenza di un’ascite o di un altro segno di ipertensione portale.
I vantaggi perioperatori di questa tecnica sono [65, 66] : • minori variazioni emodinamiche intraoperatorie (assenza di clampaggio aortico); • perdite ematiche meno importanti; • un tempo operatorio più breve (se l’operatore è esperto); • una riduzione del rischio di ischemia miocardica perioperatoria; • una riduzione delle complicanze respiratorie e renali postoperatorie; • un ricorso meno frequente alle terapie intensive; • una durata di ricovero più breve. I suoi maggiori svantaggi sono un costo elevato e delle complicanze tardive che includono delle rotture fatali o che richiedono dei reinterventi a causa di endoperdite. Conseguentemente, il beneficio a lungo termine del trattamento endovascolare rispetto al trattamento chirurgico convenzionale non è formalmente stabilito e il costo delle procedure iterative per uno stesso paziente resta molto elevato [9, 67, 68] .
Complicanze del trattamento endovascolare Complicanze acute Malgrado il carattere nettamente meno invasivo rispetto alla chirurgia convenzionale, si possono riscontrare durante la procedura alcune complicanze acute gravi, tali da mettere in gioco la prognosi vitale e da motivare la conversione in chirurgia aperta in estrema urgenza. Il tasso di mortalità di queste complicanze acute è elevato, dell’ordine del 20%. Si tratta di: • migrazione o cattivo posizionamento dell’endoprotesi, responsabili dell’esclusione incompleta del sacco aneurismatico o dell’occlusione involontaria di un’arteria. Queste complicanze richiedono una conversione immediata, in particolare in caso di copertura da parte dell’endoprotesi delle arterie renali o digestive, responsabile di ischemia degli organi privati di flusso ematico; EMC - Anestesia-Rianimazione
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• embolia distale di un trombo o di una placca di ateroma; • lesione di un asse ileofemorale a livello del suo accesso diretto o per cateterismo retrogrado (dissecazione, ischemia a valle); • complicanze legate all’iniezione di mezzo di contrasto (anafilassi, tubulopatia e insufficienza renale); • rottura aortica. I principali fattori di rischio di complicanze individuati sono la scarsa esperienza dell’operatore (rischio aumentato fino a circa 30 procedure) [69, 70] , l’età elevata del paziente, un indice di massa corporea ridotto, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e le condizioni anatomiche sfavorevoli [71, 72] .
Complicanze tardive Altre complicanze, più tardive, possono manifestarsi dopo il trattamento endovascolare dell’aneurisma dell’aorta addominale. Si tratta soprattutto delle endoperdite (ricomparsa di un flusso ematico aneurismatico periprotesico), che espongono, allora, nuovamente i pazienti al rischio di aumento del diametro e, quindi, di rottura del loro aneurisma dell’aorta addominale. Queste endoperdite sono rilevate almeno nel 10% dei casi a distanza dalla procedura, mentre questo tipo di problema non esiste quando l’aneurisma dell’aorta addominale è trattato in modo convenzionale [73] . In seguito all’introduzione dell’endoprotesi e per una decina di giorni, si può notare la presenza di una sindrome infiammatoria che associa ipertemia, iperleucocitosi e innalzamento della PCR: si tratta della sindrome «post-impianto» [74] . Questa sindrome infiammatoria evolve spontaneamente verso la regressione in alcuni giorni o settimane. Occorre, ovviamente, escludere una causa infettiva mediante un bilancio adatto, prima di concludere per questa diagnosi di esclusione.
