I – 17-246-A-10
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi F. Ducray, A. Idbaih I glioblastomi sono i tumori cerebrali primitivi maligni dell’adulto più frequenti e più aggressivi. Malgrado una terapia pesante basata sulla chirurgia, sulla chemioterapia citotossica e sulla radioterapia encefalica, la prognosi dei pazienti che presentano un glioblastoma resta infausta. I considerevoli progressi che sono stati realizzati nella comprensione della biologia molecolare e cellulare dei glioblastomi hanno permesso di individuare delle anomalie molecolari chiave implicate nell’oncogenesi dei glioblastomi e candidate a terapie molecolari mirate innovative. Concettualmente, questi farmaci mirati, distruggendo le cellule tumorali portatrici di anomalie molecolari e preservando le cellule normali, sono estremamente promettenti. Gli inibitori dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi sono le terapie mirate più studiate. Gli inibitori di EGFR, PDGFRA, c-KIT e c-MET sono stati testati in clinica con risultati interessanti in un numero limitato di pazienti, il che suggerisce che il loro utilizzo in clinica potrà essere proposto solo a dei sottogruppi di pazienti che rispondono, che sarà necessario individuare con precisione. Altre terapie mirate stanno per comparire, come gli inibitori del proteasoma, gli agenti rimodellanti della cromatina e dell’espressione genica e i modulatori dell’adesione cellulare. L’identificazione recente delle mutazioni del gene IDH1 lascia anche intravedere la possibilità di terapie mirate al metabolismo tumorale. Gli antiangiogenici hanno assunto un ruolo crescente nel trattamento dei glioblastomi, ma pongono anche nuove questioni a proposito delle modalità di valutazione della risposta alla terapia. Il bevacizumab, un anticorpo monoclonale mirato contro il VEGF, permette di ottenere dei tassi di risposte particolarmente importanti nei glioblastomi in recidiva. Il suo ruolo nel trattamento iniziale della malattia è in corso di valutazione. Anche altre strategie antiangiogeniche sono in corso di valutazione. Le terapie molecolari mirate, sole o in associazione con altre modalità terapeutiche, dovrebbero indubbiamente migliorare la prognosi dei pazienti che presentano un glioblastoma. © 2012 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Cancro; Glioblastoma; Terapie molecolari mirate; Angiogenesi
Introduzione
Struttura dell’articolo ■
Introduzione
1
■
Terapie molecolari mirate non antiangiogeniche Bersagli molecolari candidati nei glioblastomi Grandi classi di terapie molecolari mirate
2 2 3
■
Trattamenti antiangiogenici dei gliomi Razionale del trattamento antiangiogenico nei gliomi Trattamenti antiangiogenici
7 7 7
■
Conclusioni
EMC - Neurologia Volume 12 > n◦ 3 > agosto 2012 http://dx.doi.org/10.1016/S1634-7072(12)62645-2
10
I glioblastomi o astrocitomi di grado IV, secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sono i tumori gliali più aggressivi e più frequenti nell’adulto. Essi rappresentano circa il 50% dell’insieme dei tumori gliali, ossia circa il 25% dell’insieme dei tumori cerebrali primitivi. Sono caratterizzati dalla presenza di una proliferazione astrocitaria tumorale densa, di necrosi, di una proliferazione endotelio-capillare florida, di mitosi e di atipie citonucleari marcate [1] . Malgrado trattamenti tradizionali pesanti e non privi di effetti collaterali neurologici e sistemici (chirurgia, radioterapia e chemioterapia citotossica), la prognosi dei pazienti rimane infausta, con una mediana di sopravvivenza globale tra i 12 e i 24 mesi e un tasso di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 10% [2–4] .
1
I – 17-246-A-10 Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi
Recettore transmembrana ad attività tirosina chinasi (EGFR, PDGFRa, c-KIT, c-MET, VEGFR) Membrana cellulare
PI3K
Ras
PLC
Akt
Raf
DAG
mTOR
ERK
PKC
Figura 1. Principali vie di segnalazione intracellulare a valle dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi e bersagli terapeutici nei glioblastomi. EGFR: epithelial growth factor recepto; PDGFRa: platelet derivated growth factor receptor alpha; VEGFR: vascular endothelial growth factor receptor; DNA: acido desossiribonucleico; HDAC: istone deacetilasi; PTEN: phopsphatase and tensin homolog.
