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Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita A. De Tanti, D. Saviola Per «grave cerebrolesione acquisita» (GCA) si intende una patologia cerebrale acuta che provoca uno stato di coma con Glasgow Coma Scale (GCS) <8 per una durata superiore alle 24 ore. Le GCA, principalmente rappresentate da traumi cranioencefalici (TCE), patologie cerebrovascolari ed encefalopatie post-anossiche, costituiscono una della più importanti cause di severa disabilità acquisita secondaria a complesse menomazioni sensomotorie, cognitive e comportamentali. Le persone che subiscono una GCA necessitano di una prima fase di ospedalizzazione in reparti per acuti (prevalentemente in terapia intensiva e/o in neurochirurgia), della durata di molti giorni o settimane. A tale fase può usualmente seguire un periodo, della durata di settimane o mesi, in cui si rendono necessari interventi medicoriabilitativi di tipo intensivo realizzati in regime ospedaliero (fase post-acuta e riabilitativa), al termine del quale permangono sequele che rendono necessari interventi sanitari e sociali a lungo termine, finalizzati ad affrontare le disabilità residue e a facilitare un processo di reinserimento familiare, sociale, scolastico e lavorativo con il più alto livello di integrazione possibile, compatibilmente con le limitazioni di attività residue (fase del reinserimento e della riabilitazione delle sequele tardive). Il presente capitolo descrive un modello di approccio multidimensionale e multiprofessionale alla riabilitazione medica e sociale delle GCA lungo tutto il percorso che inizia con la presa in carico del paziente nella fase acuta e termina con la piena restituzione dell’individuo al suo ambiente sociofamiliare. © 2008 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Grave cerebrolesione acquisita; Trauma cranioencefalico; Emorragia cerebrale; Anossia cerebrale; Riabilitazione funzionale; Reinserimento sociofamiliare; Reinserimento lavorativo
Struttura dell’articolo ¶ Introduzione
1
¶ Epidemiologia delle GCA
2
¶ Cenni di fisiopatologia Trauma cranioencefalico Anossia cerebrale Danno secondario
3 3 3 3
¶ Valutazione delle strutture/funzioni Stato di coscienza Supporto alle funzioni vitali Menomazione motoria e sensoriale Menomazione cognitiva e comportamentale Menomazioni parossistiche (crisi vegetative, epilessia)
3 4 4 4 6 7
¶ Valutazione delle attività, della partecipazione e della qualità della vita 7 ¶ Ruolo delle indagini strumentali nell’inquadramento delle GCA 7 ¶ Fattori prognostici e aspettative di vita ¶ Il progetto riabilitativo I percorsi e le fasi di cura Ripresa del contatto con l’ambiente Riabilitazione delle autonomie di base Riabilitazione motoria e funzionale in fase intensiva Riabilitazione motoria e funzionale in fase tardiva Riabilitazione cognitivo-comportamentale
Medicina Riabilitativa
7 8 8 10 11 13 15 16
¶ Farmaci nel progetto riabilitativo Farmaci anticonvulsivanti Farmaci anticonvulsivanti e disturbi comportamentali Dolore e farmaci antipilettici Farmaci per il recupero della vigilanza e per i disturbi comportamentali in difetto Farmaci per i disturbi del comportamento in eccesso
16 16 17 17
¶ Ruolo della famiglia nel progetto riabilitativo
18
¶ Preparazione alla dimissione e al reinserimento sociolavorativo Reinserimento lavorativo supportato Ritorno alla guida nel grave cerebroleso
18 19 21
17 18
■ Introduzione All’aumento del tasso di sopravvivenza nelle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA), documentato nei paesi «sviluppati» nelle ultime decadi, si è associato un corrispondente incremento di gravi disabilità residue. Superata la fase dell’eventuale intervento neurochirurgico e della stabilizzazione delle funzioni vitali in terapia intensiva, si pone il problema di quali siano i criteri appropriati per indirizzare il paziente a un progetto di riabilitazione intensiva piuttosto che a un programma prevalentemente di tipo assistenziale e di residenzialità protetta. La corretta gestione di questi pazienti, così complessi, richiede una presa in carico multiprofessionale e multidisciplinare, sia in fase acuta sia
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Tabella 1. Definizioni del sistema ICF.
Incidenti sul lavoro 5,64%
Funzioni corporee: le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni psicologiche Strutture corporee: parti anatomiche del corpo, come gli organi e gli arti Menomazioni: problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come significativa deviazione o perdita Attività: esecuzione di un compito o di un’azione Limitazione di attività: difficoltà incontrate da un individuo nell’eseguire un’attività
Violenza altrui 2%
Altro incidente 2% Caduta
(Vuote) 1%
accidentale 11%
Sport, tempo libero 3%
Partecipazione: coinvolgimento in una situazione di vita Restrizioni della partecipazione: difficoltà incontrate nel coinvolgimento in una situazione di vita Fattori ambientali: costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono e conducono la loro esistenza
Incidente stradale 81%
ICF: Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute.
cronica, da parte di un team dedicato alla cura delle cerebrolesioni gravi. Il team deve conoscere in modo approfondito protocolli di cura basati sulle evidenze ed essere in grado di tradurli in progetti riabilitativi individualizzati per il singolo paziente, realizzabili mediante programmi riabilitativi costantemente aggiornati in rapporto all’evoluzione clinica e alle caratteristiche del contesto ambientale in cui il soggetto sarà reinserito. L’appropriatezza del percorso di cura dovrà essere costantemente documentata per mezzo di strumenti di valutazione validati e condivisi dal team, in grado di misurare le dimensioni del funzionamento, della disabilità, della partecipazione, nonché il livello di soddisfazione del paziente e del suo care-giver. La presa in carico ottimale deve avere inizio nel luogo di cura della fase acuta e concludersi dopo la restituzione del paziente al proprio ambiente sociofamiliare: in questo senso, il percorso di cura ottimale vedrà una co-presenza, con peso inversamente proporzionale, della riabilitazione sanitaria rispetto alla riabilitazione sociale. Particolare attenzione deve essere riservata, lungo tutto il percorso, al nucleo familiare di appartenenza del paziente, che risulta nel contempo un possibile alleato e membro attivo del team, ma anche necessario oggetto di attenzione e di cura per l’elevato rischio di andare incontro a grave crisi da stress psicofisico (sindrome di burn-out). Nel corso della presente trattazione gli autori adotteranno la più recente classificazione proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) [1] che sostituisce le precedenti categorie del sistema ICDH (patologia, menomazione, disabilità e handicap) (Tabella 1).
■ Epidemiologia delle GCA Per quanto concerne i traumi cranioencefalici (TCE) nei paesi sviluppati, l’incidenza, cioè numero di nuovi casi che si verificano nella popolazione di una determinata area geografica in un certo periodo di tempo, studi su popolazioni nordamericane, canadesi e australiane riportano un range di circa 180-250 nuovi casi anno ogni 100 000 abitanti, con una frequenza di gravi traumi stimata tra 6 e 17 su 100 000 individui [2]. I dati europei non sono significativamente differenti (150-300 nuovi casi annui di ricoveri ogni 100 000 abitanti, con gravi traumi in 8,5 su 100 000 individui) [3]. Relativamente all’Italia, ad oggi non esistono studi epidemiologici sull’incidenza dei traumi estesi a tutto il territorio nazionale. I dati disponibili si riferiscono a uno studio population-based realizzato in Romagna [4] da cui risulta una incidenza di 250/100 000 abitanti. I quadri più severi si sono verificati in 11/100 000 abitanti e di queste GCA solo 5-6/100 000 necessiteranno di programmi di riabilitazione intensiva. Nel TCE i soggetti di sesso maschile hanno una probabilità di subire un trauma nettamente superiore rispetto a
2
Figura 1.
Cause principali dei traumi cranici nello studio GISCAR.
Automobile 49% Pedone 11%
Altre 5%
Motocicletta 14%
Ciclomotore 14% Figura 2.
Camion 2%
Bicicletta 5%
Cause di incidenti stradali nello studio GISCAR.
quelli di sesso femminile, con un rapporto che oscilla da 3:1 [3] a 2:1. Tale sproporzione è massima nella fascia di popolazione di età compresa fra 10-19 anni e tende ad annullarsi nelle popolazioni di età più avanzata. Rispetto alle GCA non traumatiche, i dati epidemiologici risultano ancora più difficili da reperire. Per quanto riguarda le forme emorragiche, il valore attualmente atteso in Italia, in base ai principali studi epidemiologici disponibili, è di 43-58 nuovi casi di primo ictus emorragico per 100 000 abitanti all’anno [5], di cui solo una percentuale minore risponde ai criteri di GCA. Non sono note stime di incidenza delle GCA di origine ischemica, che comprendono solo una piccola quota degli ictus ischemici, quali, per esempio le ischemie troncoencefaliche come la Locked-in Syndrome. Le GCA secondarie a encefalopatia anossica, prevalentemente dovuta ad arresto cardiaco ripreso mediante defibrillatore e manovre rianimatorie prolungate, sono in continuo aumento e costituiscono attualmente causa prevalente degli stati vegetativi persistenti a lungo termine e delle più severe limitazioni di attività residue. Elementi di particolare interesse per l’attuale trattazione sono deducibili dall’indagine condotta dal Gruppo Italiano per lo Studio delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite e Riabilitazione (GISCAR) [6], che ha analizzato i percorsi riabilitativi di un vasto campione di circa 2 600 GCA, reclutati in 52 centri del territorio nazionale nel biennio 2001-2003. In tale studio, le forme traumatiche corrispondono al 61,7% dell’intero campione. Nella Figura 1 sono raffigurate le cause principale dei traumi cranici e nella Figura 2 le diverse circostanze di incidente stradale. Nella Figura 3 sono riportate le diverse eziologie dei non traumatici. Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Infettiva 12%
Ischemica Altro 4% 4%
Anossica 16%
Emorragica 64% Figura 3. Eziologie delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) non traumatiche nello studio GISCAR.
Non sono attualmente disponibili informazioni precise sulla prevalenza delle GCA in Italia, ovvero sul numero di soggetti sopravvissuti a GCA con vario grado di disabilità residua. Nel nostro paese si può stimare una prevalenza di un numero variabile tra 300 e 800 casi di GCA/100 000 abitanti; le GCA con maggior impatto disabilitante dovrebbero aggirarsi sui 6 casi/100 000 abitanti, ovvero circa 3 000 casi complessivi [7].
■ Cenni di fisiopatologia Rimandando a trattati specialistici la descrizione approfondita dei diversi quadri fisiopatologici tipici del danno cerebrale primitivo e secondario, in questa sede ci limiteremo a ricordare le principali caratteristiche di due patologie di grande rilievo: il TCE e il danno anossico cerebrale che consegue, nei quadri più gravi, ad arresto cardiocircolatorio.
Trauma cranioencefalico Le lesioni primitive del sistema nervoso centrale di natura post-traumatica possono essere distinte in lesioni «focali» (ematomi, contusioni, lacerazioni) e lesioni «diffuse» (Diffuse Brain Injury [DAI], danno assonale diffuso). Entrambi i tipi di lesione, in rapporto alla gravità del trauma, sono in grado di innescare una serie di danni cerebrali «a cascata» che concorrono a determinare l’entità finale della compromissione cerebrale.
Ematoma intraparenchimale Di origine traumatica, è relativamente poco frequente. Di regola si può verificare in seguito a traumi da arma da fuoco o da oggetto penetrante nel parenchima cerebrale.
Contusioni e lacerazioni cerebrali Le contusioni cerebrali consistono in piccole lesioni emorragiche che possono incrementare di dimensione nelle prime ore dopo il trauma, coinvolgendo dapprima le regioni superficiali della corteccia cerebrale e, successivamente, la sostanza bianca sottostante alla pia madre e alla membrana aracnoide. Qualora anche queste ultime siano danneggiate, si parla di lacerazioni cerebrali. Sono spesso visibili in varie aree cerebrali e, soprattutto, nell’emisfero controlaterale alla sede di impatto della forza meccanica.
Danno assonale diffuso (DAI) Il DAI è caratterizzato da estese lesioni assonali sottocorticali che isolano virtualmente la corteccia cerebrale dalle altre parti dell’encefalo. Queste lesioni sono localizzate prevalentemente nel tronco encefalico, nella sezione parasagittale della sostanza bianca e nel corpo calloso [8], risparmiando sostanzialmente la sostanza grigia corticale [9].
Anossia cerebrale L’anossia cerebrale è secondaria, nei quadri più gravi, ad arresto cardiocircolatorio ed è causa di estesa necrosi corticale laminare multifocale o diffusa, con interessamento costante dell’ippocampo. Questi elementi patologici possono essere accompagnati da piccole aree di infarto o perdita neuronale nei nuclei della base nell’ipotalamo o nel tronco dell’encefalo. Si tratta di un interessamento consistente della sostanza grigia e della sostanza bianca. Nel danno anossico, come nel DAI, le lesioni in fase acuta sono sufficientemente estese da produrre il coma ma, mentre nel DAI le lesioni anatomiche sono teoricamente «riparabili» in quanto i corpi neuronali sono preservati, nell’ipossia la distruzione neuronale è scarsamente compatibile con una potenziale rigenerazione ed è questa la causa dell’elevato rischio di irreversibilità dell’alterazione di coscienza secondaria a encefalopatia post-anossica.
Ematoma cerebrale A seguito di un evento traumatico, sia esso «aperto» o «chiuso», le arterie e le vene che scorrono sopra, sotto e attraverso le membrane meningee possono essere stirate, distorte, forate o rotte. Ciò si traduce nella formazione di una o più raccolte ematiche, o «ematomi». A seconda delle aree cerebrali interessate dalle raccolte ematiche si verificano i fenomeni emorragici descritti di seguito.
Emorragia subaracnoidea (ESA) È causata da lacerazioni che interessano la pia madre e la membrana aracnoide, a cui consegue frequentemente inondazione ventricolare (emoventricolo). L’ESA può a sua volta determinare vasospasmi a cui conseguono lesioni ischemiche secondarie.
Ematoma epidurale (o extradurale) È spesso associato a frattura cranica e può svilupparsi con tempi di latenza di molte ore, o addirittura di giorni, rispetto all’evento traumatico In questi casi il quadro neurologico si deteriora lentamente, fino a quando la raccolta ematica non raggiunge un volume critico.
Ematoma sottodurale (rottura di un vaso venoso che attraversa lo spazio al di sotto della dura madre) È l’evento emorragico focale più frequente nel TCE e si associa a una prognosi sfavorevole, essendo una delle principali cause di decesso a causa del rischio di veloce incremento della raccolta ematica sulla superficie cerebrale. Medicina Riabilitativa
Danno secondario Occorre infine ricordare che la maggior parte delle GCA può andare incontro a complicanze neurologiche che determinano danno cerebrale secondario. Tra queste vi è l’aumento eccessivo della pressione intracranica (PIC) a seguito di edema e rigonfiamento cerebrale (swelling) o raccolta ematica intracranica, con valori che risultano patologici se superano i 20 mmHg e sono incompatibili con la sopravvivenza se superiori a 50 mm Hg. L’idrocefalo secondario è una complicanza più tardiva e consiste in un’alterazione della dinamica liquorale che si traduce nell’aumento patologico di una o più cavità ventricolari. Si tratta di una complicanza con bassa probabilità di insorgenza, intorno al 5% nei TCE, ma meritevole di attenzione per la sua potenziale influenza negativa sui processi di recupero funzionale del paziente, tanto sul versante neuromotorio quanto sul versante neurocognitivo [10].