Gestione anestesiologica per trattamento endovascolare La gestione anestesiologica deve adattarsi agli imperativi legati al gesto e al paziente stesso. Un certo numero di endoprotesi è impiantato in sale di radiologia interventistica, che non offrono necessariamente sempre al medico anestesista-rianimatore le stesse agevolazioni del blocco operatorio. In mani esperte, il posizionamento di questo materiale è un gesto molto rapido, senza conseguenze emodinamiche importanti, e che può benissimo essere realizzato sotto anestesia locale (AL) della via di accesso, purché il paziente sia collaborante. Viceversa, le situazioni in cui sono previsti la difficoltà tecnica, il terreno particolarmente fragile oppure il paziente non collaborante fanno propendere per l’anestesia generale (AG). Tra le due situazioni, un certo numero di soggetti può essere sottoposto a un’anestesia locoregionale (ALR) tipo rachianestesia o peridurale. Queste ultime presentano lo svantaggio di essere più rischiose nei pazienti trattati con antiaggreganti o anticoagulanti, caso frequente nei portatori di aneurisma dell’aorta addominale. I soli studi disponibili che hanno confrontato le differenti modalità di anestesia (AG, ALR e AL) per posizionamento di endoprotesi sono degli studi retrospettivi osservazionali per i quali esiste un’evidente distorsione di selezione: i pazienti meno gravi e tecnicamente più semplici sono stati sottoposti ad anestesie locali. Non è sorprendente che questi studi riportino meno complicanze in questo gruppo che nei pazienti trattati sotto AG, che sono, al contrario, più gravi o più difficili tecnicamente [75, 76] . Nel complesso, la scelta della tecnica di anestesia resta il risultato della valutazione del rapporto benefici/rischi individuale, discusso caso per caso tra anestesista-rianimatore, paziente e operatore. Una procedura la cui durata prevedibile supera i 60-90 minuti e un paziente le cui comorbilità sono importanti depongono a favore di un’anestesia generale. L’anestesia generale offre i vantaggi del comfort allo stesso tempo per il paziente e per l’operatore. Inoltre, essa permette all’anestesistarianimatore di dotarsi di mezzi di monitoraggio più invasivi (pressione arteriosa radiale, gittata cardiaca) che lo aiutano ad adattare al meglio la sua rianimazione per preservare la perfusione tissutale. EMC - Anestesia-Rianimazione
La semplicità del gesto di posizionamento di endoprotesi rispetto all’accesso chirurgico classico permette di poter rinunciare a parte dell’ambiente tecnico abituale delle sale di chirurgia vascolare (Cell-SaverTM , acceleratore/riscaldatore di infusione, monitoraggio emodinamico, ecc.). Tuttavia, spetta all’anestesista-rianimatore valutare bene il rischio di complicanza intraoperatoria, in modo che le condizioni di sicurezza siano ottimali. L’ideale sarebbe eseguire queste procedure in sale definite «ibride» che combinano l’attrezzatura di radiologia e quella del blocco operatorio. La sala di radiologia deve poter essere convertita in «sala operatoria» d’urgenza, offrendo delle condizioni accettabili per l’equipe chirurgica e anestetica per fare fronte alla necessità di un’eventuale conversione. Durante il gesto, sono necessarie numerose iniezioni di mezzo di contrasto per assicurarsi della corretta introduzione della protesi. L’idratazione del paziente nel perioperatorio (bicarbonato di sodio o soluzione fisiologica) nonché la somministrazione di Nacetilcisteina (600 mg per via endovenosa prima della procedura, seguiti da 600 mg due volte al giorno per via orale, per le 48 ore postoperatorie) sono delle precauzioni utili e sistematiche per ridurre le complicanze renali associate a questa esposizione [77–80] .
Tempi operatori del trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale Il ruolo del medico anestesista-rianimatore è quello di anticipare e prevenire le complicanze inerenti al gesto chirurgico al quale assiste, ed è per questo che sono indispensabili la conoscenza e la comprensione dei vari tempi operatori e delle eventuali alterazioni dell’omeostasi generate da questo atto.
Accesso chirurgico La chirurgia per via aperta si può realizzare attraverso due tipi di accesso: transperitoneale (incisione xifo-sotto-ombelicale) e retroperitoneale. La scelta dell’incisione dipende essenzialmente dalle abitudini degli operatori e dall’anatomia dell’aneurisma dell’aorta addominale (un aneurisma non rotto che richiede un clampaggio sovrarenale o sovraceliaco è, il più delle volte, aggredito per via retroperitoneale, offrendo, così, un’ottima esposizione su questi segmenti) e non è stata dimostrata alcuna superiorità di un’incisione rispetto all’altra.