PTEN
SRC
Proteasoma Citoplasma
Membrana nucleare
HDAC DNA
Integrina
In questi ultimi anni, i lavori di ricerca in biologia, condotti da diverse equipe e, più particolarmente, dall’equipe del The Cancer Genome Atlas (TCGA), hanno permesso di individuare e di recensire in maniera piuttosto esaustiva le alterazioni molecolari presenti all’interno dei glioblastomi e di integrarle nell’oncogenesi (vale a dire, angiogenesi, proliferazione, differenziazione, apoptosi e invasione) di questi tumori [5] . Nuove terapie molecolari mirate, rivolte specificamente a queste anomalie molecolari coinvolte nella gliomagenesi, sono in corso di sviluppo, il che lascia sperare nella comparsa di nuovi trattamenti più efficaci e meno tossici. In effetti, questi trattamenti molecolari mirati, diretti contro le cellule tumorali che portano delle alterazioni o delle firme molecolari specifiche, assenti nelle cellule neurologiche ed extraneurologiche normali, permetterebbero concettualmente di distruggere le cellule tumorali e di risparmiare le cellule normali, limitando, così, gli effetti collaterali. In questo capitolo, affronteremo in un primo tempo le terapie mirate dirette contro le principali alterazioni molecolari osservate nei glioblastomi e, in un secondo tempo, le terapie antiangiogeniche.
Terapie molecolari mirate non antiangiogeniche Bersagli molecolari candidati nei glioblastomi (Fig. 1)
Via dei recettori transmembrana per i fattori di crescita Recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi e loro ligandi I recettori per i fattori di crescita sono delle proteine monomeriche transmembrana con una parte extracellulare, una parte transmembrana e una parte intracellulare che porta il domain chinasi. La fissazione del ligando alla parte extracellulare del recettore monomerico induce la sua omo- o eterodimerizzazione, quindi la sua autotransfosforilazione e la fosforilazione da parte del domain chinasi delle proteine modulatrici delle vie di segnalazione intracellulare a valle [6] .
2
L’attività di diversi recettori transmembrana per i fattori di crescita, ad attività tirosina chinasi, è deregolata nei glioblastomi. Queste anomalie molecolari si accompagnano a un guadagno di funzionalità del recettore con l’attivazione delle vie di segnalazione intracellulare a valle e la stimolazione del processo tumorale [5] . Il recettore per il fattore di crescita epiteliale (epithelial growth factor receptor, EGFR) è un recettore transmembrana codificato dal gene EGFR situato sul cromosoma 7 in posizione p11. Esso fa parte della grande famiglia dei recettori ErB composta da quattro membri (ErbB-1 o EGFR, ErbB-2 o HER2, ErbB-3 o HER3 e ErbB-4 o HER4). I suoi principali ligandi sono il fattore di crescita epiteliale (epithelial growth factor, EGF), l’epiregolina, l’epigene (EPG), il fattore di crescita trasformante alfa (transforming growth factor alpha, TGF-␣), l’EGF che si lega all’eparina, la beta-cellulina e l’amfiregolina [7] . L’EGFR è sovraespresso in circa il 60% dei glioblastomi, amplificato in circa il 40% dei casi e troncato in circa il 20% dei casi, dando, allora, origine alla sua forma EGFRvIII che è costituzionalmente attiva. Inoltre, l’EGFR è mutato nel suo domain extracellulare in circa il 10% dei casi [8, 9] . Un altro membro della famiglia Erb, ErbB-2 o HER2, è attivato anche da mutazioni geniche in circa il 10% dei casi [5] . Anche il recettore per il fattore di crescita derivato dalle piastrine alfa (platelet derived growth factor receptor alpha, PDGFRA), codificato dal gene PDGFRA situato sul cromosoma 4q12, è un recettore transmembrana ad attività tirosina chinasi deregolato in alcuni glioblastomi. Il gene PDGFRA è amplificato in circa il 10% dei glioblastomi ed è sovraespresso in maniera più o meno focale nel 25% circa dei casi. Sono state segnalate altre alterazioni genetiche del PDGFRA, più rare, come delle delezioni intrageniche nel 4% dei casi di glioblastoma [10, 11] . Il recettore c-KIT (v-kit Hardy-Zuckerman 