■ Valutazione delle strutture/funzioni Molti degli strumenti proposti in questa sezione sono parte integrante del «Protocollo di Valutazione Riabilitativa di Minima della Persona con Grave Cerebrolesione» prodotto da un gruppo di lavoro nell’ambito della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER) e adottato nella maggior parte dei centri italiani che si occupano di GCA [11] . Il protocollo è stato costruito con l’obiettivo di elaborare uno strumento di valutazione utilizzabile dai componenti del team riabilitativo, ragionevolmente semplice, breve e comunicabile tanto da poter
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Tabella 2. Segni clinici associati agli alterati stati di coscienza (modificato da De Tanti, 2006). Stato
Coscienza
Sonno/Veglia
Attività motoria
Sensibilità
Comunicazione
Stato Vegetativo
Assente
Presente
Apertura spontanea degli occhi
Reazione di allerta a stimoli uditivi/visivi
Assente
Movimenti riflessi/afinalistici Stato di Minima coscienza
Parziale
Presente
Localizzazione di stimoli nocicettivi Localizzazione della provenienza dei suoni Possibile toccare, raggiungere
Produzione verbale incomprensibile (occasionali vocalizzi)
e tenere oggetti in modo corretto rispetto a dimensione/forma
Fissazione e inseguimento visivo conservati
Comunicazione gestuale inconsistente
Esecuzione di ordini incostante Mutismo acinetico
Parziale
Presente
Minimo grado di movimento e di esecuzione di ordini, dipendente dalla natura ed intensità dello stimolo
Inseguimento visivo conservato
Minimo grado di comunicazione verbale, dipendente dalla natura e intensità della stimolazione
Locked-in Syndrome
Presente
Presente
Quadriplegia
Conservata
Afonia/Anartria
Conservati i movimenti di verticalità degli occhi e di chiusura delle palpebre a comando
essere utilizzato nella maggior parte dei contesti in cui operano i team riabilitativi e in tutte le fasi del percorso di cura e di presa in carico. Si è anche cercato di ricorrere, ogni volta che fosse possibile, a strumenti standardizzati e testati per validità e affidabilità.
Tabella 3. Glasgow Coma Scale (GCS). Range 3-15 punti. Segni clinici
Tipo di risposta
Punteggio
Apertura occhi
Assente
1
Al dolore
2
Su comando
3
Spontanea
4
Stato di coscienza La protratta alterazione dello stato di coscienza costituisce l’elemento caratterizzante e unificante tutte le forme di GCA, almeno nel loro decorso all’esordio: risulta quindi essenziale che tutto il team conosca gli elementi clinici distintivi delle diverse forme di deficit della coscienza e sia in grado di porre una corretta diagnosi differenziale con quadri clinici solo apparentemente simili. In accordo con gli attuali criteri classificativi si riconoscono tre distinte condizioni di alterazione della coscienza in corso di GCA: • il coma [12] è la condizione clinica caratterizzata da assenza di apertura degli occhi, mancanza di contenuti dimostrabili di coscienza e di produzione verbale comprensibile (GCS<8). La sopravvivenza > un mese è eccezionale nel coma non traumatico [13]; • lo stato vegetativo (SV) è quella condizione caratterizzata da assenza di contenuti dimostrabili di coscienza di sé e dell’ambiente circostante, con conservazione delle funzioni autonomiche, con apertura degli occhi e presenza di ritmo sonno-veglia [14]; • lo stato di minima coscienza (MCS) è una severa alterazione della coscienza in cui siano evidenziabili minimi ma definiti comportamenti che dimostrino coscienza di sé e dell’ambiente circostante [15]. In accordo con le raccomandazioni dell’American Congress of Rehabilitation Medicine [16], occorre porre sempre un’attenta diagnosi differenziale tra queste forme e quadri patologici in cui la gravità del deficit di attività motoria rende difficile l’esplorazione dello stato di coscienza (Mutismo Acinetico e Locked-in Syndrome. Nella Tabella 2 sono riportati i criteri neurocomportamentali distintivi di queste cinque condizioni cliniche [17]. La scala più nota, per la valutazione degli alterati stati di coscienza, in fase acuta, è la Glasgow Coma Scale (GCS) [18] (Tabella 3). Nelle fasi riabilitative l’osservazione clinica «esperta» può essere meglio formalizzata ricorrendo a specifiche scale di valutazione, quale per esempio la Coma/Near Coma Scale di Rappaport [19] o una modalità di valutazione quantitativa individualizzata di questi pazienti basata sul principio del disegno sperimentale sul singolo soggetto [20].
Supporto alle funzioni vitali Per un corretto inquadramento dei pazienti occorre sempre raccogliere informazioni aggiornate sul livello di autonomia delle funzioni vitali. Per quanto riguarda la respirazione, i dati
4
Comunicazione possibile per mezzo di movimenti oculari e apertura/chiusura palpebrale
Risposta motoria
Risposta verbale
Assente
1
In estensione patologica
2
In flessione patologica
3
Retrazione
4
Localizzatoria
5
Su comando
6
Assente
1
Suoni incomprensibili
2
Parole prive di senso
3
Confusa
4
Orientata
5
sensibili sono se il paziente ha un respiro autonomo o se necessita di supporto ventilatorio meccanico, se necessita di O2 terapia, se ha una cannula tracheale e di che tipo, se necessita di frequenti broncoaspirazioni per difetto di tosse efficace. La valutazione clinica dell’efficienza respiratoria è integrata dal monitoraggio dei dati saturimetrici, mediante pulsiossimetro digitale e emogasanalisi. È opportuno poter disporre di monitoraggio strumentale cardiaco e pressorio per essere in grado di intervenire e correggere variazioni patologiche del ritmo cardiaco e della pressione arteriosa che possono verificarsi sia per instabilità intrinseca del controllo del sistema nervoso autonomo sia per effetto di manovre di assistenza o di fisioterapia praticate sul paziente. La temperatura corporea è costantemente controllata, sia perché un suo aumento patologico è spia di infezioni in atto, sia perché è un altro dei parametri che si possono modificare per discontrollo vegetativo. Rispetto all’alimentazione, si deve avere notizia se il paziente si alimenta per via parenterale (per via venosa) o entrale (per via orale o tramite sondino nasogastrico [SNG] piuttosto che tramite gastrostomia percutanea [PEG]). Sono anche utili notizie circa la presenza di accessi venosi periferici o mediante catetere venoso centrale (CVC). Completano questa sezione i dati circa il controllo sfinterico: presenza di incontinenza o ritenzione urinaria, stipsi, gestione dell’alvo, necessità di utilizzo di sistemi di raccolta quali il catetere vescicale o uroguaina esterna.
Menomazione motoria e sensoriale Il bilancio della menomazione motoria e sensoriale può risultare molto difficile in una fase iniziale in cui coesiste deficit Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Tabella 4. Pattern di menomazione motoria neurologica secondo Griffith. Pattern
Sede lesionale
Menomazioni caratteristiche
Emiparesi unilaterale
Via corticospinale e corticobulbare
Sequela più frequente Spesso la paresi è di grado lieve In generale le turbe somatosensoriali associate sono lievi o assenti Il recupero avviene spesso con progressione disto-prossimale Possibili viziature e retrazioni secondarie di notevole gravità, specie se l’emiparesi si instaura su una precedente situazione di decorticazione o decerebrazione protratta
Emiparesi bilaterale con spasticità
Vie corticospinali e corticobulbari bilateralmente a livello del tronco
Doppia emiparesi, in genere asimmetrica Ipertonia spiccata agli arti con retrazioni e viziature secondarie Deficit del controllo del capo e del tronco, con possibili viziature secondarie Possibile presenza di disartria e disfagia Possibile concomitanza di disordini cognitivi importanti
Pattern troncoencefalico corticospinale e cerebellare
Danno del tronco più spesso a livello mesencefalico
Coesistenza di disordini atassici e piramidali «alterni» (atassia sinistra ed emiparesi destra e viceversa) Spesso i disordini della coordinazione e quelli della motricità volontaria sono di gravità differente Frequente associazione con disturbi visuopercettivi da disordini della motricità oculare Spesso non vi sono importanti disordini cognitivi associati
Sindromi atassiche
Lesioni troncoencefaliche (specie mesencefaliche) e dei peduncoli cerebellari
Disordini atassici relativamente puri, a carico degli arti e/o del capo e tronco Assenza di importanti retrazioni e viziature secondarie Possibili disordini della comunicazione verbale da disartria
Sindrome atetoide pseudobulbare
Vie corticospinali e corticobulbari bilateralmente: gangli della base
Disordini di tipo piramidale, associati a importante distonia, bradicinesia e movimenti involontari (più spesso a tipo di atetosi) Frequente la buona o discreta conservazione delle capacità cognitive in contrasto con la grave menomazione motoria
Sindrome dei gangli della base
Gangli della base (spesso il danno è secondario, dovuto per esempio ad ipossia)
Predominano disordini del movimento dovuti a rigidità e distonie, (specie ai distretti assiali) o a movimenti involontari (tremori o altri movimenti) A volte le menomazioni hanno comparsa tardiva I disordini sono aggravati da ansia, eccitazione o sforzo Probabili retrazioni o viziature secondarie (cifosi, scoliosi) e dolori da spasmo muscolare
grave della coscienza e possono prevalere schemi patologici in decerebrazione o in decorticazione che mascherano il quadro della menomazione motoria correlabile con danno delle aree cerebrali specifiche per il controllo del movimento. Anche in fase post-acuta, la presenza di importante compromissione cognitivo-comportamentale può interferire con la valutazione dell’articolarità, del tono e della motricità attiva e volontaria del paziente a causa della sua collaborazione ridotta o nulla. In rapporto all’estrema variabilità dei quadri lesionali, i soggetti con GCA possono avere una vasta gamma di menomazioni motorie, variabili sia per topografia sia per caratteristiche qualitative. Si rende quindi indispensabile una descrizione clinica dettagliata caso per caso, che può poi essere completata ricorrendo a scale specifiche per ogni area, quali per esempio l’Asworth per la spasticità [21] , il Trunk Control Test per il controllo dell’equilibrio del tronco [22]. Il dato più ricorrente delle menomazioni motorie di questi pazienti risiede nella possibilità di concomitanza di quadri misti e atipici rispetto a quelli dell’ictus. La scala Griffith [23] (Tabella 4) risulta utile per la definizione del pattern di menomazione motoria neurologica. Il bilancio motorio deve sempre essere completato dalla verifica della presenza di danni associati, quali fratture scheletriche in caso di TCE, e di danno secondario che può determinare ulteriore menomazione motoria anche a distanza dall’evento acuto. Tra i danni secondari più frequenti e tipici sono da menzionare: • le paraosteoartropatie (POA), calcificazioni che si formano nelle aree periarticolari delle maggiori articolazioni e possono portare a blocchi articolari completi [24]; Medicina Riabilitativa
• neuropatie e miopatie periferiche usualmente secondarie a malattia critica: possono causare importante deficit motorio e sensitivo in fase acuta, ma sono spesso a evoluzione lentamente favorevole; • le limitazioni articolari dovute a retrazioni muscolotendinee e/o capsulo-articolari che si instaurano progressivamente e diventano infine non reversibili. Lo studio clinico della menomazione motoria può essere completato, anche ai fini della miglior definizione del programma terapeutico, dall’analisi strumentale complessa disponibile nei moderni laboratori del movimento, in cui si possono analizzare informazioni combinate provenienti da strumenti di elettromiografia di superficie, da piattaforme di forza per l’analisi del passo, da dati cinematici [25]. La menomazione sensoriale, compatibilmente con il grado di collaborazione del paziente, deve essere sempre accuratamente indagata in tutte le modalità sensoriali. Nei soggetti in SV o MCS riveste particolare importanza l’indagine di un possibile deficit visivo, perchè costituisce una delle principali cause di errore diagnostico (pazienti erroneamente classificati come in SV) [26].Tra le principali cause di grave deficit di visus vi sono l’emovitreo e la cecità corticale. Il primo può verificarsi nel TCE e nelle GCA emorragiche: è di facile diagnosi con valutazione del fundus oculi e di semplice soluzione chirurgica. La cecità corticale, molto frequente in caso di anossia cerebrale, è secondaria a compromissione bilaterale della corteccia occipitale, è indagabile mediante potenziali evocati visivi e ha una prognosi negativa.