Clampaggio aortico Esso avviene una volta esposto l’aneurisma, sotto controllo visivo del colletto superiore e inferiore, dopo l’iniezione sistemica di una dose di carico di eparina. Il clampaggio aortico è segnato, il più delle volte, da un’ipertensione arteriosa iniziale, tanto più importante quanto più alto è il livello di clampaggio (aorta sovrarenale) e quanto meno sviluppata è la circolazione collaterale (il circolo collaterale si sviluppa quando esistono una stenosi o un’occlusione arteriosa, il che non è la regola nell’aneurisma dell’aorta addominale) [81, 82] . L’aumento brutale del postcarico del ventricolo sinistro [83, 84] è responsabile di un aumento delle sollecitazioni parietali in sistole e della pressione telediastolica del ventricolo sinistro. L’aumento delle sollecitazioni aumenta il consumo di ossigeno del miocardio e può provocare una sofferenza ischemica nei pazienti i cui apporti di ossigeno sono limitati. Il clampaggio è responsabile di una riduzione della gittata cardiaca e di una riduzione del flusso di filtrazione glomerulare e della diuresi, anche quando è infrarenale. Quando l’aneurisma dell’aorta addominale interessa le arterie renali, il clampaggio sovrarenale è responsabile di un periodo di ischemia renale e di una ripercussione emodinamica globale più marcata. Gli agenti anestetici hanno delle proprietà vasodilatatrici che permettono di ridurre l’innalzamento della pressione arteriosa sistolica legato al clampaggio, al prezzo di una riduzione del ritorno venoso [85] .
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Declampaggio La risposta emodinamica più spesso osservata al momento del declampaggio è un’ipotensione arteriosa, che può, talvolta, essere molto profonda. I principali meccanismi che si associano per spiegare questo fenomeno sono la vasoplegia secondaria all’ischemia-riperfusione e le perdite ematiche intraoperatorie . La prevenzione di questa ipotensione al declampaggio si basa sulla correzione del deficit liquido, sull’anticipo della sospensione dei trattamenti vasodilatatori eventualmente introdotti durante il clampaggio e sul declampaggio progressivo da parte dei chirurghi. È raramente necessario dover ricorrere ai vasopressori dopo il declampaggio dell’aorta infrarenale, mentre, quando l’aneurisma dell’aorta addominale è sovrarenale, il loro impiego è molto spesso utile per alleviare l’importante vasodilatazione dovuta al meccanismo di ischemia-riperfusione a livello del territorio splancnico. In ogni modo, è richiesta una grande prudenza al momento dell’introduzione di queste molecole, che possono favorire i picchi ipertensivi (in particolare in caso di necessità di riclampaggio) e anche il sanguinamento perioperatorio a livello delle suture aortiche.
Gestione anestesiologica per chirurgia convenzionale programmata di aneurisma dell’aorta addominale Scelta della tecnica anestetica I principali obiettivi dell’anestesista-rianimatore sono di assicurare una buona stabilità emodinamica intraoperatoria e di prevenire la comparsa di complicanze, in particolare l’ischemia miocardica perioperatoria. Anche la lotta contro l’ipotermia è un obiettivo fondamentale.
Anestesia generale L’anestesia generale è indispensabile in caso di atto chirurgico a cielo aperto di questa ampiezza. Gli agenti anestetici endovenosi o inalati più indicati sono quelli a breve durata d’azione, che permettono l’adattamento a tutte le situazioni riscontrate durante questo intervento. Gli agenti anestetici endovenosi saranno iniettati a dosi progressive frazionate, per ridurre il rischio di ipotensione. Il mantenimento si può dare con l’ausilio di un anestetico inalato (alogenati) dalle proprietà vasodilatatorie, che permette il controllo dell’aumento del postcarico legato al clampaggio aortico [86] . Durante l’anestesia, altri agenti endovenosi possono essere somministrati per controllare eventuali episodi ipertensivi (calcioantagonisti di tempo e durata d’azione brevi come la nicardipina) o gli episodi di tachicardia deleteri per il paziente (betabloccante, tipo esmololo).
