Tecniche chirurgiche di elevazione del seno mascellare

Tecniche chirurgiche di elevazione del seno mascellare

Intervista A Stephen Wallace Tecniche chirurgiche di elevazione del seno mascellare Il Prof. Stephen Wallace si è laureato nel 1971 alla Boston Unive...

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Intervista A Stephen Wallace

Tecniche chirurgiche di elevazione del seno mascellare Il Prof. Stephen Wallace si è laureato nel 1971 alla Boston University School of Graduate Dentistry con specializzazione in Parodontologia. Professore Associato alla New York University, Dipartimento di Implantologia, è anche membro del Congresso Internazionale di Implantologia Orale e dell’Accademia di Osteointegrazione. Alla New York University, oltre all’insegnamento, si dedica all’attività clinica e alla ricerca istologica. Ha contribuito a sviluppare il più grande database del mondo sulla chirurgia dell’aumento del seno mascellare e ha condotto ricerche e studi sui principali impianti e materiali per la rigenerazione ossea. Il Prof. Wallace tiene conferenze a livello internazionale di implantologia e parodontologia ed è autore di una revisione basata sull’evidenza della procedura di aumento del seno pubblicata negli Annali di Parodontologia. È co-editor di un libro di testo sulla chirurgia rialzo del seno recentemente pubblicato in Italia e tradotto in inglese, tedesco e cinese. Oltre all’attività universitaria svolge attività clinica in parodontologia, rigenerazione ossea e implantologia a Waterbury, CT.

C’è un “consensus” accettato da tutti i clinici sulle indicazioni all’elevazione del seno mascellare con approccio laterale o crestale e l’utilizzo di impianti corti? Non esiste consenso se non sul fatto che tutte le tre metodiche, se utilizzate con una buona tecnica chirurgica e un’adeguata selezione del caso, portano a tassi di sopravvivenza implantare superiori al 90%. Il punto è: che cosa significa “adeguata selezione del caso”? La letteratura sulle tre tecniche chirurgiche (con approccio laterale, crestale, utilizzo di impianti corti) quali dati ci fornisce? Revisioni basate sull’evidenza e studi clinici controllati a lungo termine indicano che tutte queste metodiche portano al successo clinico, ma che il tasso di successo varia in base alle nostre decisioni cliniche. Nel caso dell’approccio laterale, impianti a superficie ruvida, l’impiego di innesti con sostituti ossei e l’uso di membrane a copertura dell’antrostomia laterale danno i migliori risultati. Recenti revisioni indicano che l’osso autologo porta a risultati negativi solo se associato a impianti a superficie liscia. Per quanto concerne l’approccio crestale, i risultati sembrano più favorevoli quanto maggiore è l’altezza della cresta residua e quanto minore è il grado di elevazione. Il successo degli impianti corti sembra invece correlato alla micro-struttura della superficie implantare

(contatto osso-impianto) e alle macro-caratteristiche del design implantare (stabilità primaria). A parte i dati forniti dalla letteratura, quale tecnica chirurgica prediligi? Dal punto di vista strettamente clinico, apprezzo la tecnica con approccio laterale per la sua elevata predicibilità e buona visibilità chirurgica. L’utilizzo degli impianti corti richiede una buona padronanza della tecnica chirurgica per ottenere un posizionamento degli impianti con stabilità primaria ottimale. Naturalmente, sia la tecnica con approccio crestale sia l’uso di impianti corti comportano una morbilità inferiore e dovrebbero pertanto essere impiegati quando ve ne sia l’indicazione. Personalmente, prediligo l’approccio laterale. L’approccio crestale è predicibile come l’approccio laterale? L’approccio crestale consiste, di fatto, in una procedura alla cieca in cui radiografie bidimensionali e altri strumenti si sostituiscono alla visione diretta. Se ben eseguito, questo tipo di approccio mostra, nelle revisioni basate sull’evidenza, ottimi tassi di successo. L’approccio laterale è più invasivo dell’approccio crestale? Il vantaggio principale dell’approccio crestale è la ridotta morbilità. Buona parte della morbilità legata