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Tabella 5. LCF: Levels of Cognitive Functioning. 1) Nessuna risposta Il paziente è completamente non-responsivo a qualsiasi stimolo. 2) Risposta generalizzata Il paziente reagisce, in modo incostante e non finalizzato, agli stimoli, in modo non specifico. Le risposte sono di entità limitata e spesso sono uguali, indipendentemente dallo stimolo presentato. Le risposte possono essere modificazioni di parametri fisiologici (frequenza del respiro, per esempio), movimenti grossolani o vocalizzazioni. Spesso la risposta è ritardata rispetto allo stimolo. La risposta più precoce a comparire è quella al dolore. 3) Risposta localizzata Il paziente reagisce agli stimoli in modo specifico, ma non costante. Le risposte sono direttamente correlate al tipo di stimolo presentato, come il girare il capo verso un suono o fissare un oggetto presentato nel campo visivo. Il paziente può ritirare una estremità e vocalizzare quando gli viene somministrato uno stimolo doloroso. Può eseguire ordini semplici in modo non costante e ritardato, come chiudere gli occhi, stringere la mano o stendere un arto. Quando non gli vengono offerti stimoli può restare fermo e tranquillo. Può mostrare una vaga consapevolezza di sé e del proprio corpo, manifestando risposte a situazioni di disagio, (come il tirare il sondino nasogastrico o il catetere vescicale). Può mostrare differenza nelle risposte, rispondendo ad alcune persone (specialmente a famigliari e amici), ma non ad altre. 4) Confuso-agitato Il paziente è in stato di iperattività, con grave difficoltà ad analizzare le informazioni provenienti dall’ambiente. È distaccato da quanto gli accade intorno e reagisce principalmente al suo stato di confusione interiore. Il comportamento in rapporto all’ambiente è spesso bizzarro e non finalizzato. Può piangere o gridare in modo sproporzionato agli stimoli, anche quando questi vengono rimossi, può mostrarsi aggressivo, può cercare di togliersi i mezzi di contenimento o le sonde e i cateteri, o può cercare di scendere dal letto. Non riesce a distinguere le persone e le cose e non è in grado di cooperare nel trattamento. La verbalizzazione è spesso incoerente e inappropriata alla situazione ambientale. Ci può essere confabulazione, che può avere carattere di aggressività verbale o ostilità. La capacità di prestare attenzione all’ambiente è molto limitata e l’attenzione selettiva è spesso inesistente. Non essendo consapevole di quanto gli accade, il paziente non ha capacità di memoria a breve termine. Non è in grado di effettuare attività di cura della persona, se non con molto aiuto. Se non ha menomazioni fisiche importanti, può effettuare attività motorie automatiche anche complesse, come sedersi e camminare, ma non necessariamente in modo intenzionale o su richiesta. 5) Confuso-inappropriato Il paziente è vigile, attento e in grado di rispondere a comandi semplici in modo abbastanza costante. Se i comandi sono complessi, o non ci sono situazioni esterne facilitanti, le risposte sono tuttavia non intenzionali, casuali o, al più, frammentarie rispetto allo scopo. Può presentare comportamento di agitazione, ma non dovuto a fattori interni come nel livello IV, ma piuttosto per effetto di stimoli esterni e usualmente in modo sproporzionato allo stimolo. Ha una certa capacità di attenzione verso l’ambiente, è altamente distraibile e incapace di focalizzare l’attenzione verso uno specifico compito, se non è continuamente facilitato. In una situazione facilitante e strutturata può essere in grado di conversare in modo «automatico» (frasi di convenienza), per brevi periodi. La verbalizzazione è spesso inappropriata, può confabulare in risposta a quanto gli accade. La memoria è gravemente compromessa e fa confusione fra passato e presente. Manca l’iniziativa per effettuare attività finalizzate (per esempio la cura di sé), e spesso è incapace di usare correttamente gli oggetti se non è aiutato da qualcuno. Può essere in grado di effettuare compiti appresi in precedenza se posto in situazione adeguata, ma non è in grado di apprendere nuove informazioni. Risponde meglio a stimoli che riguardano il proprio corpo, il proprio benessere e comfort fisico e, spesso, risponde meglio con i famigliari. Può effettuare attività di cura di sé con assistenza e può alimentarsi con supervisione. La gestione in reparto può essere difficoltosa se il paziente è in gradi di spostarsi, perché può vagare per il reparto, oppure mostrare l’intenzione di «andare a casa» senza comprenderne i rischi o le difficoltà. 6) Confuso-appropriato Il paziente mostra un comportamento finalizzato, ma necessita ancora di stimoli e indicazioni esterne per indirizzarlo correttamente. La risposta al disagio è appropriata, e può essere in grado di sopportare stimoli fastidiosi (per esempio un sondino nasogastrico, se gli si spiega il perché). Esegue ordini semplici e segue le indicazioni; mostra di poter effettuare certi compiti da solo, una volta che si è esercitato (per esempio, attività di cura di sé).Necessita comunque di supervisione nelle attività che gli erano abituali; necessita di molto aiuto nelle attività nuove (che non aveva mai svolto prima) e non è poi capace di svolgerle da solo. Le risposte possono essere scorrette a causa di problemi di memoria, ma sono adeguate alla situazione. Possono essere ritardate o immediate e mostra una diminuita capacità di analizzare la informazione, con incapacità di anticipare o prevedere gli eventi. La memoria per gli avvenimenti del passato è migliore che quelle per gli eventi recenti (accaduti dopo il trauma). Il paziente può mostrare una iniziale consapevolezza di situazione e si può rendere conto che ha difficoltà a rispondere. Non tende più a vagare senza meta e ha un parziale orientamento nello spazio e nel tempo. L’attenzione selettiva al compito può essere compromessa, specie in compiti di difficili o in situazioni non «facilitanti», ma riesce a effettuare correttamente normali attività di cura di sé. Può mostrare di riconoscere i componenti del team e ha una miglior consapevolezza di sé e dei suoi bisogni elementari; è più adeguato nei rapporti con i famigliari. 7) Automatico-appropriato Il paziente è adeguato e orientato nell’ambiente del reparto e a casa, svolge le sue attività di vita quotidiana automaticamente, e in modo simile a quello di un robot. Non presenta confusione e ha una certa capacità di ricordare che cosa gli è successo. Si mostra via via più consapevole della sua situazione, dei suoi problemi e necessità fisiche, dei suoi bisogni, della presenza dei famigliari delle altre persone presenti intorno a lui, così come dell’ambiente in generale. Ha una consapevolezza superficiale della sua situazione generale, ma gli manca ancora la capacità di analizzarla nella sue conseguenze, a scarsa capacità critica e di giudizio, e non è in grado di fare programmi realistici per il futuro. Mostra di poter applicare nuove abilità, ma ancora con difficoltà e in modo parziale. Necessita almeno di una supervisione minima per difficoltà di apprendimento e per motivi di sicurezza. È autonomo nelle attività di cura di sé e può necessitare di supervisione a casa o fuori, per ragioni di sicurezza. In un ambiente strutturato facilitante può essere in grado di iniziare da solo certe attività pratiche, ricreative o sociali per cui ora può mostrare interesse. 8) Finalizzato-appropriato Il paziente è vigile e orientato; è in grado di ricordare e integrare eventi passati e recenti ed è consapevole della sua situazione. Si mostra in grado di applicare nuove conoscenze e abilità apprese, purché siano accettabili per lui e per il suo stile di vita, e non necessita di supervisione Nei limiti delle sue eventuali difficoltà fisiche, si mostra indipendente nelle attività domestiche e sociali. Può continuare a mostrare una certa diminuzione di capacità rispetto a prima del trauma, specie riguardo alla velocità e adeguatezza nell’analizzare le informazioni, nel ragionamento astratto, nella tolleranza allo stress e alla capacità di critica e giudizio in situazione di emergenza o in circostanze non abituali. Le sue capacità intellettive, la sua capacità di adattamento emozionale e le abilità sociali possono essere ancora a un livello inferiore rispetto a prima, ma consentono comunque il reinserimento sociale.
Menomazione cognitiva e comportamentale Costituisce una delle variabili critiche delle GCA, perché è in grado di condizionare tutta l’impostazione del progetto riabilitativo e la stessa prognosi globale di recupero funzionale dei pazienti. La valutazione si avvale di strumenti diversi, specifici per le diverse fasi evolutive in cui si trova il soggetto con GCA.
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Lungo tutto il percorso di malattia il soggetto può essere inquadrato mediante la scala Levels of Cognitive Functioning (LCF) [27], una scala nominale che descrive otto diverse fasi comportamentali tipiche di questi soggetti (Tabella 5), dal coma al buon recupero. Quando un malato raggiunge la classe 5 (confuso-inappropriato), si può iniziare a valutare l’entità di amnesia post-traumatica e/o disorientamento temporospaziale Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
ricorrendo a questionari prospettici quali il Galveston Orientation and Amnesia Test (GOAT) [28] Solo quando è stabilmente superato il periodo della amnesia post-traumatica ha senso sottoporre il paziente a prove psicometriche formali, che devono essere scelte, somministrate e interpretate da un neuropsicologo esperto, in grado di trarre una sintesi significativa dalla storia del paziente, dal colloquio con il care-giver, dall’analisi del comportamento clinico del paziente e dalla performance nei test. L’insieme dei disturbi comportamentali ha una forte attinenza con la sfera delle alterazioni della personalità e contempla una vasta gamma di espressioni patologiche, in sintesi raggruppabili [29] come comportamenti patologici per difetto (per esempio apatia, inerzia, ottundimento affettivo, eccessiva affaticabilità, depressione dell’umore), per eccesso (irritabilità, agitazione, ansia, pararanoia, bulimia, logorrea), inadeguati per condizioni e tempi (disinibizione, disforia, disturbi della sfera sessuale).
Menomazioni parossistiche (crisi vegetative, epilessia) Le crisi vegetative costituiscono un fenomeno relativamente frequente nei soggetti con GCA. La sintomatologia che si può osservare in tale frangente è molto variabile per quanto concerne il numero dei segni e dei sintomi che si possono presentare contemporaneamente: tachicardia (>120/min); tachipnea (>30/min); rialzo della temperatura oltre i 37,5 °C; ipertensione arteriosa (PA max >160 mm Hg); sudorazione profusa; orripilazione; vampate di rossore cutaneo; posture di ipertonia marcata in decerebrazione o decorticazione; accessi di movimenti distonici [30]. Normalmente la sindrome disautonomica si esaurisce spontaneamente. Rispetto alla patogenesi, si concorda sul ruolo dominante di una disconnessione funzionale tra il diencefalo e il tronco dell’encefalo, con conseguente sregolazione ipotalamo-mesencefalica. Quadri persistenti di disautonomia si correlano con una prognosi peggiore. La frequenza di epilessia post-traumatica è compresa tra il 7 e il 39% quando consegue a gravi traumi cranici con lesioni corticali e sintomi neurologici focali, ma senza lesioni della dura madre, mentre l’incidenza aumenta dal 20 al 57% quando anch’essa risulta compromessa. Nella grande maggioranza dei casi si tratta di epilessie parziali a partenza focale che vengono classificate «precoci» se manifestatesi nei primi sette giorni o «tardive» se apparse dopo la prima settimana dall’evento acuto [31].
■ Valutazione delle attività, della partecipazione e della qualità della vita La scala più nota per la valutazione della capacità di eseguire compiti e azioni, anche in contesti di vita reale, da parte dei pazienti con GCA è la Glasgow Outcome Scale (GOS) [32] (Tabella 6). Esiste ormai ampia letteratura a conferma della
Tabella 6. Glasgow Outcome Scale (GOS). - Morte - Stato vegetativo: vigile, ma non in grado di comunicare con l’ambiente - Disabilità grave: cosciente, ma disabile. Paziente che a causa delle sue menomazioni fisiche o mentali necessita di assistenza di una terza persona nelle attivita della vita quotidiana - Disabilità moderata: disabile, ma indipendente. Paziente che, pur potendo presentare diversi gradi di deficit motorio o cognitivocomportamentale, è indipendente nelle attività della vita quotidiana - Buon recupero: paziente che puo presentare menomazioni motorie e/o cognitive residue, ma è in grado di riprendere una vita «normale». La ripresa del lavoro non è un criterio affidabile perche troppo condizionata dal contesto. È importante valutare le attività sociali
Medicina Riabilitativa
validità di questo strumento anche in versione di intervista telefonica, particolarmente utile per valutazione di follow-up post-dimissione [33]. Un’altra scala ampiamente utilizzata per il TCE e, in via estensiva per le GCA, è la Disability Rating Scale (DRS) [34] (Tabella 7). La DRS ha il pregio di essere utilizzabile lungo tutto il percorso di presa in carico di un grave cerebroleso, dal reparto di rianimazione fino al reinserimento sociofamiliare ed è sensibile sia alle limitazioni di attività secondarie a menomazione motoria sia a quelle cognitivo-comportamentali. Nel Protocollo Valutativo di Minima del Paziente con GCA viene proposto l’uso del Questionario di Integrazione nella Comunità (CIQ) [35, 36] per valutare il grado di partecipazione sociofamiliare e il test SF 12 [37] per la valutazione della qualità della vita e la percezione di salute dei pazienti.
■ Ruolo delle indagini strumentali nell’inquadramento delle GCA Allo stato attuale delle conoscenze il ruolo delle indagini strumentali resta marginale ai fini della diagnosi differenziale degli alterati stati di coscienza (coma, SV, MCS) e della definizione prognostica dei pazienti con GCA in fase precoce, fatto salvo il loro ruolo fondamentale nella gestione in acuto e per la diagnosi precoce delle complicanze cerebrali. La TAC e la RMN si sono rilevate strumenti utili per definire grossolane categorie con diversa prognosi di recupero: per esempio, è stato dimostrato che i soggetti con presenza di DAI in sedi profonde (corpo calloso, talamo bilaterale), in RMN eseguita dopo poche settimane da TCE hanno, a un anno dal trauma, minor probabilità di recupero della coscienza rispetto a soggetti con DAI più superficiale [38], ma il livello di predittività dell’esame non consente di formulare una prognosi attendibile per il singolo soggetto. Il recente sviluppo di tecniche di imaging funzionale quali fRMN e PET hanno aperto nuove prospettive di studio dell’attività cerebrale anche in caso di alterata coscienza [39], ma non risultano ancora applicabili a livello di routine clinica. Anche il tentativo di utilizzare l’elettroencefalogramma (EEG) come strumento di diagnosi e, soprattutto, di prognosi precoce rispetto al passaggio da una condizione di coma a uno stato vegetativo e al recupero della responsività non ha sortito risultati significativi [40]. Tra i potenziali evocati (registrazione allo scalpo dell’attività elettrica indotta da stimolazione sensoriale), quelli uditivi, del tronco, risultano usualmente nella norma in questi pazienti; quelli visivi (PEV) sono utili per individuare precocemente i casi di grave deficit visivo quali la cecità corticale; di maggiore interesse risultano invece i potenziali evocati somatosensoriali (PESS) In particolare, nel caso di cerebropatia anossica l’assenza di risposta corticale (N20) alla stimolazione tattile determina prognosi negativa di recupero della coscienza a un mese dall’esordio [41] e, se associata con il dosaggio della NSE (enolasi neurone specifica), già nei primi tre giorni dopo l’insorgenza del danno [42].
■ Fattori prognostici e aspettative di vita Rispetto al rischio di decesso in seguito a GCA, tutti gli autori concordano che occorre distinguere tra le probabilità di morte nel primo anno, fase precoce a elevato rischio, con probabilità, per TCE, tra il 51 e il 19% [43] e le probabilità che il decesso avvenga in fase tardiva, in cui il rischio di morte tende a ridursi di quattro-cinque volte rispetto al periodo precedente [12] . Tuttavia, i dati attuali sulla mortalità in fase «tardiva» sono poco affidabili, vista l’assenza di follow-up a lungo termine e la probabilità che le moderne tecnologie di nursing favoriscano la buona gestione a lungo termine e quindi le aspettative di sopravvivenza anche dei più gravi. Rispetto alla prognosi dello SV, la Multi-Society Task Force [44] ha prodotto un’esaustiva e autorevole revisione della letteratura esistente nel mondo anglosassone, riportando i dati di circa 754 casi di soggetti risultanti in SV a un mese da un insulto
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Tabella 7. Disability Rating Scale (DRS). Vigilanza consapevolezza e responsività Apertura degli occhi
Abilità di communicazione
Miglior risposta motoria
0 = spontanea
0 = orientate
0 = su ordine
1 = alla parola
1 = confuse
1 = localizzata
2 = al dolore
2 = inappropriate
2 = generalizzata
3 = nessuna
3 = incomprensibile
3 = in flessione
4 = nessuna
4 = in estensione 5 = nessuna
Abilità cognitiva per le attività della cura di sè (Il paziente sa come e quando? Ignorare la disabilità motoria) Nutrirsi
Sfinteri
Rassettarsi
0 = completa
0 = completa
0 = completa
1 = parziale
1 = parziale
1 = parziale
2 = minima
2 = minima
2 = minima
3 = nessuna
3 = nessuna
3 = nessuna
Livello funzionale 0 = completa 1 = indipendenza con particolari necessità ambientali 2 = dipendenza lieve 3 = dipendenza moderata 4 = dipendenza marcata 5 = dipendenza totale Impiegabilità 0 = completa 1 = parziale 2 = minima 3 = nessuna Punteggio complessivo
Categoria di disabilità
0
Nessuna disabilità
1
1
Disabilità lieve
2
2-3
Disabilità parziale
3
4-6
Disabilità moderata
4
7-11
Disabilità moderamente severa
5
12-16
Disabilità severa
6
17-21
Disabilità estremamente severa
7
22-24
Stato vegetativo
8
25-29
Stato vegetativo grave
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30
Morte
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acuto (traumatico o non). Rispetto alla sottopopolazione dei soggetti di origine traumatica e di età adulta, la Task Force ha calcolato che la probabilità di outcome a un anno per i soggetti in SV da un mese comporta una percentuale del 15% di permanenza in SV; viene stimata intorno al 52% la possibilità di recupero della coscienza, che si accompagna a buon recupero di indipendenza solo nel 24% dei casi. La prognosi si fa progressivamente più severa con il trascorrere dei mesi: dopo 3 mesi di SV aumenta il rischio di persistere in SV (30%). Le previsioni sono ancora più critiche per uno SV perdurante a 6 mesi, con 52% di probabilità di rimanere in SV a 1 anno. Dalla disamina della letteratura si deve concludere che, con l’eccezione della cerebropatia anossica, non sono ad oggi disponibili indagini strumentali o indici prognostici attendibili, soprattutto in fase precoce, in grado di predire quale sarà l’outcome dei nostri pazienti [45]. Fatta questa premessa, tutti i lavori pubblicati concordano sul fatto che la prognosi di recupero è migliore: • nei casi a eziologia traumatica rispetto a quelli di natura vascolare e anossica [44]; • per minor gravità iniziale del coma, misurato con la Glasgow Coma Scale (GCS); • nei casi in cui vi sia stata una minor durata del periodo di non responsività (coma e SV) e di (PTA); • nei casi di pazienti in MCS rispetto a quelli in SV [46];
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• nei soggetti di età inferiore rispetto ai più anziani, con un’età cut-off intorno ai 40-45 anni, con l’eccezione dei primi anni di vita.