4 feline sarcoma viral oncogene homolog) o CD117, il cui ligando è lo stem cell factor, è codificato dal gene c-KIT situato sul cromosoma 4q12 in prossimità del gene che codifica per il PDGFRA. La frequenza dell’espressione di c-KIT e il numero di tumori c-KIT amplificati sono relativamente variabili in funzione delle casistiche. c-KIT è sovraespresso nel 4-66% dei glioblastomi ed è amplificato nell’8-47% dei casi [10, 12–14] . Queste variazioni delle frequenze delle alterazioni di c-KIT sono legate alle tecniche di biologia molecolare utilizzate, ma anche alla definizione dell’alterazione (livello di espressione, numero di copie del gene) e alla grandezza delle coorti di tumori. EMC - Neurologia
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi I – 17-246-A-10
Il recettore c-MET o hepatocyte growth factor receptor (HGFR), il cui ligando è il fattore di crescita epatocitario, è codificato da un gene situato sul cromosoma 7q31. Questo gene è amplificato nel 4% circa e sovraespresso nel 30% circa dei glioblastomi [5, 15] . Vie di segnalazione a valle Quattro principali vie di segnalazione si trovano a valle dei recettori transmembrana per i fattori di crescita ad attività tirosina chinasi: • la via PKC (proteina chinasi C); • la via PI3K-Akt/PKB-mTOR (phosphoinositide 3-kinase-Akt/ protein kinase B-mammalian target of rapamycin); • la via Ras-MAPK (RAtSarcome-mitogen-activated protein kinase); • la via Src (SaRComa). Queste vie di segnalazione sono attivate o per attivazione dei recettori a monte o per un’alterazione molecolare di una delle proteine a valle della via di segnalazione nella quasi totalità dei glioblastomi (circa il 90%). La via PKC è attivata nei glioblastomi principalmente attraverso l’attivazione dei recettori transmembrana a monte. La via PI3K-Akt/PKB-mTOR è attivata tramite diversi meccanismi molecolari: • delle mutazioni o delle delezioni omozigoti di PTEN (una fosfatasi inibitrice della via di segnalazione PI3K) in un terzo dei casi; • delle mutazioni di PI3 K nel 15% degli casi; • delle amplificazioni di AKT nel 2% dei glioblastomi. La via Ras-MAPK può anch’essa essere attivata da diverse alterazioni: • delle mutazioni di Ras nel 2% dei casi; • delle mutazioni o delle delezioni omozigoti di NF1, freno della via Ras-MAPK, nel 18% dei glioblastomi [5] . L’attivazione di queste diverse vie di segnalazione favorisce l’inizio e lo sviluppo tumorale, ma anche la resistenza ai trattamenti.
Altri bersagli molecolari Sistema ubiquitina-proteasoma Il sistema ubiquitina-proteasoma è un sistema cellulare chiave che permette alla cellula di regolare il suo contenuto proteico, in funzione del suo ambiente interno ed esterno, in particolare al fine di controllare il ciclo cellulare e l’apoptosi. Il proteasoma potrebbe essere paragonato a un inceneritore cellulare. Le proteine destinate a essere distrutte dal proteasoma sono poliubiquitinilate (modificazioni post-traduzionali) grazie agli enzimi E1, E2 ed E3 (ubiquitina ligasi). Il sistema ubiquitinaproteasoma parteciperebbe al processo tumorale limitando la degradazione delle proteine pro-oncogeniche o, al contrario, favorendo la degradazione delle proteine dalle proprietà antitumorali [16] . Sistemi implicati nella motilità e nell’invasione cellulare Le integrine formano una grande famiglia di proteine implicate in numerose funzioni cellulari (adesione, motilità, migrazione, invasione e proliferazione cellulare) attraverso delle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare. Benché metastatizzino solo eccezionalmente al di fuori del sistema nervoso centrale, le cellule glioblastomatose hanno una grande capacità di migrare e di infiltrare il parenchima cerebrale sano [17] . Questa invasività partecipa alla gravità della malattia. Rimodellamento della cromatina e regolazione epigenetica dell’espressione genica Le modificazioni epigenetiche sono delle alterazioni del genoma che non corrispondono a delle alterazioni di sequenza dell’acido desossiribonucleico (DNA). Esse svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’espressione dei geni. La modificazione epigenetica più studiata nei glioblastomi è la metilazione del promotore del gene MGMT associata a una migliore risposta alla chemioterapia citotossica con temozolomide, un agente alchilante [18] . Anche le modificazioni degli istoni svolgono un ruolo nella regolazione dell’espressione genica, attraverso un rimodellamento della cromatina. Le istoni deacetilasi (HDAC), di cui esistono quattro classi, provocano un addensamento della EMC - Neurologia