1827-2452/$ - see front matter © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. doi:10.1016/j.ios.2010.05.001

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all’approccio laterale è riconducibile alla necessità di avere un lembo di accesso esteso. Di fatto, la maggior parte dei problemi postoperatori riferiti dai pazienti dopo una chirurgia sinusale con antrostomia laterale è rappresentata da edema ed ecchimosi. Perché ancora oggi non tutti i clinici accettano l’approccio impianti corti? Ritengo che una buona parte delle nostre remore sull’approccio con impianti corti derivi dai fallimenti a livello maxillare registrati in passato con impianti corti a superficie liscia. Questi impianti mostravano livelli di contatto osso-impianto relativamente bassi e si pensava che fosse necessario impiegare impianti più lunghi per sopportare il carico occlusale nei settori posteriori del mascellare superiore. Gli impianti a superficie ruvida oggi disponibili mostrano valori di contatto osso-impianto più che doppi e l’impiego di impianti corti nei settori posteriori del mascellare è meno problematico. Ciò è immediatamente deducibile dai risultati di studi clinici controllati. Quale ruolo rivestono i fattori di crescita e le proteine morfogeniche nell’elevazione del seno mascellare? Oggigiorno si ottengono percentuali di sopravvivenza implantare del 98% seguendo le indicazioni della clinica basata sull’evidenza (superfici ruvide, posizionamento di membrane sull’antrostomia, innesti a base di biosostituti). L’impiego di fattori di crescita verosimilmente non innalzerà queste percentuali di successo. Certamente hanno il potenziale di creare una quantità maggiore di osso vitale in un lasso di tempo più breve. In effetti, per i nostri pazienti il lungo periodo di tempo che intercorre tra l’elevazione del seno mascellare, il posizionamento dilazionato degli impianti, l’osteointegrazione e il restauro protesico è motivo di difficoltà nell’accettazione del piano di trattamento. Le proteine morfogenetiche ricombinanti sono oggi approvate per l’impiego a livello sinusale. Il nostro gruppo di ricerca della NYU, insieme all’amico e collega Tiziano Testori, Responsabile del Gruppo Implantare del Galeazzi, sta attualmente portando avanti uno studio randomizzato controllato per valutare se i risultati possano essere migliorati mediante l’aggiunta di un riempitivo mineralizzato osteoconduttivo. Il PDGF-bb ricombinante al momento non è ancora approvato per 228

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l’uso a livello sinusale, tuttavia uno studio clinico randomizzato controllato è in fase di completamento presso la NYU. L’osso bovino deproteneizzato può essere definito il gold standard dei biomateriali? Beh, non si può parlare di “gold standard” per gli innesti xenogenici, in quanto questa definizione si applica all’osso autologo. Tuttavia, se ci riferiamo al fatto che i risultati con i biosostituti nella stragrande maggioranza dei casi mostrano risultati migliori rispetto a quelli ottenuti con osso autologo possiamo senz’altro parlare di “platinum standard”. Recenti revisioni hanno dimostrato che, nelle condizioni più favorevoli, l’osso autologo può al massimo dare risultati pari a quelli dei materiali xenogenici. Se ciò è vero, la morbilità associata al prelievo di osso autologo dovrebbe essere preclusa per questi scopi. L’osso basale residuo è importante per la predicibilità della procedura chirurgica? La letteratura riferita agli effetti dell’altezza dell’osso crestale residuo sulla sopravvivenza implantare dopo una procedura di elevazione del seno con approccio laterale non è chiara perché in altri studi non viene riportato questo dato. Esistono alcuni studi che mostrano una differenza molto modesta nella sopravvivenza tra impianti divisi in gruppi in base all’altezza dell’osso crestale residuo. Qual è il tuo comportamento clinico con diverse altezze di osso basale residuo? Nella mia pratica professionale, la quota di osso crestale residuo non influenza il piano di trattamento chirurgico. Non ho problemi ad affrontare casi con 1 mm di osso crestale con innesti xenogenici al 100%. Viceversa, modifico il mio approccio in merito a quando posizionare gli impianti nei casi di osso crestale estremamente ridotto con innesti al 100% di sostituti ossei. Il tempo di attesa è più lungo, tipicamente circa 10 mesi dall’elevazione. Se il paziente desidera ridurre i tempi di guarigione, allora propongo in alternativa l’impiego di osso autologo. Quali sono le complicanze intraoperatorie più frequenti? La complicanza più frequente è stata la perforazione di membrane; tale evento si verificava nel 25% circa