■ Il progetto riabilitativo Ogni soggetto portatore di GCA deve poter beneficiare di un progetto riabilitativo individualizzato, costantemente adattato alla fase evolutiva e al contesto di cura in cui si trova , realisticamente costruito in rapporto agli obiettivi perseguibili e che tenga conto anche del futuro contesto sociofamiliare a cui l’individuo sarà restituito. Il paziente deve poter essere preso in carico da un team multiprofessionale, la cui composizione e organizzazione saranno anch’esse soggette a possibili variazioni nel tempo, per cui per esempio il team leader nella fase acuta potrà essere il medico intensivista, nella fase della riabilitazione intensiva il fisiatra, nella fase tardiva, territoriale e della reintegrazione sociolavorativa l’operatore psicosociale.
I percorsi e le fasi di cura La definizione di quali siano i percorsi riabilitativi e assistenziali più appropriati per i soggetti portatori di GCA costituisce anche in Italia fonte di grande dibattito, per le evidenti implicazioni non solo di natura strettamente sanitaria, ma Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Classe I
Pazienti
Dove
• Good recovery or moderate disability • DRS ≤ 6 • Basso rischio di instabilità clinica • Non necessità di assistenza nelle 24 ore
• Completamento della stabilizzazione clinica • Valutazione e trattamento delle menomazioni residue (fisiche, cognitive, comportamentali) • Recupero delle autonomie nelle AVQ «semplici» e «complesse» • Facilitazione del reinserimento sociale scolastico e lavorativo (integrazione con strutture di riabilitazione sociale) • Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-giver
Servizi ambulatoriali o day hospital
Obiettivi
Figura 4. Algoritmo decisionale. Percorsi riabilitativi delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) in Italia; obiettivi per pazienti di classe I. DRS: Disability Rating Scale; AVQ: attività della vita quotidiana.
Classe II
Pazienti
Dove
• Moderate or severe disability • DRS ≤ 21 • Rischio di instabilità clinica • Necessità di assistenza nelle 24 ore
• Completamento della stabilizzazione clinica • Recupero autonomia nelle funzioni vitali di base • Contenimento dei danni e prevenzione delle complicanze secondarie • Valutazione e trattamento menomazioni residue • Recupero delle autonomie nelle AVQ «semplici» e «complesse» • Facilitazione del reinserimento sociale scolastico e lavorativo (integrazione con strutture di riabilitazione sociale) • Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-giver
Riabilitazione intensiva
Obiettivi
Figura 5. Algoritmo decisionale. Percorsi riabilitativi delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) in Italia; obiettivi per pazienti di classe II. DRS: Disability Rating Scale; AVQ: attività della vita quotidiana.
Classe III
Pazienti
Dove
Strutture di riabilitazione intensiva
Obiettivi
• Vegetative state or minimally conscious patients • DRS > 21 • LCF ≤ 3
• Completamento della stabilizzazione clinica • Valutazione longitudinale della responsività e facilitazioni al contatto con l'ambiente • Assistenza medico-specialistica infermieristica dedicata 24 ore • Recupero delle autonomie possibili (respiratorie, nutrizionali ecc.) • Prevenzione-gestione delle complicanze • Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-giver
Figura 6. Algoritmo decisionale. Percorsi riabilitativi delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) in Italia; obiettivi per pazienti di classe III. DRS: Disability Rating Scale; LCF: Levels of Cognitive Functioning. Medicina Riabilitativa
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Classe III
• Vegetative state or minimally conscious • DRS > 21 • LCF ≤ 3
Pazienti
Dove
Riabilitazione intensiva
Recupero responsività < 6 mesi
Permanenza in strutture di riabilitazione intensiva fino al completamento dei programmi non erogabili in modalità extraospedaliere
Si
No
Si Necessità di assistenza sanitaria continua
Strutture sanitarie di lungodegenza o riabilitazione estensiva
No Domicilio con supporti Strutture residenziali
Figura 7. Algoritmo decisionale. Percorsi riabilitativi e assistenziali a lungo termine per pazienti di classe III. DRS: Disability Rating Scale; LCF: Levels of Cognitive Functioning.
anche di carattere etico, economico e politico-amministrativo. Nel corso del 2000 si è tenuta a Modena una consensus conference [45], in cui tutte le parti in causa (sanitari della fase acuta, riabilitatori, amministratori e politici, utenti e loro familiari) si sono confrontate alla luce delle conoscenze disponibili e hanno concordato su un documento finale in cui, tra l’altro, sono stati individuati e raccomandati i criteri di scelta di percorsi riabilitativo-assistenziali differenziati che partono dalla consapevolezza di non poter limitare l’accesso a strutture riabilitative sulla base di indicatori prognostici incerti, per evitare il rischio di perdere una quota di pazienti con potenziale di recupero neurobiologico anche se tardivo. Nelle Figure 4-7 sono riportati i criteri di definizione dei diversi percorsi in fase acuta e post-acuta. In una consensus conference tenutasi a Verona nel giugno 2005 [7] sono invece state dibattute le tematiche inerenti la gestione riabilitativa tardiva e del reinserimento sociale. Il percorso riabilitativo della persona colpita da GCA può essere schematicamente distinto in tre fasi principali [47].
Fase acuta Si svolge prevalentemente in reparto di terapia intensiva o in neurochirugia, con una durata di norma non superiore a qualche settimana, con la finalità di minimizzare le menomazioni e prevenire il danno secondario, supportare lo svezzamento da presidi invasivi con recupero delle funzioni vitali di base e monitorare la ripresa di contato con l’ambiente.
Fase post-acuta In questa fase dominano gli interventi di riabilitazione medica, siano essi erogati in regime di ricovero ordinario in reparti ad alta specialità per la riabilitazione intensiva delle GCA (fase post-acuta precoce), che in regime di day hospital (DH) e ambulatoriale (fase post-acuta tardiva); vi sono inoltre interventi educativi sui familiari, per facilitare la loro capacità di gestione delle disabilità residue. Questa fase può protrarsi per molti mesi, in rapporto alla rapidità evolutiva e al potenziale di recupero caratteristici di ogni paziente. Nella fase post-acuta precoce prevale l’obiettivo di completare la stabilizzazione internistica e l’autonomia delle funzioni vitali, a cui si associa il trattamento sulle menomazioni invalidanti, sia per quanto riguarda le abilità motorie sia quelle cognitivo-comportamentali, e il recupero delle activities of daily living primarie (ADL primarie) o attività di base della vita quotidiana. Nella fase post-acuta tardiva il progetto riabilitativo si orienta al raggiungimento di autonomia nelle ADL complesse, che richiedono un sufficiente recupero di competenza motoria, ma ancora di più di quella cognitiva e
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comportamentale, con il fine di riacquisire capacità di muoversi in autonomia anche in esterni, di utilizzare il proprio denaro in modo corretto, di recuperare comportamenti socialmente corretti in ambito domestico e di comunità.
Fase degli esiti In questa fase diviene prevalente lo sviluppo di programmi di riabilitazione sociale, orientati al reinserimento scolastico e lavorativo, piuttosto che il recupero di abilità complesse, quali la guida di autoveicoli. In tale fase possono ancora essere utili programmi mirati di riabilitazione medica, quali interventi di chirurgia correttiva sui danni secondari. Nel percorso di cura il team deve garantire la buona formalizzazione e la tempestività degli interventi, che è stato dimostrato essere elementi predittivi di miglior recupero [48], oltre che la continuità della presa in carico del paziente e della sua famiglia lungo tutta la filiera di cura.
Ripresa del contatto con l’ambiente Per favorire la ripresa del contatto con l’ambiente dei pazienti in coma/SV molti autori hanno sostenuto l’utilità di programmi riabilitativi di stimolazione sensoriale. Un tale approccio riabilitativo sarebbe supportato sia dalla dimostrazione che la deprivazione sensoriale produce negli animali perdita di funzione neurologica, come pensavano i primi autori che le hanno proposte [49], sia dalle teorie sulla plasticità sinaptica [50]. È necessario sottolineare però che, secondo la teoria sulla plasticità neuronale, non tutti gli stimoli sensoriali sono per propria natura positivi rispetto alla produzione legami sinaptici stabili. Una parte delle critiche ai programmi di stimolazione sensoriale, intesi come somministrazione intensiva e contemporanea di stimoli a massima intensità applicati in successione sui recettori sensoriali [51], sono state orientate proprio al rischio che stimolazioni intense, prolungate e indiscriminate producano in fase iniziale un temporaneo incremento del livello di attivazione (arousal) che, di per sé, non è in grado di suscitare o incrementare possibilità di esperienza cosciente; il prolungarsi di tale stimolazione porta rapidamente a fenomeni di «abitudine» (o «assuefazione») psicologica al rumore di fondo (noise habituation) con corrispondente calo della capacità di elaborazione delle informazioni [52]. Dalle conclusioni di una revisione sistematica della letteratura sull’efficacia delle stimolazione sensoriali per favorire il risveglio dal coma [53] emerge che non esiste evidenza a supporto della efficacia di programmi di stimolazione multisensoriale in pazienti in coma o SV. Allo stato attuale delle conoscenze riteniamo che il compito del team riabilitativo, in questo ambito, sia quello di esprimere Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
adeguata competenza nel saper cogliere nel paziente, e successivamente nel riuscire a far riprodurre, i primi comportamenti evocativi di ripresa di contatto consapevole con l’ambiente circostante, anche ricorrendo a momenti strutturati di osservazione [20] in cui il soggetto da esaminare sia posto nelle condizioni più favorevoli: in assenza di complicanze cliniche disturbanti, in postura confortevole, in condizioni di veglia e a riposo, in ambiente privo di stimoli interferenti. Anche in questo ambito al familiare deve essere offerta la possibilità di giocare un ruolo attivo; occorre quindi prevedere momenti organizzati di ascolto delle impressioni del care-giver rispetto alle sue modalità di interazione con il paziente: in molti casi il compito del riabilitatore è quello di spiegare che comportamenti interpretati dal familiare come intenzionali, emotivi e comunicativi sono in realtà ancora compatibili con pattern comportamentali patologici (arcaici e/o riflessi) piuttosto che con segni di instabilità neurovegetativa (rossore al volto, tachipnea ecc.). In alcuni casi, al contrario, l’osservazione continuativa, puntigliosa, oltre che la profonda e reciproca conoscenza, consentono al familiare di cogliere per primo dei reali segni di contatto del paziente con l’ambiente circostante, quali la capacità iniziale di fissare con lo sguardo e seguire il volto del care-giver che si muove lentamente davanti al malato richiamando la sua attenzione anche con la propria voce ben nota. In tutti i casi, il confronto frequente tra il team e la famiglia risulta fondamentale per condividere l’analisi della realtà, con le conseguenze operative e le aspettative che ne conseguono. In assoluto, questi momenti concorrono a favorire un clima di alleanza che risulta fondamentale per la gestione a lungo termine del caso e per la capacità di accettazione delle disabilità residue. L’analisi delle capacità di contatto con l’ambiente circostante nel paziente in SV o MCS deve coinvolgere costantemente tutti gli operatori del team, anche al di fuori dei momenti più strutturati di osservazione/trattamento; durante le quotidiane attività di nursing in reparto, così come durante la fisioterapia in palestra, i diversi operatori del team hanno l’opportunità di monitorare il comportamento del paziente in diversi momenti della giornata e sotto l’influenza di diversi stimolazioni: l’infermiere di riabilitazione e il fisioterapista esperto in GCA devono avere specifica competenza per saper cogliere comportamenti intenzionali e sono istruiti a far precedere e accompagnare ogni loro manovra da una spiegazione molto semplice rivolta al paziente, partendo dall’ipotesi che, a un certo punto, il malato possa iniziare a comprendere e partecipare.
Riabilitazione delle autonomie di base Ottimizzazione della funzione respiratoria Nelle GCA si verifica quasi sempre un quadro di insufficienza respiratoria che richiede nella fase iniziale ventilazione meccanica, tale per cui il paziente deve essere intubato e, spesso, tracheostomizzato. Superata la fase acuta e la necessità di supporto ventilatorio si pone il problema di recuperare l’autonomia della funzionalità respiratoria in aria ambiente e la protezione sicura delle vie aeree attraverso il meccanismo riflesso della tosse, per evitare ostruzione da mancata rimozione delle secrezioni bronchiali e inalazione di cibi liquidi e solidi. Il recupero delle funzione respiratoria deve essere perseguito ricorrendo alla precoce mobilizzazione con frequenti cambi di postura nel letto e verticalizzazione del paziente appena è possibile (in carrozzina, in letto da statica). Si raccomanda inoltre trattamento quotidiano di fisioterapia respiratoria, che comprende: • tecniche manuali di mobilizzazione della parete toracoaddominale, volte a mantenere buona compliance dell’apparato osteoarticolare e muscolare; • manovre meccaniche di stimolazione della tosse e rimozione delle secrezioni, anche con iniziale ricorso alla collaborazione del paziente, se possibile con l’utilizzo di strumenti facilitanti la mobilizzazione delle secrezioni e la loro progressione verso le vie aeree alte, quali l’In-Exsufflator® (Fig. 8) e il Percussionaire®. La cannula tracheostomica deve essere rimossa appena è possibile, tenendo però anche conto del parallelo disturbo della Medicina Riabilitativa
Figura 8.
In-Exsufflator®.
deglutizione [54]. La rimozione in sicurezza della cannula può essere realizzata tramite tappe successive che prevedono il passaggio a cannula senza cuffia e di calibro ridotto, la sua chiusura per tempi progressivi sotto controllo clinico e saturimetrico, fino alla verifica della saturimetria notturna in continuo, per verificare il rischio di episodi di apnea e desaturazione durante il sonno. È raccomandabile un controllo tracheoscopico prima di rimuovere definitivamente la cannula e dopo alcuni mesi, per escludere complicanze maggiori, quali tracheostenosi e tracheomalacia, che possono mettere a rischio la sopravvivenza del paziente se non trattate tempestivamente.
Gestione dei disturbi della deglutizione La disfagia è comune in soggetti portatori di GCA e si associa a elevato rischio di episodi infettivi polmonari ab ingestis. La sua valutazione è sia clinica, a opera del team costituito dal logopedista, otorino/foniatra e medico della riabilitazione, sia strumentale, con ricorso alla fibroscopia endoscopica soprattutto nei pazienti non coscienti e non collaboranti, mentre la videofluoroscopia risulta utile nei pazienti più collaboranti, che possono assumere posizione seduta, con movimenti attivi del capo e capacità di eseguire atti di deglutizione su richiesta. Con tale metodica è possibile esaminare l’efficacia di ripetuti atti deglutitori, la risposta a boli di consistenza diversa, l’utilità di posture di compenso e si possono evidenziare precisi difetti dell’atto deglutitorio realizzato in condizioni quasi ecologiche: si può per esempio diagnosticare il ritardo di innesco del riflesso o il ristagno di parte del mezzo nelle vallecole epiglottiche, con inalazione tardiva. La valutazione è finalizzata all’esame di tutto il complesso comportamento che consente l’alimentazione per via naturale, a partire dal dato del livello di coscienza e collaborazione del paziente, passando per la verifica della possibile presenza di riflessi arcaici disturbanti (riflesso del morso o di suzione); deve quindi essere testata la fase orale della deglutizione e la validità del riflesso di deglutizione mediante la tecnica che consiste nel far deglutire al soggetto piccole dosi di gelatine e di cibo a bassa densità, colorato (per esempio yoghurt con blu di metilene) e andando a controllare, con broncoaspirazione, che non si trovino tracce del mezzo colorato in trachea. Solo dalla sintesi delle informazioni cliniche e strumentali emerge l’indicazione a programma riabilitativo mirato e la scelta delle modalità di alimentazione del paziente. In caso di impossibilità dell’alimentazione fisiologica del paziente è raccomandato che l’alimentazione parenterale sia sostituita appena
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possibile da quella enterale tramite SNG e, se tale necessità si protrae oltre le due-tre settimane, vi è indicazione al posizionamento di PEG per evitare il rischio di lesioni da decubito provocate dal SNG [55].