cromatina reprimendo, così, l’espressione genica [19] . Se questa repressione coinvolge dei geni dalle proprietà antitumorali, essa può favorire l’oncogenesi. Isocitrato desidrogenasi Del tutto recentemente, sono state scoperte delle mutazioni puntuali dei geni IDH1 e IDH2, situati rispettivamente sui cromosomi 2q34 e 15q26. Queste mutazioni sono riscontrate nella maggioranza dei gliomi di grado II e III e in più del 75% dei glioblastomi secondari (glioblastomi che complicano l’evoluzione di gliomi diffusi di più basso grado di malignità). Esse sono, viceversa, rare (circa il 5%) nei glioblastomi primari o ex novo (glioblastomi che insorgono fin dall’inizio senza precedente evidenza di gliomi di più basso grado). La isocitrato desidrogenasi 1 e 2 svolge un ruolo chiave nel metabolismo cellulare (per esempio, metabolismo lipidico, metabolismo glucidico, gestione dello stress ossidativo), trasformando l’isocitrato in alfacetoglutarato (transaminazione ossidativa NADP(+)/NAD(P)H dipendente-nicotinamide adenina dinucleotide fosfato). Il ruolo delle mutazioni dei geni IDH1 e IDH2 nella gliomagenesi non è ancora completamente chiarito. L’IDH1 mutata converte l’alfacetoglutarato in 2-idroglutarato [20] . Questo metabolita ha delle proprietà oncogeniche [20] . Altri meccanismi potrebbero spiegare il ruolo oncogenico delle mutazioni di IDH1 e IDH2 nei gliomi [21] . Sul piano clinico, e in maniera piuttosto soprrendente, queste mutazioni conferiscono ai pazienti una prognosi migliore [20–24] . Una maggiore sensibilità ai trattamenti antitumorali dei tumori gliali che presentano una mutazione dei geni IDH1 e IDH2 potrebbe spiegare questi dati clinici [25] . Le mutazioni IDH1 e IDH2, molto frequenti nei gliomi e relativamente specifiche di questo tipo tumorale, sono già considerate dei bersagli terapeutici interessanti in neuro-oncologia.
Grandi classi di terapie molecolari mirate Inibitori dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi Inibitori dell’«epithelial growth factor receptor» (EGFR) Vari tipi di inibitori farmacologici dell’EGFR sono stati sviluppati in oncologia. Si tratta soprattutto di piccole molecole che inibiscono in maniera reversibile o irreversibile l’EGFR o di anticorpi monoclonali diretti contro l’EGFR. L’erlotinib (Tarceva® ) e il gefitinib (Iressa® ) sono delle piccole molecole inibitrici che si annidano nella sacca adenosina trifosfato (ATP) del domain chinasi dell’EGFR. Queste molecole hanno fornito risultati estremamente interessanti nei cancri broncopolmonari, in particolare con mutazione del domain chinasi dell’EGFR [26, 27] . I risultati nel trattamento dei glioblastomi si sono rivelati, invece, piuttosto deludenti tanto in monoterapia che in associazione. In effetti, sono stati condotti vari studi clinici. Il tasso di risposte non superava il 10% [28] (Tabella 1). Le mutazioni del domain chinasi dell’EGFR osservate nei cancri broncopolmonari e associate a una migliore risposta sono assenti nei glioblastomi [29] . Nei glioblastomi, alcuni autori propongono dei marker molecolari predittivi della risposta agli inibitori dell’EGFR. L’espressione di EGFRvIII e di PTEN selvaggio sarebbe associata a un migliore tasso di risposte tumorali [30] . Parallelamente a questi inibitori reversibili dell’EGFR, sono in corso di sviluppo degli inibitori irreversibili che saranno sicuramente sperimentati nel trattamento dei glioblastomi. Sono stati