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dei casi prima dell’avvento della chirurgia piezoelettrica. Dopo aver seguito un periodo di formazione con Tommaso Vercellotti a Genova, ho importato la tecnica nella nostra divisione implantare alla NYU e il nostro tasso di perforazioni è calato attestandosi attorno al 7%. Quali sono le complicanze postoperatorie più frequenti? La principale complicanza postoperatoria è l’infezione dell’innesto e si attesta intorno al 3% dei casi trattati. Consideriamo invece come normali sequele della procedura modeste epistassi, edema ed ecchimosi. Ritieni che l’elevazione del seno mascellare sia una procedura molto influenzata da una corretta tecnica chirurgica? Questo tipo di chirurgia è molto legato alla tecnica. Richiede competenze di chirurgia orale di base, la capacità di programmare la chirurgia nelle tre dimensioni dello spazio e la capacità di eseguire procedure chirurgiche delicate in uno spazio ridotto e con ridotta visibilità. Ritieni che l’abilità chirurgica dell’operatore sia importante per il successo della procedura? L’abilità chirurgica è di importanza vitale per portare a termine positivamente la procedura. Il chirurgo deve essere in grado di identificare e affrontare le possibili varianti anatomiche. Deve inoltre essere in grado di affrontare efficacemente e tempestivamente le complicanze intraoperatorie (quali le perforazioni estese) e postoperatorie (le infezioni).

o sei solo un ricercatore che vive nella sua torre d’avorio?” I miei pazienti sono molto importanti e non li tratterei mai con terapie che non applicherei a me stesso. Pertanto, ritengo che l’applicazione dell’odontoiatria evidence-based dovrebbe sempre prevalere su qualsiasi idea preconcetta che possiamo esserci fatti in base alla nostra formazione. Certo, molte tecniche funzionano e abbiamo a disposizione diverse opzioni per ottenere il successo clinico. Credo che la combinazione tra odontoiatria basata sull’evidenza e procedure minimamente invasive mi possano portare a un’unica conclusione. Se dovessi improvvisamente perdere i miei denti posteriori nell’arcata superiore e la maggior parte dell’osso crestale, chiederei all’amico e collega Tiziano di procedere all’elevazione del seno mascellare con un innesto composto al 100% da un biosostituto adsorbito di fattori ricombinanti di crescita, con una membrana in collagene a livello dell’antrostomia. Dopo 9 mesi gli chiederei di posizionare gli impianti. Il tempo necessario prima di poter caricare gli impianti dipenderebbe dalla qualità dell’osso riscontrata all’atto del loro posizionamento e potrebbe variare da un protocollo di carico precoce a un protocollo standard. Credo che personalmente, come la maggior parte dei miei pazienti, sceglierei, avendone la possibilità, una procedura meno invasiva piuttosto che una riduzione di qualche mese del tempo complessivo di trattamento.

Tiziano Testori Ora immagina di essere un paziente edentulo nei settori latero-posteriori con osso basale residuo di 1 mm: quale procedura chirurgica sceglieresti? La domanda conclusiva dovrebbe essere: “Credi davvero a tutto quello che ci hai raccontato finora

Responsabile del Reparto di Implantologia e Riabilitazione Orale presso la Clinica Odontoiatrica (Direttore Prof. R.L. Weinstein), IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Università degli Studi di Milano e-mail: [email protected]

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