Piano nutrizionale A prescindere dalla presenza di disfagia i soggetti con GCA presentano elevato rischio di malnutrizione per vari motivi, tra cui il difetto iniziale di coscienza, i disturbi cognitivi, la frequente presenza di malattie infettive e febbrili, la concomitanza di lesioni cutanee da decubito, la risposta ipermetabolica presente nelle prime quattro-sei settimane dall’esordio e le possibili crisi neurovegetative, con necessità energetiche superiori del 30-40%. È peraltro noto che la malnutrizione si associa a peggior outcome e più lento recupero neurologico. In fase tardiva si può invece verificare il rischio opposto di eccessiva alimentazione, con obesità: il metabolismo corporeo si riduce, le richieste energetiche possono calare a causa della scarsa attività fisica secondaria alla disabilità motoria e vi è la possibile comparsa di bulimia secondaria a disturbo cognitivocomportamentale, ma anche quale effetto collaterale da farmaci quali antipsicotici e alcuni antidepressivi. Per tali motivi i parametri nutrizionali dei pazienti devono essere costantemente controllati (peso corporeo ed esami ematochimici) e deve essere prevista la consulenza di un dietologo all’interno del team. È importante che gli studi futuri si concentrino su un vero e proprio approccio di «farmaco-nutrizione», nella speranza che la manipolazione nutrizionale possa favorire e stimolare il recupero neurobiologico del paziente con GCA, anche attraverso l’uso di antiossidanti e neuroprotettivi.
Gestione degli sfinteri In fase precoce i pazienti possono presentare doppia incontinenza sfinterica che viene gestita per mezzo di catetere vescicale (CV) e sistema di raccolta delle feci. Il CV deve essere del minor calibro possibile e deve essere rimosso al più presto, perché un suo uso prolungato aumenta la probabilità di lesioni uretrali e la difficoltà di svezzamento, con rischio di ritenzione urinaria. La vecchia pratica della «ginnastica vescicale» (chiusura intermittente del CV prerimozione) è stata proscritta e sostituita dalla raccomandazione a effettuare dei cateterismi estemporanei, postminzionali, o comunque tempo-dipendenti, per verificare l’effettiva ritrovata efficienza del paziente nello svuotamento volontario della vescica. Ultimamente è stata introdotta la tecnica dei cateterismi volume-dipendenti: si verifica il riempimento vescicale in modo non invasivo, tramite ecoscandaglio, e si procede a cateterismo solo in caso di residui vescicali postminzionali superiori a 100 cc. In questo modo si riduce il numero delle procedure invasive con riduzione del disagio per il paziente, del rischio di infezioni e dei costi assistenziali. Il programma assistenziale e riabilitativo della funzione intestinale si pone l’obiettivo di avere uno svuotamento efficace e regolare dell’alvo. A tal fine si agisce attraverso una corretta idratazione e arricchendo di fibre la dieta, tramite mobilizzazione precoce del paziente, ricorrendo a induzione farmacologia dello svuotamento intestinale in caso di stipsi ostinata. Quando il paziente ha raggiunto un discreto grado di collaborazione, classificabile come punteggio 6-confuso-appropriato nella scala LCF, può essere utile un programma strutturato di ricondizionamento del controllo sfinterico messo in atto in modo sistematico dal personale e di assistenza con la collaborazione dei familiari, in assenza di danno della via nervosa che sottende a tale controllo.
Prevenzione delle complicanze da immobilità L’insorgenza di complicanze cutanee (lesioni da decubito) e muscoloscheletriche (retrazioni tendinee e capsuloarticolari) nelle GCA vede come causa importante la prolungata assenza di attività motoria spontanea dei pazienti, anche se altre concause possono concorrere alla gravità e rapidità di insorgenza del danno secondario (denutrizione e disidratazione, instabilità neurovegetativa, spasticità, deficit sensitivo, lesioni scheletriche concomitanti, disturbi comportamentali). In fase precoce occorre instaurare un programma di prevenzione delle complicanze da immobilizzazione, la cui efficacia è
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legata alla sua attivazione nelle 24 ore, a opera di tutto il team che ruota intorno al malato. Il successo di questa attività di prevenzione correla con la qualità del recupero funzionale raggiungibile al termine dell’iter riabilitativo, oltre che con tempi e i costi di degenza [48]. L’utilizzo sistematico di presidi antidecubito, materassi e cuscini per la carrozzina, è raccomandabile in tutti i pazienti con GCA con ridotta mobilità autonoma. Ricordando che non esiste presidio in grado di garantire di per sé la prevenzione totale dal rischio di decubito, è possibile scegliere, nella vasta gamma dei prodotti commerciali disponibili, l’ausilio con il corretto rapporto costo/beneficio. Mobilizzazione passiva polidistrettuale Costituisce il cardine di questa attività preventiva; deve essere effettuata in tutti i distretti, tranne quelli in cui vi siano controindicazioni (per lesioni scheletriche o cutanee, per esempio, per la presenza di cateteri); non deve essere omessa la mobilizzazione della regione cervicale e del capo, per l’elevato rischio di instaurarsi di limitazioni rigide del capo in iperestensione o in inclinazione laterale. La mobilizzazione deve essere realizzata in modo dolce e lento, nel pieno rispetto delle eventuali limitazioni articolari già presenti e dei possibili segni di dolore, che nei soggetti non in contatto con l’ambiente possono manifestarsi attraverso modificazione dei parametri vitali e segni di instabilità neurovegetativa. È opportuno che tutte le manovre messe in atto sul paziente vengano a questi segnalate con poche parole semplici, nell’ipotesi che si possa instaurare un contatto più evoluto con lui. In assenza di dati di evidenza, esiste buon consenso clinico sul fatto che poche mobilizzazioni quotidiane, unitamente alle altre misure preventive, possano contenere il rischio di danno secondario. Variazioni di postura Con corretto posizionamento del paziente, costituiscono un secondo strumento di prevenzione. La periodicità consigliata è di circa tre ore, al passare delle quali il paziente a letto dovrebbe essere successivamente posizionato in posizione supina e nei due decubiti laterali; il decubito prono risulta più problematico, anche se potenzialmente utile, per la frequente presenza di sonde e per disagio respiratorio del soggetto posto in tale posizione. Il corretto posizionamento del paziente può anche essere utile per inibire la comparsa di posture patologiche in decerebrazione o in decorticazione, anche se si incontrano spesso vari elementi clinici che obbligano a posture obbligate (per esempio, fratture scheletriche o decubiti già in atto). Sistemi anti-decubito Materassi e cuscini in particolare, devono essere adottati e scelti in rapporto al rischio di sviluppare lesioni da decubito; il loro utilizzo non deve ridurre il programma di mobilizzazione e controllo posturale, oltre che l’ispezione quotidiana delle aree cutanee a rischio. Ortesi di posizione possono essere adottate per prevenire il danno secondario dei distretti più a rischio, di solito quelli distali degli arti, dove si trovano muscoli lunghi, poliarticolari, spesso con strutture tendinee molto importanti, sede frequente dei maggiori segni di liberazione piramidale. La soluzione più efficace consiste nell’utilizzo di ortesi in materiale termoplastico, costruite direttamente dal terapista del team che segue il paziente: in tal modo è possibile avere rapidamente un prodotto fatto su misura, relativamente economico, e che può venire facilmente adattato al modificarsi delle necessità del paziente (Figg. 9 e 10). Per contrastare la limitazione, in genere in flessione, di grandi articolazioni quali il gomito o il ginocchio, di solito secondaria a posture patologiche, viene usata con successo la tecnica del casting seriale, che consiste nel confezionare dei gessi (attualmente è usato materiale sintetico, più leggero) che tengono l’articolazione nella posizione più corretta possibile, purchè ben tollerata dal paziente. Alla rimozione del gesso dopo 3-5 giorni, si registra di norma il recupero di parte del range articolare. In questo modo si può recuperare, con progressive correzioni, la piena articolarità, soprattutto nei casi in cui la mancata collaborazione del paziente, per difetto di coscienza o per la presenza di agitazione/aggressività, non Medicina Riabilitativa
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Figura 9. Ortesi mano.
Figura 11.
Carrozzina personalizzata Meyra®.
Figura 10. Tutore statico.
consente la sua partecipazione attiva al programma riabilitativo. Il casting si rivela di norma meglio tollerato dal paziente e più facilmente gestibile da parte del personale di assistenza rispetto a ortesi mobili che risultano spesso difficili da posizionare correttamente e che frequentemente si mobilizzano, con rischio di provocare lesioni locali e perdita del beneficio atteso. Verticalizzazione precoce È importante per prevenire osteoporosi da non carico con secondaria liberazione di sali di calcio e possibile calcolosi renale, per ridurre perdita di massa muscolare, per favorire un’adeguata risposta cardiovascolare e vegetativa, per stimolare la diuresi e l’alvo. Deve essere svolta di concerto dai membri del team, con iniziale controllo medico dell’assenza di segni maggiori di instabilità neurovegetativa. La procedura deve essere attuata anche nei pazienti in SV e con mancato controllo antigravitario del tronco e si avvale dell’utilizzo di ausili specifici quali: • carrozzine con sistema posturale personalizzabile per consentire un buon sostegno al tronco e al capo, oltre che possibilità di inclinazione dello schienale e di basculamento del sedile in toto, per graduare la verticalizzazione (Figg. 11 e 12); • letti da statica inclinabili; • apparecchi da standing, che consentano, in pazienti coscienti e con iniziale controllo antigravitario del capo e del tronco, di esercitare, per tempi crescenti, la postura verticale con sostegno graduabile a carico degli arti inferiori, del bacino e del tronco. Medicina Riabilitativa
Figura 12. Carrozzina personalizzata Cyrrus®.
Riabilitazione motoria e funzionale in fase intensiva Il programma di riabilitazione motoria nella fase intensiva è fortemente dipendente dal livello di stabilizzazione medicointernistico, così come dal grado di recupero della coscienza e dall’entità di compromissione cognitivo-comportamentale. Rispetto alla variabile medica si può dire che un soggetto entra pienamente nella fase della riabilitazione intensiva se è in grado di tollerare un programma di lavoro di 2-3 ore/die. Rispetto alla variabile cognitivo-comportamentale si possono schematicamente distinguere diversi approcci al paziente e al suo deficit di movimento, a seconda del grado di compromissione cognitiva, codificato mediante la scala LCF (Tabella 5). Nei soggetti con LCF 3-4-5, il trattamento motorio deve essere ancora in gran misura quello descritto nel paragrafo precedente,
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finalizzato alla prevenzione del danno secondario, ma anche, quando possibile, con iniziale richiesta al soggetto di focalizzare la propria attenzione al movimento che viene compiuto dal terapista e, se possibile, con l’invito di cercare di reclutare attivamente una parte del movimento richiesto. Le richieste devono essere molto semplici; le indicazioni devono essere nel contempo verbali e mimico-gestuali, per facilitare la loro possibile comprensione; deve essere lasciato un buon margine di tempo per l’inizio della possibile esecuzione nel rispetto delle latenze di risposta del soggetto; si deve cercare di selezionare richieste di movimento che non evochino dolore e di cui si è verificata precedentemente la possibilità di esecuzione attiva, anche parziale; la durata della fase attiva dell’esercizio deve essere inizialmente molto breve, per evitare precoce fatica attentiva e il probabile aumento dell’aggressività che ne consegue; può essere utile cambiare frequentemente esercizio per aumentare con l’effetto «novità» la fragile capacità attentiva disponibile; è fondamentale disporre di un ambiente-palestra adatto, ovvero tranquillo e privo di rumore di fondo: in questo senso sono da evitare le palestre affollate di terapisti e di pazienti a cui si possono aggiungere ulteriori elementi distraenti quali il suono delle musica di sottofondo. In questa fase il team può trovarsi costretto ad adottare misure in apparente contraddizione con il proposito di promuovere movimenti attivi e volontari nel paziente: a causa dell’agitazione, dell’anosognosia e dell’ipocritica concomitanti può essere necessario ricorrere a provvedimenti di contenzione (fisica o farmacologia) per contrastare il rischio di autorimozione di sonde, di autolesionismo, di caduta dal letto/carrozzina. Ovviamente, il bisogno di contenzione è inversamente proporzionale alla gravità del deficit motorio: minimo nel soggetto tetraplegico grave, massimo nel soggetto in grado di deambulare, ma totalmente inconsapevole e afinalistico nel muoversi. È compito del responsabile del team decidere in merito all’uso di mezzi di contenzione fisica, previo consenso informato dei familiari, con la costante tensione a rimuoverli appena possibile e a verificarne costantemente la ricaduta in termini di rischio di potenziale danno secondario; vanno ricercate eventuali misure alternative, per esempio l’abolizione del letto tradizionale in camera di degenza e la sua sostituzione con un materasso a livello del pavimento. È stato verificata in alcuni casi la possibilità di depotenziare l’agitazione di un paziente lasciandolo libero di esercitare la propria iperattività motoria in ambiente sicuro, mentre, al contrario, la contenzione fisica incrementava il grado di aggressività. In questa fase ogni operatore contribuisce con la propria competenza professionale alla realizzazione del programma riabilitativo, ma non è ancora possibile identificare momenti tecnici ben separati: tutti i componenti del team, nel momento in cui interagiscono con il paziente, concorrono a sviluppare quell’ambiente riabilitativo «diffuso» che è finalizzato, nell’arco delle 24 ore, a promuovere la stabilizzazione delle condizioni generali e a facilitare la riorganizzazione delle abilità residue, a partire dalla capacità di interagire propositivamente con l’ambiente circostante. Nei pazienti con LCF 6 la maggior capacità di attenzione e di collaborazione consentono di proporre setting riabilitativi più strutturati e complessi in cui, compatibilmente con l’entità del danno motorio residuo, diviene possibile richiedere al soggetto un ruolo più attivo e finalizzato a obiettivi funzionali, svolti con progressiva consapevolezza, anche se con facilitazioni e supervisione. In questa fase è utile ricorrere a setting molto concreti in cui esercitare le abilità motorie nel contesto di attività di base della vita quotidiana, poiché i soggetti sono ora in grado di ricordare e svolgere con supervisione le abilità precedentemente super-apprese, mentre sono ancora in difficoltà nello svolgere compiti nuovi in contesti astratti. Anche metodiche di condizionamento operante possono essere utili per aiutare i pazienti a recuperare una reale autonomia nelle ADL primarie, così che tornino a svolgere le attività corrette nei giusti momenti della giornata. Il compito di guida in queste attività può essere delegato al fisioterapista o al terapista occupazionale, a seconda dei modelli organizzativi adottati, ma è importante che tutto il resto del team (in particolare gli infermieri del reparto e i familiari) si comporti in modo coerente con il programma
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stilato, per consentire la reale generalizzazione dell’apprendimento. Particolare attenzione merita il recupero della deambulazione autonoma, che deve essere oggetto di un programma riabilitativo tempestivo, finalizzato al recupero delle componenti essenziali per il suo svolgimento, qualora risultino deficitarie, come il controllo antigravitario del tronco e degli arti inferiori in postura seduta e in stazione eretta, la capacità di attivazione di un pattern di locomozione che risulti funzionale, anche se deficitario rispetto allo schema fisiologico, anche se con ausili o ortesi. Il recupero della deambulazione autonoma si è dimostrato essere un elemento essenziale nel recupero funzionale globale dei soggetti portatori di esiti di GCA, ma le probabilità che si realizzi sono sempre minori quanto più ci si allontana dall’evento acuto [56]. Nei pazienti con LCF 7 e 8 il residuo livello di compromissione cognitivo-comportamentale non costituisce più una variabile limitante il programma di riabilitazione, per cui a questo livello è pienamente possibile attivare programmi elettivi di riabilitazione delle varie funzioni, motoria, logopedica e neuropsicologica, con setting che tengano conto dello specifico patologico oggetto del trattamento e che facciano pienamente leva su capacità di apprendimento cosciente. Resta però immutato l’impegno del team a individuare obiettivi realmente funzionali e pienamente condivisi con il paziente e il suo care-giver. A prescindere dalla necessità di modulare il progetto di riabilitazione del deficit motorio in rapporto alle condizioni generali del paziente e al livello di recupero della coscienza, la menomazione motoria del soggetto con esiti di GCA presenta alcune peculiarità che la distinguono da quelle secondarie a lesione focale tipica dell’ictus cerebri e che richiedono adattamenti specifici nel progetto riabilitativo. Il deficit motorio è frequentemente generalizzato e bilaterale, con interessamento, anche se asimmetrico, di entrambi i lati e della muscolatura assiale. La classificazione secondo Griffith (cfr. Tabella 4) costituisce una necessaria semplificazione rispetto ai frequenti quadri misti, in cui possono coesistere, con gravità diversa, segni di tipo piramidale, extrapiramidale e cerebellare. Il pattern del deficit motorio osservabile in fase di esordio non viene costantemente confermato nelle successive fase evolutive, come accade per l’ictus: il concomitante disturbo della coscienza e la possibile presenza temporanea di schemi arcaici di movimento patologico (sinergie in decerebrazione o in decorticazione) possono mascherare il reale quadro di danno motorio definitivo, per cui è utile rinviare il bilancio della menomazione motoria al momento della stabilizzazione globale del quadro neurologico. Nei casi di emiparesi di tipo piramidale sono molto più frequenti casi di iniziale recupero distoprossimale, per cui non è infrequente assistere alla comparsa di movimenti singolarizzati delle dita della mano in soggetti con franca plegia prossimale. Nei soggetti con TCE possono coesistere danni di origine traumatica (fratture, lesioni articolari e tendinee) che condizionano ulteriormente il programma riabilitativo, per esempio rispetto alla possibilità di mobilizzare un distretto o recuperare il carico. Tutte le GCA sono gravate da rischio di paraosteoartropatie (POA) che possono bloccare le grandi articolazioni e condizionare pesantemente lo sviluppo dell’intero progetto riabilitativo. Purtroppo non esistono ad oggi dati di evidenza rispetto all’utilità di terapia preventiva con uso di farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) (indometacina 25 mg per 3/die), di sodio etidronato (20mg/Kg/die) o di radioterapia. Per questo motivo si sta affermando un approccio chirurgico alle POA secondo il quale, in caso di blocchi articolari particolarmente disturbanti, le attività di nursing e il recupero funzionale del paziente, si può proporre la rimozione chirurgica della calcificazione ad avvenuta stabilizzazione della stessa, come testimoniato da riduzione della fosfatasi alcalina. Vari autori consigliano una singola seduta di radioterapia nelle 24 ore precedenti o successive all’intervento per ridurre il rischio di recidiva, con buoni risultati funzionali a un anno dall’intervento [57]. Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Figura 13. Benda funzionale mano.