sviluppati anche degli anticorpi anti-EGFR. Così, il cetuximab (Erbitux® ) è un anticorpo monoclonale chimerico uomo-topo mirato contro l’EGFR, che ha già l’autorizzazione di immissione in commercio nel trattamento delle neoplasie coliche e otorinolaringoiatriche (ORL) ed è in corso di valutazione nel trattamento dei glioblastomi. Sono state segnalate alcune risposte tumorali obiettive [47] . Altri inibitori multitarget dei recettori della famiglia Erb, come il lapatinib (Tyverb® ), il canertinib, il BIBW2992 (Tovok® ) e il pazopanib (Votrient® ) sono in corso di sviluppo e di valutazione nel quadro di studi clinici dedicati ai tumori cerebrali. Il
3
n
RO (%)
MS (%)
SSP mediana (settimane)
SSP a 6 mesi (%)
SG mediana (settimane)
Rec
5,9
38
8,2
23,5
−
Rec
13,3
13,3
30,1
63
43
Rec
0
42
8,1
13
39,4
GM
Rec
0
17,9
8,4
14,3
24,6
Molecola
Fase
Riferimento bibliografico
Dose
Trattamento associato
Istologia
Gefitinib
I
Reardon, 2006 [31]
500-1 500 mg/die
Sirolimus
34
GM
I
Schwer, 2008 [32]
250 mg/die
RCSf 18 a 36 Gy
15
GM
II
Rich, 2004 [33]
500-1 000 mg/die
Nessuno
53
GBM
II
Franceschi, 2007 [34]
250 mg/die
Nessuno
28
Linea di trattamento
I
Haas-Kogan, 2005
>100 mg/die
Nessuno o TMZ
41
GM, GBG
Rec
19,5
−
−
−
−
I
Prados, 2006 [36]
100-500 mg/die
Nessuno o TMZ
57
GM, GBG
Rec o stabile
14
−
−
−
−
I
Krishan, 2006 [37]
100-200 mg/die
RT (60 Gy)
19
GBM
Ini
0
63,2
26
−
55
I/II
Brown, 2008 [38]
150 mg/die
RT (60 Gy) e TMZ
97
GBM
Ini
−
−
31
−
65,8
II
de Groot, 2008 [39]
150-200 mg/die
Carboplatino
43
GBM
Rec
2,3
47
9
14
30
II
Prados, 2009 [40]
100-300 mg/die
RT (60 Gy) e TMZ
65
GBM
Ini
−
−
35,3
−
83
II
Van den Bent, 2009 [41]
150-500 mg/die
Nessuno
54
GBM
Rec
3,7
16,7
7,7
11,4
33,1
II
Reardon, 2010 [42]
150-450 mg/die
Sirolimus
32
GBM
Rec
0
47
6,9
3,1
33,8
II
Peereboom, 2010 [43]
50-150 mg/die
RT (60 Gy) e TMZ
27
GBM
Ini
−
−
12
30
37
II
Raizer, 2010 [44]
150 mg/die
Nessuno
96
53 Rec GA/43 NP GBM
Rec o NP Ini GBM
3,7/0
3,7/7
8,6/8,6
3,0/27
30,1/25,8
EGFR anticorpi h-R3
I/II
Ramos, 2006 [45]
200 mg/settimana
RT (60 Gy)
29
GM
Ini
37,9
41,4
−
−
95,3
(125)I-m anticorpo 425
II
Li, 2010 [46]
5,4 GBq/settimana
Nessuno o TMZ
192
GBM
Ini
−
−
−
−
67,5
Erlotinib
[35]
GBM: glioblastoma; GM: glioma maligno o glioma di alto grado; GA: glioma anaplastico; GBG: glioma di basso grado; Rec: al momento della recidiva; Ini: al momento della diagnosi iniziale; SSP: sopravvivenza senza progressione; SG: sopravvivenza globale; RO: tasso di risposte radiologiche obiettive; RT: radioterapia; TMZ: temozolomide; MS: malattia stabile; RCSf: radiochirurgia stereotattica frazionata; NP: non progressivo.
I – 17-246-A-10 Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi
4 Tabella 1. Studi clinici che valutano gli inibitori dell’epithelial growth factor receptor (EGFR) (gefitinib, erlotinib, anticorpi anti-EGFR) nei gliomi.
EMC - Neurologia
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi I – 17-246-A-10
Tabella 2. Studi clinici che valutano l’imatinib nei gliomi. Riferimento bibliografico
Fase Dose
Trattamento associato
n
Istologia
Linea di trattamento
RO (%)
MS (%)
SSP mediana (settimane)
SSP a 6 mesi (%)
SG mediana (settimane)
Reardon, 2008 [51] Razis, 2010 [52]
I
4001 200 mg/die 800 mg/die
TMZ
64
GM
Rec, stabile
12
48e
26,6
52,3
47,6
Nessuno
19
GBM
Ini
0
94,7
−
−
26,7
Reardon, 2005 [53] Wen, 2006 [54]
II
HU
33
GBM
Rec
9
42
14,4
27
48,9
Nessuno
21/34
GM
Rec
0/5,9
23,8/17,6
−
10-3
−
Desjardins, 2007 [55] Reardon, 2009 [56] Dresemann, 2010 [57]
II
4001 000 mg/die 600800 mg/die 4001 000 mg/die 500600 mg/die 600 mg
HU
37
GA
Rec
10,8
35,1
10,9
24
33,3
HU
231
GBM
Rec
3,4
19,5
5,6
10,6
26
HU
120
GBM
Rec
1,7
23,3
6
5
21
I/II
II
II III
GBM: glioblastoma; GM: glioma maligno o glioma di alto grado; GA: glioma anaplastico; Rec: al momento della recidiva; Ini: al momento della diagnosi iniziale; SSP: sopravvivenza senza progressione; SG: sopravvivenza globale; RO: tasso di risposte radiologiche obiettive; TMZ: temozolomide; HU: idrossiurea; MS: malattia stabile.