Anestesia peridurale toracica L’associazione anestesia generale/peridurale toracica è stata a lungo considerata un’alternativa alla sola anestesia generale. In effetti, alcuni studi sembravano riscontrare un beneficio di questa associazione in termini di protezione miocardica [87–89] , ma altri hanno ottenuto dei risultati contraddittori [90–93] . Il solo beneficio chiaro dell’analgesia peridurale toracica sarebbe una riduzione delle complicanze respiratorie postoperatorie (cfr. infra). Il carattere più «arrischiato» della tecnica (puntura più difficile in regione toracica, presenza del midollo spinale) in pazienti in un contesto di anticoagulazione o sotto antiaggreganti piastrinici fa sì che alcuni centri non la utilizzino.
Antibioticoprofilassi Il trattamento dell’aneurisma dell’aorta addominale è una chirurgia per la quale è raccomandata una profilassi antibiotica perioperatoria. In assenza di allergia, il paziente beneficia (secondo il protocollo del centro) di una cefalosporina di seconda
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generazione (tipo cefamandolo, 1,5 g) iniettata da 30 minuti a 1 ora prima dell’incisione e, quindi, reiniettata a dose dimezzata a intervalli di tempo che corrispondono all’emivita della molecola scelta. Se il paziente presenta un’allergia alle betalattamine, la profilassi antibiotica consiste nella somministrazione di vancomicina con siringa elettrica (15 mg/kg in 1 ora) iniziata 1 ora prima dell’incisione, associata a gentamicina (4 mg/kg in 30 minuti) e senza necessità di un’iniezione successiva.
Strategia trasfusionale La chirurgia dell’aneurisma dell’aorta addominale è ad alto rischio di emorragia brutale e importante. È, quindi, indispensabile compensare il sanguinamento e poter fornire dei prodotti ematici immediatamente, in caso di emorragia acuta. L’autotrasfusione mediante recupero del sangue versato intraoperatoriamente permette una riduzione del ricorso ai prodotti ematici labili e, così, del rischio di complicanze legate alla trasfusione omologa [94] . In caso di emorragia importante, possono verificarsi dei disturbi dell’emostasi, collegati alla riduzione dei fattori della coagulazione e delle piastrine, causata dall’eccessiva restituzione di soli globuli rossi da parte del Cell saverTM , dall’emodiluizione legata alle soluzioni di riempimento e dall’utilizzo intraoperatorio di eparina. Diviene, allora, indispensabile la trasfusione di prodotti ematici come plasma fresco congelato (PFC) e piastrine (se il loro tasso è inferiore a 50 G/l).
Periodo postoperatorio immediato Analgesia postoperatoria Analgesia per via endovenosa La chirurgia dell’aorta addominale è una chirurgia dolorosa, che richiederà una gestione analgesica adeguata, basata sul principio dell’analgesia multimodale, per facilitare la riabilitazione postoperatoria. L’analgesia endovenosa mediante somministrazione di morfina autocontrollata dal paziente (PCA) è una tecnica di riferimento dopo una chirurgia dell’aorta. Questa modalità di analgesia, di utilizzo semplice, facile da attuare e poco complicata da controllare, consente una buona gestione delle variazioni di dolore nel tempo, ma anche della variabilità interindividuale della sensazione dolorosa. I suoi principali effetti secondari (nausee, vomiti) possono essere prevenuti associando basse dosi di droperidolo (2,5-5 mg) o corretti, se necessario, con farmaci antiserotoninergici tipo ondansetron (antagonista 5-HT3). L’associazione di altri analgesici permette di potenziare l’analgesia (attraverso un’azione sulle diverse vie del dolore) senza aumentare gli effetti secondari della morfina [95] . Fra questi trattamenti, il paracetamolo occupa un posto importante, anche se permette solo una scarsa riduzione del consumo di morfina e dei suoi effetti secondari [96, 97] . Altre molecole, come il tramadolo o il nefopam, possono essere prescritte allo scopo di ridurre il consumo morfinico, ma anch’esse hanno i loro effetti indesiderati, in particolare la tachicardia. Gli antinfiammatori non steroidei (FANS) sono da evitare nei pazienti sottoposti a intervento per aneurisma dell’aorta addominale, in particolare a causa del rischio di degradazione della funzione renale, già possibilmente alterata dal clampaggio aortico intraoperatorio. Infine, alcuni autori hanno proposto di utilizzare la clonidina, che sembra dotata di un effetto di risparmio morfinico [98] e che permetterebbe una riduzione delle complicanze cardiache perioperatorie [99–102] .