Riabilitazione motoria e funzionale in fase tardiva La fase riabilitativa post-ospedaliera e a lungo termine è prevalentemente centrata su interventi volti al recupero di abilità complesse, quali la guida di un autoveicolo o di abilità strumentali a fini lavorativi piuttosto che il recupero di competenze sociali nell’ambito delle relazioni familiari e lavorative, dominio quest’ultimo della riabilitazione sociale. Occorre però ricordare che per i pazienti con outcome più severo (SV, MCS e soggetti con condizione di Grave Disabilità alla GOS) resta la necessità di un progetto a lungo termine per continuare a contrastare il rischio di danno secondario e per ottimizzare le capacità di partecipazione dei soggetti, anche mediante ricorso a misure che modifichino il loro ambiente di vita, riducendo le barriere architettoniche e/o mettendo a disposizione ausili adeguati. In questi casi il medico e il fisioterapista possono svolgere un ruolo prevalentemente informativo-educativo sui familiari e sugli operatori del territorio, mettendo a disposizione competenze sulle tecnologie esistenti nel settore degli ausili, istruendo circa la miglior gestione diretta del rischio di danno secondario, supervisionando periodicamente il risultato dell’applicazione delle proprie prescrizioni. Una terza area di intervento riabilitativo in questa fase è quella che riguarda la gestione delle complicanze motorie in fase tardiva. In questa fase, che si colloca oltre i 6-12 mesi dall’evento acuto, è altamente probabile che si siano ormai esaurite le possibilità di recupero intrinseco neurologico-motorio. Ciò non toglie che si possa ottenere un ulteriore recupero funzionale, attraverso interventi compensatori mirati. Le principali terapie proposte in questo ambito sono:
Blocco neuromuscolare con tossina botulinica La tossina, di tipo A o B, è in grado di inibire la fuoriuscita di acetilcolina dalla sinapsi neuromuscolare delle terminazioni nervose colinergiche. Attraverso questo meccanismo può essere usata per inibire distrettualmente l’ipertonia spastica. Poiché la sua efficacia è dose-dipendente, può risultare meno efficace in muscoli molto voluminosi, in considerazione del limite di dosaggio massimo consentito in sicurezza. Per facilitare la penetrazione del farmaco nel muscolo si può ricorrere, dopo la sua inoculazione, a elettroterapia o bendaggio adesivo di posizionamento (Figg. 13 e 14) che mantenga il muscolo in una posizione di massimo stiramento tollerato [58]. L’effetto della tossina può ridursi nel tempo e, nel caso di recidiva di spasticità, dopo poche settimane/mesi si consiglia di passare ad altri approcci terapeutici.
Blocco fenolico Si avvale della proprietà del fenolo di denaturare le proteine del nervo, se iniettato in sua prossimità, con un effetto inizialmente anestetico e quindi lesivo. Si tratta di una procedura con Medicina Riabilitativa
Figura 14. Benda funzionale piede.
costi molto contenuti, con effetti non reversibili, buon risultato in termini di recupero di range articolare, ma gravata da elevata possibilità di effetti collaterali quali importanti neuropatie. Per tale motivo ne viene consigliato l’utilizzo solo in caso di grave ipertonia distrettuale non risolta con metodiche meno aggressive.
Chirurgia neuro-ortopedica funzionale L’approccio chirurgico alle problematiche neuromotorie dei pazienti con GCA dovrebbe essere circoscritto ai casi in cui si siano instaurate limitazioni articolari strutturate che comportino, di per sé, impotenza funzionale o siano causa di dolore e di difficile nursing nei soggetti più gravi. In altre parole, l’ipotesi chirurgica (se operare e quale tipo di intervento scegliere) dovrebbe essere adottata solo dopo aver compiuto un bilancio tra il costo richiesto al paziente, in termini di rischio operatorio, e i possibili vantaggi che ne otterrebbe in caso di successo. Per esempio la correzione chirurgica di un piede equino/supinato deve essere presa in considerazione se si ritiene che, una volta eseguita l’operazione, il paziente sarà in grado di recuperare la capacità di stare in stazione eretta; al contrario, lo stesso intervento andrebbe proscritto in un soggetto con prognosi globale negativa per il recupero della stazione eretta. Rispetto alla scelta del livello di complessità dell’intervento, ancora una volta sarà necessario svolgere un’analisi preliminare dei risultati attesi, per cui, per esempio, la scelta di attuare un intervento di trasposizione tendinea dovrà essere presa anche in rapporto alla valutazione della capacità del paziente di partecipare con successo a un successivo programma riabilitativo più complesso;
Baclofen intratecale La somministrazione intratecale di baclofen, inizialmente utilizzata per la spasticità secondaria a mielolesione, viene attualmente impiegata anche nei casi di grave spasticità correlata alla sindrome del primo motoneurone nelle GCA, con effetto terapeutico prevalente negli arti inferiori. La procedura usualmente prevede un test preliminare di infusione di un bolo (di dose variabile da 25 a 100 microgrammi) intratecale di baclofen per testare la responsività e la tolleranza del paziente al farmaco. In una seduta successiva viene applicata sottocute in addome una pompa di microinfusione che consente di somministrare piccole dosi di farmaco direttamente nello spazio subaracnoideo. Questa procedura consente di ottimizzare gli effetti terapeutici del farmaco, anche a dosaggi molto bassi, riducendo così i possibile effetti collaterali che si presentano in corso di terapia orale. I dati di letteratura sono positivi rispetto all’efficacia dimostrata nel ridurre la spasticità, gli spasmi e i
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riflessi patologici; sono meno numerosi gli studi sui possibili vantaggio funzionali, per esempio nella deambulazione [59]. Il dibattito è ancora aperto rispetto alla scelta del momento in cui applicare la pompa al baclofen. La Food and Drug Administration (FDA) ha stabilito, negli Stati Uniti, la necessità di attendere almeno un anno dall’esordio prima di ricorrere a questa metodica, per il dato di letteratura secondo cui l’uso in fase precoce di baclofen e altri GABA-agonisti influenza negativamente il recupero cognitivo e motorio. D’altro canto, è evidente che nelle GCA diviene imperativo prevenire la formazione di danno secondario alla spasticità (retrazioni muscolotendinee e blocchi muscolari), prima che venga a costituire un ostacolo irreversibile al possibile recupero neuromotorio. Un’ulteriore indicazione clinica all’uso precoce di pompa al baclofen si verifica nei casi in cui la protratta spasticità diffusa è probabile causa di disagio e dolore per il paziente, spesso accompagnati dalla comparsa di importante sintomatologia disautonomica. Sono stati descritti casi in cui l’applicazione precoce di pompa al baclofen (a 5-6 mesi dall’esordio della GCA) ha consentito l’emergere di comportamenti intenzionali, evocativi di reale recupero di contatto con l’ambiente, in soggetti precedentemente classificati come in SV o MCS, probabilmente in rapporto al venir meno di spine irritative quali la spasticità e il dolore che ne consegue.
Riabilitazione cognitivo-comportamentale La riabilitazione neuropsicologica è un complesso processo terapeutico finalizzato al miglioramento delle capacità di un soggetto con danno cerebrale nell’elaborare e utilizzare informazioni, permettendo un miglior funzionamento della persona nella vita di tutti i giorni [60]. Comprende: • metodi per ristabilire la funzione cognitiva; • tecniche di compenso delle funzioni cognitive compromesse; • metodi per il controllo dei disturbi del comportamento. Non esistono anche in questo ambito evidenze scientifiche conclusive circa l’efficacia di programmi specifici e standardizzati di rieducazione delle diverse funzioni cognitive. La scelta del corretto approccio riabilitativo è quindi legata, nella maggior parte dei casi, alla esperienza clinica e ai protocolli adottati nei diversi centri, con il supporto del parere degli «esperti». Nei quadri iniziali e di maggior compromissione (LCF 3-6) deve prevalere un approccio globale al paziente, in cui tutti gli operatori (e il care-giver) si comportino in modo coerente e concordato, così da favorire, qualunque sia la attività svolta, un incremento della capacità di focalizzazione dell’attenzione, una maggior consapevolezza del proprio corpo (somatognosia) e delle menomazioni che lo affliggono (nosognosia, cercando di favorire un corretto riorientamento spaziotemporale attraverso un puntuale richiamo alla realtà circostante e con l’aiuto di ritmi circadiani molto scanditi in tutte le attività della giornata. Solo nelle fasi evolutive successive (LCF 7-8) e dopo che è stata superata l’amnesia post-traumatica, diviene possibile un approccio specifico orientato al miglioramento di competenze generali, quali l’efficienza attentiva o singole competenze strumentali, previa valutazione neuropsicologica formale, training mirato e ben documentabile, con successiva rivalutazione neuropsicologica in grado di indagare anche la capacità del paziente di generalizzare le abilità apprese e di saperle tradurre in competenze funzionali applicabili alle attività reali della vita quotidiana. Rispetto al deficit di attenzione sono emersi dati a favore di training mirato solo quando il paziente si trova in fase postacuta [61]. Poiché questo accade usualmente durante il periodo della riabilitazione intensiva e in considerazione del fatto che il grado di efficienza attentiva condiziona la globale capacità di riapprendimento dei pazienti, risulta evidente l’importanza di adottare strumenti terapeutici atti a migliorare questa competenza in un periodo così critico dell’intero progetto riabilitativo. Rispetto al deficit della memoria nei pazienti lievi è ipotizzabile anche un reale recupero intrinseco della capacità di memoria prospettica [62] mediante utilizzo di un training mirato per migliorare le capacità di apprendimento. In pazienti con deficit medio-lieve si sono rivelate utili tecniche compensatorie quali il ricorso ad agende, cartacee o virtuali [63]. In caso di deficit
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grave della memoria resta solo la possibilità di guidare l’apprendimento del paziente mediante modificazione ambientale e condizionamento operante che portano ad apprendimento implicito, per esempio di abilità motorie e funzionali: il paziente apprende, grazie alla ripetizione e al suo rinforzo positivo, senza essere in grado di ricordare la circostanza in cui ha ri-appreso una determinata competenza. Circa i disturbi del linguaggio, esiste ampia letteratura a favore di trattamenti specifici per il deficit afasico tipico dello stroke, ma non sono ancora disponibili sufficienti elementi di evidenza in merito all’utilità di programmi terapeutici per i disturbi pragmaticoconversazionali, di frequente riscontro i soggetti con TCE e GCA. Strategie cognitive, anche associate a terapia occupazionale, sono utili nel caso di aprassia nella riproduzione di gesti: il trasferimento dei risultati dalla menomazione anche sullo svolgimento delle attività funzionali quotidiane è uno degli obiettivi primari della riabilitazione di tali funzioni neuropsicologiche. I disordini delle funzioni esecutive includono un gruppo eterogeneo di deficit che riguardano, tra l’altro, la capacità di ragionamento astratto, il problem-solving, la capacità di comportamenti flessibili e adattativi, di prendere decisioni nella consapevolezza delle conseguenze ultime che ne deriveranno, la capacità di controllo attentivo e intenzionale sui livelli più automatici di risposta agli stimoli ambientali. Soggetti con GCA presentano frequentemente una compromissione di queste funzioni, con il risultato di perdere la capacità di giudizio critico, di presentare comportamenti stereotipati, ripetitivi e primitivi, piuttosto che marcata dipendenza da comportamenti emotivi e impulsivi, con una sostanziale modificazione peggiorativa dei tratti originari di personalità [64]. Superata la fase della anosognosia, è stata dimostrata l’efficacia della riabilitazione cognitiva del problem-solving con riduzione della disabilità residua [65] ; sono state utilizzate anche in questo ambito tecniche di condizionamento del comportamento [66]. Rispetto ai disturbi comportamentali la psicoterapia cognitivocomportamentale è considerata l’approccio elettivo [60], purchè messa in atto da psicoterapeuta esperto, a cui è affidata anche la responsabilità di coordinare e supervisionare l’approccio al paziente di tutti i membri del team e dei familiari. L’approccio farmacologico dovrebbe essere invece riservato ai casi iniziali e nelle condizioni di maggior gravità che risultino inaccessibili alla psicoterapia. In conclusione si deve ricordare che la riabilitazione cognitivo-comportamentale può necessitare di una prima fase in cui è consentito solo un approccio globale da parte di tutti gli operatori del team al paziente che presenta ancora una severa compromissione, con ridotta consapevolezza e capacità di collaborare; vi è poi un secondo periodo, in cui è possibile lavorare con programmi terapeutici mirati sulle singole funzioni danneggiate e con ricorso a tecniche di riabilitazione cognitiva piuttosto che con tecniche di condizionamento e addestramento all’uso di ausili compensatori. Esiste infine una terza fase, quella tardiva e del reinserimento sociolavorativo, in cui sarà necessario trasferire le competenze recuperate in attività concrete e funzionali alla vita reale di tutti i giorni. In questa fase, in cui dominano progetti di riabilitazione sociale, si dovrebbe riuscire ad attivare un circolo virtuoso, tale per cui le competenze recuperate in precedenza consentono un miglior reinserimento nelle esperienze che seguono.
■ Farmaci nel progetto riabilitativo Farmaci anticonvulsivanti Ormai in letteratura è confermata la scarsa efficacia della terapia antiepilettica profilattica se non nella prima settimana, in quanto tale terapia non influisce sullo sviluppo di una epilessia tardiva [67]. Non va dimenticato, inoltre, che i farmaci anticomiziali, soprattutto quelli di vecchia generazione, penalizzano notevolmente i livelli di vigilanza e le attività cognitive e quindi dovrebbero essere utilizzati solo in caso di effettiva necessità [68]. Nella Tabella 8 vengono riportati i principali farmaci antiepilettici e il loro meccanismo d’azione. Purtroppo, oltre il 20% dei pazienti epilettici è resistente a qualsiasi terapia Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Tabella 8. Meccanismo d’azione degli antiepilettici. Carbamazepina
Blocco dei canali del Na+voltaggio-dipendenti, inibisce la trasmissione glutamatergica
Oxcarbamazepina
Blocco dei canali del Na+voltaggio-dipendenti, aumenta la conduttanza del potassio, riduce la trasmissione glutamatergica, modula i canali del Ca++; stabilizzazione delle membrane neuronali
Sodio valproato
Aumenta la sintesi e il rilascio del GABA, blocca il catabolismo e parzialmente i canali del Ca++, prolunga l’inattivazione dei canali del Na+, riduce il rilascio del glutammato; stabilizzazione della membrana
Lamotrigina
Inibisce i canali del Na+voltaggio-dipendenti, stabilizza la membrana presinaptica, previene il rilascio di glutammato
Topiramato
Inibisce i canali del Na+, blocca i canali del Ca++, potenzia la trasmissione GABAergica, blocca i recettori AMPA
Gabapentina
GABA-mimetico, incrementa i livelli di GABA, blocca probabilmente i canali del Na+, inibisce la sintesi del glutammato
farmacologiche e molti di questi farmaci hanno effetti collaterali di intensità variabile. Anche nei pazienti con GCA si può presentare tale problema, che costringe a politerapie.
Farmaci anticonvulsivanti e disturbi comportamentali Alcuni farmaci anticonvulsivanti sono impiegati per la terapia del disturbo bipolare e di altre patologie psichiatriche e quindi trovano indicazione nel trattamento dei disturbi comportamentali che spesso si sviluppano dopo GCA, anche se i meccanismi d’azione di questi farmaci e di quelli tradizionalmente impiegati, come il litio e gli antipsicotici, non sono ancora del tutto chiari.
Dolore e farmaci antipilettici Numerosi trial clinici hanno dimostrato l’efficacia di alcuni farmaci antiepilettici quali la carbamazepina, la lamotrigina, il felbamato e il gabapentin, nel trattamento del dolore neuropatico e in condizioni parossistiche di dolore nevralgico (nevralgia trigeminale, cefalea) [69] . La fenitoina e la carbamazepina sembrano esplicare la loro azione antinocicettiva attraverso l’effetto del blocco sui canali del sodio. Il valproato e il topiramato sono stati approvati dall’FDA per il trattamento preventivo dell’emicrania. Non è da dimenticare che tra le cefalee secondarie la cefalea postraumatica evolve in forma cronica ove nel 60% dei casi persiste per un periodo superiore a due mesi, nel 33% permane per più di un anno e nel 15-20% per oltre tre anni [70].
Farmaci per il recupero della vigilanza e per i disturbi comportamentali in difetto I disturbi dello stato di coscienza, della fluttuazione della vigilanza e della ridotta responsività sono tra quelli maggiormente rappresentati nelle GCA. È bene ricordare che tra i vari sistemi neurotrasmettitoriali del SNC, quello dopaminergico, serotoninergico, noradrenergico e colinergico hanno i loro nuclei a livello del tronco dell’encefalo da cui si dipartono innumerevoli vie nervose che proiettano a diverse aree della corteccia cerebrale. Negli anni Settanta si ipotizzò un profondo coinvolgimento di questi neurotrasmettitori che vennero ritrovati in proporzioni alterate nel liquor cerebrospinale dopo grave TCE [71] . Venne dimostrato esservi una correlazione positiva tra la GCS e i livelli plasmatici di noradrenalina, che i livelli di acido omovanillico, catabolita delle amine cerebrali, erano significativamente ridotti in acuto dopo danno cerebrale e che la profondità del coma si correlava con la riduzione dei Medicina Riabilitativa
suoi livelli nel liquor. Contemporaneamente, la psicofarmacoterapia aveva rivoluzionato il trattamento di vari disturbi cognitivo-comportamentali con l’introduzione di nuovi farmaci antidepressivi (SSRI) e antipsicotici atipici. Si iniziarono così a utilizzare vari farmaci ritenuti potenzialmente in grado di interferire sullo stato di vigilanza del paziente. Modelli animali di GCA hanno evidenziato che sostanze promuoventi l’attività del sistema dopaminergico, noradrenergico, serotoninergico e colinergico possono influenzare positivamente l’attenzione ed è stato ipotizzato che potessero quindi essere utilizzati come facilitanti l’emergenza dal coma [72] . Sebbene ad oggi non esistano dati di evidenza circa la disponibilità di farmaci efficaci nel promuovere il recupero della coscienza e nel migliorare significativamente l’efficienza cognitiva, quella che segue è una breve disamina dei principi farmacologici potenzialmente utili in base alle considerazioni sopra esposte. Molti autori sostengono che la dopamina svolga un ruolo centrale sulla vigilanza, l’attenzione, la concentrazione, la velocità di esecuzione motoria, l’abilità visuospaziali e linguistiche, la motivazione, le funzioni esecutive e sul tono dell’umore. I principali farmaci in grado di influenzare primariamente i sistemi dopaminergici sono l’amantadina, gli agonisti dopaminergici e L-dopa. L’amantadina è quello che ha riscosso più successo: essa agisce presinapticamente sia facilitando il rilascio della dopamina dai terminali sinaptici, sia bloccandone il reuptake incrementandone così i valori a livello sinaptico. Essa agirebbe inoltre a livello post-sinaptico incrementando il numero di recettori dopaminergici postsinaptici modificandone la conformazione. Farmaci bloccanti la trasmissione noradrenergica, per esempio un comune ipotensivo come la clonidina, esercitano una azione sfavorevole sul recupero dopo GCA [73] causando addirittura un peggioramento funzionale anche in presenza di recupero motorio. Grande interesse stanno suscitando recentemente i farmaci agonisti colinergici, di primo impiego nel morbo di Alzheimer ove vengono coinvolti in fase precoce la memoria, apprendimento e altre funzioni limbiche quali regolazione del tono dell’umore e dell’aggressività, in quanto tali funzioni sono spesso colpite anche nelle GCA. Alcuni autori hanno dimostrato come il donezepil faciliti il livello attentivo e quello della memoria a breve termine se utilizzato in fase precoce dopo grave trauma cranico e attenui anche i disturbi di ordine comportamentale facilitando la riabilitazione in fase acuta [74]. Per quanto riguarda il sistema serotoninergico, a livello cerebrale sono stati identificati almeno sette sottotipi di recettori che medierebbero diverse funzioni, tra le quali il ritmo sonnoveglia, lo stato di vigilanza, l’attività sessuale, l’appetito, la termoregolazione, il tono dell’umore, dei livelli di ansia, il dolore, l’apprendimento, la memoria e la neurogenesi [75]. Tra i farmaci antidepressivi, i più utilizzati erano i triciclici (triciclic antidepressant, TCA), quali cloripramina, imipramina e amitriptilina, che intorno agli anni Novanta sono stati quasi integralmente sostituiti dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (selective serotonine re-uptake inhibitors, SSRI) fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram, escitalopram con riduzione degli effetti collaterali e quindi molto più maneggevoli dal punto di vista clinico. Allo stato attuale, gli SSRI nelle GCA sono utilizzati sia per il trattamento della depressione post-traumatica sia per l’incontinenza emozionale che si verifica dopo trauma cranico e post-stroke. La reboxetina (inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina) e la venlafaxina (inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina) hanno un profilo farmacologico simile a quello dei TCA con minori effetti collaterali anticolinergici e antistaminergici. Di recente impiego, come inibitore bilanciato della serotonina e della noradrenalina è stata introdotta la duloxetina. Poiché tali farmaci possiedono notevoli capacità stimolanti, potrebbero trovare una buona indicazione nelle GCA per migliorare il livello di vigilanza. Tra gli psicostimolanti sono stati descritti effetti benefici degli anfetaminosimili sull’attenzione e sulla concentrazione. Però, una recente revisione della Cochrane Collaboration sull’utilizzo di questi farmaci nelle GCA da causa traumatica, ha concluso che mancano significative evidenze per giustificare l’utilizzo routinario del metilfenidato o della destroanfetamina [76] .
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Recenti studi hanno dimostrato l’efficacia del modafinil, farmaco nato per contrastare la narcolessia [77], riguardo ai tempi di reazione, alla capacità di ragionamento logico e alla memoria a breve termine in soggetti sani paragonabili alla destroanfetamina con minori rischi di assuefazione e dipendenza.
Farmaci per i disturbi del comportamento in eccesso Questo gruppo di sintomi si esprime sotto forma di perdita di autocontrollo, agitazione, irrequietezza psicomotoria, roaming, irritabilità, impulsività, confabulazione, bulimia, disinibizione, insonnia ecc., ed è spesso correlata a eccesso di attività dopaminergica e noradrenergica. I principali gruppi di farmaci utilizzati sono gli antipsicotici, alcuni antiepilettici e i betabloccanti. Tra gli antipsicotici è preferibile utilizzare quelli di nuova generazione detti «atipici» (olanzapina, risperidone, quietiapina) gravati da minori effetti collaterali rispetto ai neurolettici «tipici» (aloperidolo, clozapina) soprattutto per quanto concerne gli effetti ematologici, extrapiramidali, le discinesie tardive, la sindrome maligna da neurolettici [78]. Una recente meta-analisi riguardante il tema dell’agitazione precoce e del comportamento aggressivo porta l’esclusivo utilizzo dei betabloccanti [79]; tale ipotesi non è completamente condivisibile dal punto di vista della pratica clinica dove si utilizzano spesso i farmaci antipsicotici. L’uso di benzodiazepine, di neurolettici tipici e di antistaminici è indicato solo in situazioni di emergenza, ma non è di primo impiego in quanto induce una potente e pronta sedazione che penalizza notevolmente la riabilitazione cognitiva di questi pazienti. Frequenti tra i disturbi del comportamento, soprattutto dopo TCE, sono quelli del comportamento alimentare e i disturbi sessuali. Nei casi di anoressia e bulimia si è dimostrato efficace il trattamento con antidepressivi opportunamente selezionati con supporto psicoterapico e terapia comportamentale. Per quanto riguarda la sfera sessuale è ormai noto che dopo TCE si hanno modificazioni della sessualità spesso non sufficientemente considerate dai riabilitatori [80].Una buona percentuale di pazienti, in assenza di gravi menomazioni cognitive e motorie, riferisce di non provare più interesse per il partner, per l’atto sessuale, di non provare più né desiderio né piacere. È utile stabilire se tali sintomi sono su base depressiva e/o ansiosa, piuttosto che legati all’ansia da prestazione, al fine di proporre un corretto approccio farmacologico o psicotrerapico [81, 82]. Recentemente hanno trovato utilizzo per l’impotenza funzionale nell’uomo farmaci come il sildenafil (Viagra, Cialis).
■ Ruolo della famiglia nel progetto riabilitativo Già nel 1975 Jennet [32] iniziò a documentare come la gestione di un paziente post-traumatico fosse estremamente stressante e impegnativa per i familiari. La famiglia, infatti, viene colpita e molto spesso stravolta, oltre che negli aspetti affettivi ed emozionali, anche in quelli di natura economica e sociale; frequentemente si assiste, al suo interno, a un capovolgimento e a una franca messa in discussione dei ruoli dei vari componenti. Allo stesso tempo, essa costituisce sicuramente una delle risorse essenziali e indispensabili per condurre a termine un progetto riabilitativo integrato. La famiglia, quindi, gioca un ruolo fondamentale nel processo di recupero del paziente sia per quanto concerne le problematiche di grave disabilità fisica sia quelle di natura cognitivo-comportamentale [83, 84]. La valutazione del profilo dei bisogni per i pazienti di diversa gravità deve tener conto sostanzialmente di tre livelli di intervento che devono integrarsi tra loro: quello della persona, quello della famiglia e quello dell’ambiente. Nella maggior parte dei casi, dopo la fase di ospedalizzazione permangono sequele che implicano interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni e disabilità persistenti e difficoltà di reinserimento familiare, sociale, scolastico e lavorativo. Sono proprio questi aspetti che provocano, il più
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delle volte, importanti cambiamenti nello stile e nella qualità di vita del soggetto e dei suoi cari. Si rendono necessari una serie di interventi volti ad accompagnare la persona e la sua famiglia in un percorso di reinserimento adeguato e compatibile con le menomazioni e le disabilità residue. Tali progetti riabilitativi, avendo un carattere pluridimensionale, sociale, lavorativo, orientato al miglioramento della qualità di vita, non sono esclusivamente di natura sanitaria, ma prevedono il coinvolgimento di numerose figure professionali che devono tra loro integrarsi e collaborare con la persona disabile e la sua famiglia [7] . L’equipe riabilitativa multidisciplinare deve quindi predisporre, il più presto possibile, interventi informativi, educativi, formativi diretti alla famiglia per poter meglio affrontare la nuova realtà che si è andata delineando, garantire un supporto psicologico che si prolunghi oltre la fase acuta, favorire la ripresa delle relazioni sociali di tutto il nucleo familiare e, quando è possibile, garantire il successivo reinserimento a domicilio e soprattutto il reinserimento sociolavorativo del paziente. Il modello di «rete integrata» dei servizi deve offrire ai familiari, oltre che un supporto nei compiti assistenziali, anche un costante sostegno psicologico, che consenta di prevenire lo stress psicofisico e soprattutto il burn-out al quale vanno irrimediabilmente incontro i care-giver, cercando di ridurre al minimo l’isolamento sociale del nucleo familiare [29, 85]. Le famiglie, che sempre più svolgono un importante ruolo di sostegno al loro congiunto, devono infatti essere aiutate e guidate psicologicamente per evitare di proiettare le loro innumerevoli fragilità sullo stato di malattia e la grave disabilità con le quali sono costretti a confrontarsi quotidianamente. Oltre all’utilità di colloqui di sostegno psicologico per i familiari, grande risalto è stato dato da vari autori [29, 83] alle esperienze di terapie di gruppo per familiari di soggetti affetti da patologie croniche e da grave cerebrolesione acquisita. Il gruppo fornisce infatti uno spazio di contenimento ove poter favorire le condivisione del dolore, permette la circolazione delle emozioni dei partecipanti, riduce il senso di impotenza, evita l’isolamento sociale e psichico, salvaguarda e incrementa l’autostima e il sostegno reciproco, permette l’individuazione di nuove energie, strategie e favorisce l’accettazione degli esiti riproponendo prepotentemente il piano di realtà [86] . Tale esperienza è stata verificata da vari gruppi anche per familiari di pazienti in stato vegetativo e nelle fasi acute di malattia [87, 88].