Analgesia peridurale toracica L’anestesia peridurale toracica ha visto il suo interesse decrescere progressivamente per quanto riguarda il periodo intraoperatorio. Questa tecnica resta, tuttavia, efficace per l’analgesia postoperatoria del trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale [92, 103] . L’effetto della peridurale toracica sulle complicanze cardiache è stato rimesso in questione da numerosi lavori [90–93] , ma altri studi sembrano a favore di una riduzione EMC - Anestesia-Rianimazione
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delle complicanze respiratorie postoperatorie, in particolare grazie alla facilitazione dei movimenti di tosse [92, 103] e questo soprattutto nei pazienti che hanno dei fattori di rischio respiratorio preoperatori (BPCO). L’ostacolo principale alla realizzazione di un’analgesia postoperatoria con un catetere peridurale toracico è legato soprattutto al timore di ematoma perimidollare in questi pazienti sotto antiaggreganti piastrinici o, anche, anticoagulanti, con l’associazione dei due tipi di molecole che potenzia il rischio emorragico. Inoltre, questa tecnica è molto più difficile da realizzare nella regione toracica, potendo, allora, richiedere vari tentativi e portare a una puntura traumatica, fattore di rischio di sviluppo di un ematoma epidurale [104] . In una conferenza di esperti della SFAR nel 2000, è stato stabilito che gli antiaggreganti piastrinici non costituivano una controindicazione all’ALR rachidea, se si considera che il beneficio dell’ALR è superiore al rischio molto basso di ematoma perimidollare, a condizione che il paziente non abbia ricevuto alcun trattamento anticoagulante prima della puntura.
Analgesia spinale Questa tecnica rapida da attuare e che permette di ottenere un’analgesia estremamente efficace, si basa su una doppia associazione di morfinici somministrati per via intratecale. Il sufentanil, ad azione rapida e di breve durata, permette un’analgesia postoperatoria immediata. La morfina, di durata d’azione più lunga, fornisce un’analgesia durante le 24 ore che seguono l’intervento. Gli effetti secondari dell’analgesia spinale (soprattutto ritenzione urinaria, depressione respiratoria e prurito) persistono fino all’eliminazione della morfina, imponendo la sorveglianza dei pazienti che hanno beneficiato di questa tecnica in un servizio di terapia intensiva dove sono mantenuti per almeno 24 ore. Tuttavia, non è stato dimostrato alcun effetto benefico sulla riduzione di morbilità o mortalità postoperatorie, e questo è il motivo per cui questa tecnica rimane poco utilizzata per l’analgesia postoperatoria della chirurgia di un aneurisma dell’aorta addominale. Una volta esaurito l’effetto della morfina intratecale, occorre passare a un’analgesia morfinica endovenosa (PCA) o sottocutanea, in associazione con altri analgesici per via sistemica.
Complicanze postoperatorie Complicanze cardiovascolari Cause principali di morbi-mortalità, l’ischemia e gli eventi cardiovascolari sono frequenti nel periodo postoperatorio della chirurgia dell’aneurisma dell’aorta addominale e, inoltre, sono, il più delle volte, asintomatici [105] . La comparsa di un infarto del miocardio rappresenta un fattore di rischio indipendente di mortalità a 1 anno [32] . La comparsa di ischemia miocardica postoperatoria può essere provocata dall’aumento della trombogenicità [106] e dai fattori che alterano l’equilibrio tra apporti e fabbisogni di O2 , come l’anemia, l’ipossia, le variazioni pressorie, la tachicardia e i brividi. Tuttavia, le stenosi coronariche non intervengono sempre nella fisiopatologia degli infarti perioperatori. Almeno un terzo degli accidenti coronarici acuti si verifica in territori in assenza di una lesione significativa sui tronchi epicardici ed è legato alla frattura di una placca di ateroma instabile. Ciò giustifica l’importanza del trattamento medico (statine, betabloccanti, piastrinici) per ridurre il rischio di complicanza ischemica perioperatoria e spiega, in parte, l’assenza di benefici della rivascolarizzazione profilattica.