■ Preparazione alla dimissione e al reinserimento sociolavorativo Le richieste e necessità che vengono manifestate dai soggetti con GCA sono complesse e richiedono risposte integrate e articolate, in funzione della disabilità residua, del contesto sociofamiliare e delle caratteristiche premorbose del soggetto. Esse risentono spesso, soprattutto al momento della dimissione, di enormi difficoltà organizzative, economiche, relazionali tra i vari servizi coinvolti. Il team riabilitativo della fase intensiva, divenuto un punto di riferimento per il paziente e i familiari, attraverso una stretta alleanza terapeutica durante le prime fasi di cura, ha il compito di incominciare precocemente a preparare la famiglia alla fase successiva, quella che seguirà la dimissione dal reparto riabilitativo. Si tratta di un compito difficile, perchè quasi sempre i tempi necessari ai familiari per elaborare il lutto di quanto accaduto al loro congiunto e prepararsi a svolgere un ruolo attivo nella sua presa in carico a lungo termine sono più brevi dei tempi tecnici e amministrativi che determinano la durata media dei ricoveri. Appena si va definendo la prognosi globale di recupero, il team deve coinvolgere la famiglia nella scelta di fondo tra la possibilità di reinserimento del paziente nel contesto familiare o la sua istituzionalizzazione. Gli operatori del team devono mantenere una posizione neutra, limitandosi a fornire tutte le notizie utili circa le prevedibili necessità future del paziente e le possibilità di cura e assistenza fruibili a livello territoriale; il momento della decisione finale deve restare solo ai familiari, a cui occorre anche segnalare il rischio e i limiti di una terza soluzione non razionale, quella dei «viaggi della speranza». Di fatto, i dati italiani circa la destinazione al Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
momento della dimissione dei pazienti con GCA mostrano che il 70% dei soggetti rientrano a casa (propria o dei familiari), mentre circa il 7% viene accolto in struttura protetta. L’elevata probabilità di rientrare a domicilio, malgrado la presenza di quadri di disabilità residua importante, testimonia la buona capacità di accoglienza ancora presente nel tessuto sociofamiliare della nostra società, anche alla luce del fatto che la maggior parte del carico assistenziale ricade poi direttamente sul nucleo familiare stesso. Come era prevedibile, la probabilità di istituzionalizzazione risulta maggiore per i pazienti con disabilità residua più elevata (SV e Grave Disabilità alla GOS) oltre che nei soggetti con età più avanzata. Tra le indicazioni emerse dalla consensus conference tenutasi a Verona nel 2005 [7] si suggerisce che i soggetti in SV o MCS destinati a strutture assistenziali vi siano accolti a titolo gratuito; si raccomanda di privilegiare la scelta di organizzare una rete di strutture dedicate (RSA) diffusamente distribuite sul territorio, piuttosto che grandi centri provinciali o regionali, al fine di consentire un più facile e frequente accesso dei familiari al luogo di ricovero del soggetto in SV. Le strutture dedicate dovrebbero altresì dare disponibilità per ricoveri temporanei di sollievo di pazienti gestiti a domicilio e potrebbero essere sede di centri diurni di accoglienza dei soggetti più gravi per consentire agli altri componenti del nucleo familiare di svolgere le proprie attività lavorative e sociali durante la giornata e, nel contempo, evitare la piena istituzionalizzazione dei pazienti. A prescindere dai casi di disabilità più severa, appena menzionati, almeno tre sono le grosse aree di reinserimento della persona, da considerare alla conclusione del percorso di ospedalizzazione: l’area familiare, l’area delle relazioni sociali e quella del lavoro. L’evento patologico distrugge progetti, destabilizza e disorganizza l’intero nucleo familiare, spesso comportando un rimaneggiamento dei ruoli dei vari attori, con il paziente che frequentemente finisce per svolgere un ruolo più passivo, con perdita delle funzioni decisionali rispetto alle scelte di vita del nucleo familiare. La famiglia si trova inoltre a doversi far carico, in grande misura, della gestione del tempo libero del paziente, che non riesce a ricostruire la rete delle precedenti relazioni amicali e sociali extralavorative e si ripiega nell’ambiente domestico [89]. Molti familiari, intervistati in questa fase, denunciano gravi difficoltà di natura pratico-organizzativa, economica, psicologica; il vissuto prevalente è quello di essere soli a gestire tutti i problemi, dopo che è venuto meno l’ambiente difficile, ma protettivo del reparto di riabilitazione. L’impatto del rientro a casa può essere attutito organizzando alcuni periodi trascorsi al domicilio, per esempio nei fine settimana, concordati con il paziente e i familiari di riferimento, preceduti da un periodo di istruzione e addestramento del care-giver rispetto alla corretta gestione del familiare disabile, a opera dei vari componenti del team del reparto riabilitativo. Proprio per rispondere a molte delle criticità denunciate dai familiari e sulla scorta della favorevole esperienza dei paesi nordeuropei è emersa anche in Italia [7] l’idea di individuare la figura di un case manager che sia in grado di prendere in carico l’intero nucleo familiare in fase finale di ricovero e diventi una figura di riferimento nel momento della restituzione del paziente al suo ambiente di vita. L’assistente sociale/case manager svolge un ruolo centrale in quanto deve mirare innanzitutto a una corretta conoscenza della realtà familiare e stabilire un rapporto di fiducia e di comunicazione reciproca. Il suo compito iniziale è quello di affiancarsi al team riabilitativo e di rendere meno traumatico il momento della dimissione, aiutando la famiglia a districarsi attraverso le formalità burocratiche che consentono, per esempio, di attivare la pratica del riconoscimento dell’invalidità civile e dei benefici annessi, come la fornitura di ausili e delle eventuali ortesi, piuttosto che le procedure medicolegali necessarie in caso di richiesta di risarcimento di danno a seguito di incidenti stradali o traumi sul lavoro.
Reinserimento lavorativo supportato Il graduale recupero di una identità professionale migliora sostanzialmente la percezione di sé in quanto permette al paziente di riappropriarsi della propria identità, dignità di persona e di incrementare la propria autonomia anche sul versante economico. Fondamentale diviene la ripresa del lavoro, spesso legata al Medicina Riabilitativa
Figura 15. computer.
Ortesi avambraccio-mano per facilitare l’uso di tastiera di
Figura 16.
Infilabottoni.
Figura 17. Svitabarattolo, bottiglia.
recupero del ruolo all’interno della famiglia, ma anche come strumento per riattivare nuovamente relazioni sociali esterne al nucleo famigliare. L’occupazione rappresenta di per sé uno strumento riabilitativo molto potente. Fondamentale, e propedeutico al recupero della competenza lavorativa, diviene l’intervento di terapia occupazionale intesa come intervento multidiscipinare che favorisce l’apprendimento e il riapprendimento, in condizioni patologiche, delle attività di vita quotidiana e si prefigge come obiettivo principale il massimo recupero dell’autonomia e dell’indipendenza, finalizzato al massimo grado di integrazione familiare, sociale e lavorative del disabile. Essa infatti comprende tecniche specifiche di rieducazione motoria, con relativa quantificazione delle abilità residue, eventuali adattamenti l’ottimizzazione dei tempi di recupero, studi di compatibilità delle varie mansioni con le disabilità, l’analisi del rischio lavorativo con relative proposte di criteri ergonomici, di reinserimento e di prevenzione. La terapia occupazionale si avvale anche di ortesi funzionali (Fig. 15) piuttosto che di oggetti appositamente modificati o progettati (Figg. 16-18) o ausili ad alta tecnologia, quali per esempio le carrozzine elettroniche (Figg. 19 e 20), per favorire l’autonomia dell’individuo anche in presenza di deficit sensoriale e motorio inemendabile. Tali attività sono strettamente correlate all’ergonomia intesa come studio multiprofessionale del rapporto fra l’uomo e il mondo che lo circonda (nell’ambiente di lavoro, di casa, di attività sportive (Fig. 21) e ricreative) [90]. Molto importante diviene, pertanto, l’attività occupazionale precoce già in fase di ricovero in struttura riabilitativa, che predilige sempre più verifiche di tipo ecologico, realizzate in laboratori interni (cucina, manufatti, giardinaggio, manutenzione, segretariato ecc.), rispetto a interventi tecnici, a
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I – 26-455-D-15 ¶ Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita
Figura 18.
Adattori per comando monostato per computer.
Figura 20.
Carrozzina elettrica Ottobock B600® con vari comandi.
Figura 19. Carrozzina elettrica Ottobock B600®.
tavolino, spesso avulsi dal contesto di vita reale. Tali attività facilitano l’identificazione di compiti che possono essere successivamente valutati e riproposti ai servizi territoriali nella fase dell’inserimento lavorativo. Negli ultimi tempi alcuni autori hanno cercato di quantificare e misurare attraverso test specifici, quali il TNA (Test Naturalistico delle Azioni) [91] l’esecuzione di azioni in condizione naturalistica (azione appresa, sequenziale, orientata sull’oggetto, funzionale agli obiettivi quotidiani), in considerazione del fatto che molto spesso la GCA può alterare la funzionalità di processi necessari per la progettazione e l’esecuzione delle comuni attività di vita quotidiana, quali per esempio preparare il caffè, tostare il pane ecc., che necessitano un’organizzazione gerarchica delle varie azioni per ottenere il risultato finale. La natura e la frequenza degli errori che possono essere commessi dai pazienti è influenzata dalle richieste dettate dalla situazione proposta e dalla quantità di risorse disponibili. Essa varia in rapporto alla complessità del compito, alle richieste specifiche della situazione, alla visibilità degli oggetti a disposizione, alla presenza dei fattori disturbanti e alla predisposizione rispetto a determinati errori [92] . Valutazioni come il TNA consentono una più precisa programmazione dell’attività riabilitativa orientata al recupero della autonomia nelle ADL semplici e complesse. Fondamentale diviene, già all’interno della struttura o in collaborazione con essa e i servizi sociali, l’istituzione di corsi di
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Figura 21.
Sci.
formazione professionale al fine di identificare attività adeguate per i pazienti. In questa fase, il progetto riabilitativo prevede: • la valutazione della capacità lavorativa residua; • il coinvolgimento in attività di sviluppo con inserimento in percorsi riabilitativi specifici; • l’utilizzo di «strutture di transito», quali centri diurni, con laboratori dedicati al potenziamento di attività lavorativa; • l’individuazione di corsi di formazione professionale; • il supporto alla ricerca e all’inserimento in regime di lavoro protetto, in collaborazione con le strutture territoriali dedicate, (Servizio Inserimento Lavorativo, SIL), creando sinergie tra team sanitario, servizi sociali e aziende del territorio, anche attraverso istituzione di borse lavoro; • monitoraggio a lungo termine del collocamento realizzato. Anche la legge italiana in merito al lavoro si è andata modificando negli ultimi anni. Le innovazioni introdotte dalla Legge 68/99 sono notevoli in quanto riguardano i concetti di valutazione delle capacità residue e di collocamento mirato; essa pone Medicina Riabilitativa
Riabilitazione della persona con esiti di trauma cranioencefalico e di grave cerebrolesione acquisita ¶ I – 26-455-D-15
Presa in carico del paziente Care-giver
Infermiere dedicato
Psicologo
Fisiatra Neurologo Psichiatra Oculista ORL
Fisioterapista e psicomotricista
Ausili
Colloquio paziente e care-giver, Anamnesi psicosociale, Batteria NPS, Vienna test system, test di personalità, qualità di vita
Anamnesi specifica Farmaci in uso Valutazione clinica mirata Esami ematochimici ECG, EEG
Operatore dedicato
Istruttore di guida
Adattamenti
Valutazione neuromotoria e funzionale, mobilità aumentativa
Simulatore di guida Guida su pista
Guida su strada
Valutazione interdisciplinare complessa del team
Motorizzazione civile : commissione medica ed esame guida
Indicazioni
Follow-up (6-12-24 mesi) Figura 22.
Organizzazione del team multidisciplinare. ECG: elettrocardiogramma; EEG: elettroencefalogramma.
Figura 23. Adattamenti per il volante.
l’accento sulla necessità di valorizzare la professionalità del lavoratore disabile con l’adozione di un sistema di collocamento che consente di scegliere il posto più adatto alle caratteristiche specifiche del soggetto protetto, in modo da neutralizzarne le limitazioni, garantendo anche l’utile inserimento nell’organizzazione aziendale [93]. Appena le abilità residue e la competenza sociale del soggetto lo consentano, è da preferire un inserimento, pur protetto (tempi ridotti, presenza di supervisione, mansioni selezionate), ma in ambiente lavorativo reale, rispetto all’inserimento in cooperative «speciali» dove vari disabili svolgono attività occupazionale/produttiva sotto la guida di educatori. La seconda soluzione ha comunque il merito di offrire un’alternativa migliore a una vita tutta vissuta nell’ambito familiare, ma rischia di limitare troppo la possibilità di recuperare estese relazioni sociali.
Ritorno alla guida nel grave cerebroleso L’autonomia derivante dalla possibilità di guidare costituisce sicuramente un importante obiettivo per un completo reinseriMedicina Riabilitativa
mento sociale e lavorativo, in quanto rappresenta una componente essenziale della vita quotidiana nella nostra società moderna. Da uno studio di follow-up di giovani TCE [89] emerge il dato poco rassicurante che circa il 50% dei soggetti che avevano ripreso a guidare avevano avuto uno o più incidenti stradali a distanza di cinque-dieci anni dal trauma. Per guidare, così come per tutte le attività che contengono elementi di novità e di imprevedibilità, sono richieste numerose abilità cognitive-comportamentali, come anche segnalato dalle recenti linee guida britanniche [94]. Secondo alcuni autori [95, 96] il candidato idoneo alla guida dovrebbe soddisfare i seguenti criteri: avere una bassa probabilità di improvviso discontrollo comportamentale; avere sufficienti abilità cognitive, percettive, motorie per apprendere e applicare le tecniche di guida; avere sufficiente capacità di giudizio e responsabilità sociale. Tra i vari modelli in corso di validazione [97, 98], nella Figura 22 viene riassunto un complesso protocollo multidisciplinare, finalizzato a valutare, a studiare eventuali adattamenti dell’auto (Fig. 23) ed eventualmente a riabilitare, le competenze residue necessarie per un ritorno alla guida in sicurezza dopo grave GCA [99].
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Disponibile su www.em-consulte.com/it Algoritmi decisionali
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