Complicanze respiratorie Il periodo postoperatorio, dopo il trattamento di un aneurisma dell’aorta addominale, è spesso fonte di complicanze respiratorie (atelettasie responsabili di un’alterazione degli scambi gassosi, difficoltà di svezzamento dal respiratore, pneumopatie, scompenso acuto di insufficienza respiratoria cronica), le quali sono associate a una mortalità elevata. Queste complicanze sono dovute principalmente alla limitazione della cinetica diaframmatica in pazienti EMC - Anestesia-Rianimazione
dalla funzionalità respiratoria molto spesso precaria [92, 107] . Il trattamento dell’aneurisma dell’aorta addominale per via endovascolare sembrerebbe ridurre l’incidenza delle complicanze di ordine respiratorio, ma resta da valutare più formalmente. Infine, l’analgesia peridurale toracica, in associazione con una gestione che si integra in un programma di riabilitazione postoperatoria con fisioterapia respiratoria idonea, sembra essere una soluzione efficace per ridurre le complicanze respiratorie [108] .
Ischemia mesenterica È una complicanza rara ma grave, che colpisce il più delle volte il colon sinistro per un difetto di compenso del territorio che dipende dall’arteria mesenterica inferiore da parte dell’arteria mesenterica superiore attraverso l’arcata di Riolano, poiché l’arteria mesenterica inferiore è spesso sacrificata durante la procedura. Si possono anche osservare autentiche ischemie coliche in occasione del sacrificio di una o delle due arterie ipogastriche, in particolare al momento di procedure endovascolari che richiedono un’embolizzazione ipogastrica. La diagnosi di ischemia mesenterica è difficile. In effetti, il quadro clinico può variare a seconda dell’estensione e del grado di ischemia e i suoi segni clinici sono assai poco specifici nel periodo postoperatorio. Il più delle volte, si noteranno dei dolori addominali importanti nonostante un’analgesia valutata come abitualmente soddisfacente, la ripresa troppo precoce del transito e la presenza di un’instabilità emodinamica o anche di uno stato di shock che può arrivare fino alla sindrome di insufficienza multiorgano. L’esame clinico rivela, in genere, una difesa addominale diffusa. Sul piano laboratoristico, un’acidosi metabolica con iperlattatemia e un innalzamento della lattatodeidrogenasi (LDH) e della creatina chinasi orientano verso questa diagnosi. Il dosaggio del D-lattato ematico potrebbe essere una nuova tecnica di diagnosi di ischemia mesenterica, ma essa non è, attualmente, ancora formalmente stabilita [109] . Fin dal momento in cui si sospetta un’ischemia mesenterica, deve essere realizzata una TC con mezzo di contrasto per evidenziare un difetto di accentuazione del territorio mesenterico. Una simile constatazione impone la laparotomia in urgenza per resecare la zona ischemica, se essa è localizzata. Quando l’ischemia interessa la totalità del tenue e del colon, non è possibile alcun tentativo terapeutico e il paziente muore. La prevenzione dell’ischemia colica si fonda soprattutto su una buona stabilità emodinamica intra- e postoperatoria nonché sulla rivascolarizzazione più completa possibile delle collaterali dell’aorta.
Insufficienza renale Diversi fattori sono stati identificati quali responsabili di un’insufficienza renale acuta postoperatoria: l’alterazione preesistente della funzione renale, la comparsa perioperatoria di un periodo di bassa gittata cardiaca, l’ipovolemia perioperatoria, la migrazione di un embolo di ateroma durante le manovre di clampaggio, la trombosi di un’arteria renale o, ancora, lo sviluppo di una rabdomiolisi. Nel caso delle endoprotesi, l’iniezione intraoperatoria di mezzi di contrasto radiologico è un fattore di rischio di tubulopatia acuta con insufficienza renale postoperatoria. Alcuni di questi pazienti possono richiedere la depurazione extrarenale in modo transitorio o, a volte, definitivo. Per ridurre al minimo il rischio di insufficienza renale, si consiglia di idratare al meglio il paziente prima dell’intervento, di guidare gli apporti intraoperatori per mezzo di uno strumento di monitoraggio della gittata cardiaca o del volume di eiezione sistolica e di tentare di ridurre al massimo il tempo di clampaggio aortico. L’incidenza della comparsa dell’insufficienza renale acuta postoperatoria è, tuttavia, chiaramente regredita nel corso di questi ultimi anni, principalmente a causa di un controllo migliore dell’emodinamica dei pazienti nel perioperatorio.
Ischemia distale L’ischemia periferica è una complicanza in relazione con il gesto chirurgico, che può essere facilitata da un periodo di bassa gittata cardiaca o da un’ipovolemia. L’ischemia è legata o a degli emboli
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di ateroma della parete aortica o a una trombosi arteriosa, che può condurre l’equipe chirurgica a completare l’intervento con un gesto di rivascolarizzazione (trombectomia o bypass). L’ischemia può avere una ripercussione generale attraverso lo sviluppo di una rabdomiolisi con le sue conseguenze e la riperfusione può accompagnarsi a una sindrome compartimentale che si deve ovviamente prevenire con delle aponeurotomie di scarico per ogni ischemia prolungata di gamba rivascolarizzata. Meno buona è la vascolarizzazione distale più elevato è il rischio di ischemia periferica, richiedendo, allora, una profilassi con un trattamento anticoagulante e il monitoraggio più attento dei polsi periferici nel periodo postoperatorio.
Ischemia midollare Eccezionalmente, contrariamente agli aneurismi toracoaddominali, gli aneurismi dell’aorta addominale possono complicarsi con ischemia midollare e paraplegia dopo un trattamento chirurgico o dopo un’endoprotesi. Questi eventi rarissimi sono descritti sotto forma di casi clinici in letteratura e non è stato possibile fino a oggi determinare dei fattori predittivi di tali complicanze. Alcuni autori hanno ipotizzato il possibile ruolo delle trombosi dell’arteria iliaca interna dopo un bypass aortobisiliaco.
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Conclusioni
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La gestione di un paziente portatore di un aneurisma dell’aorta addominale, anche al di fuori dell’urgenza, rimane quella di un paziente a elevato rischio di complicanze perioperatorie. Attualmente, le tecniche endovascolari non hanno ancora dimostrato un beneficio netto sulla prognosi a lungo termine di questi pazienti e sono, quindi, piuttosto da riservare alla popolazione più fragile, in particolare ai pazienti insufficienti respiratori cronici. Non è probabilmente benefico proporre una rivascolarizzazione coronarica preoperatoria prima del trattamento di un aneurisma e le indagini sistematiche (test dinamici o coronarografia) non fanno più parte del bilancio raccomandato per la maggioranza dei pazienti. Viceversa, il trattamento medico (betabloccanti, statine, antiaggreganti piastrinici) svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione delle complicanze ischemiche perioperatorie e deve rappresentare la preoccupazione maggiore dell’anestesistarianimatore che prende in carico questi pazienti.
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[email protected]). Service d’anesthésie-réanimation, Hôpital européen Georges Pompidou, 20, rue Leblanc, 75908 Paris cedex 15, France. Université Paris Descartes, Sorbonne Paris Cité, 12, rue de l’Ecole-de-Médecine, 75005 Paris, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Hallynck C, Farahmand P, Julia P, Cholley B. Gestione anestesiologica per chirurgia di aneurisma dell’aorta addominale. EMC - Anestesia-Rianimazione 2013;18(1):1-12 [Articolo I – 36-587-A-10].
Disponibile su www.em-consulte.com/it Algoritmi decisionali
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