lapatinib, un inibitore doppio di EGFR e di ErbB-2, ha permesso una stabilizzazione in 4/17 pazienti con glioblastoma (GBM) in recidiva [48] . Inibitori di «platelet derived growth factor receptor» (PDGFR) e di c-KIT L’imatinib è un inibitore del recettore per il PDGFR, ma anche di c-KIT. Esso ha fornito risultati spettacolari nel trattamento della leucemia mieloide cronica con il gene di fusione bcr-abl, ma anche nel trattamento dei tumori gastrointestinali maligni con delle mutazioni di c-KIT [49, 50] . Nel trattamento dei glioblastomi, si è dimostrato, viceversa, deludente, da solo o in associazione con una chemioterapia citotossica convenzionale, con un tasso di risposte tumorali che non supera il 10% [28] (Tabella 2). Inibitori di c-MET Gli inibitori di c-MET sono in corso di sviluppo nei glioblastomi, con dei risultati promettenti. In effetti, XL184 (Exelixis® ) una piccola molecola inibitrice di c-MET, ma anche di VEGFR2, è in corso di valutazione nei glioblastomi [58] .
Inibitori delle vie di segnalazione intracellulare a valle dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi Gli inibitori di mTOR che intervengono molto a valle nella via di segnalazione dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi sono estremamente promettenti in oncologia. Il temsirolimus (Torisel® ) è stato valutato nei glioblastomi in recidiva. I risultati delle fasi II non sono, per il momento, all’altezza delle speranze, con un tasso di risposte tumorali obiettive inferiore al 5% [59, 60] (Tabella 3). L’inibizione di PKC da parte dell’enzastaurina è stata sperimentata nei glioblastomi con dei risultati insufficienti. In effetti, uno studio clinico di fase III ha mostrato che l’enzastaurina non era più efficace degli agenti chemioterapici classicamente utilizzati nei glioblastomi (cioè le nitrosouree). Malgrado ciò, questa molecola avrebbe il vantaggio di essere tollerata meglio della chemioterapia citotossica classica [63, 64] . Gli inibitori di Ras, e più esattamente gli inibitori della farnesiltransferasi come il lonafarnib (Sarasar® ) o il tipifarnib (Zarnestra® ), sono in corso di valutazione nei glioblastomi [66, 68] . La farnesiltransferasi svolge un ruolo chiave nell’attivazione della via Ras [69] .
Altre terapie molecolari mirate Inibitori del proteasoma Il bortezomib (Velcade® ), un inibitore del proteasoma, ha già un’autorizzazione all’immissione in commercio per il trattamento del mieloma multiplo. Pochi studi hanno valutato l’interesse di questa molecola nei pazienti che presentano un glioblastoma. Uno studio clinico di fase I, comprendente dei gliomi maligni in recidiva, principalmente dei glioblastomi, ha mostrato una EMC - Neurologia
risposta o una stabilità tumorale radiologica nel 25% circa dei pazienti [70] . Sono in corso degli studi clinici per valutare più precisamente l’efficacia e la tollerabilità di questo trattamento (http://clinicaltrials.gov). Inibitori delle integrine Il cilengitide, un piccolo peptide sintetico, che inibisce l’integrina alfa v beta 3 e alfa v beta 5, è attualmente in corso di valutazione in studi clinici avanzati di fase II e III nel trattamento dei glioblastomi. In tali studi, il cilengitide è valutato in monoterapia o in associazione con altre modalità terapeutiche, in prima linea o in caso di recidiva. Il cilengitide ha già fornito risultati promettenti in uno studio clinico di fase I/IIa. In effetti, il cilengitide associato alla terapia convenzionale di prima linea dei glioblastomi (cioè radiochemioterapia concomitante e chemioterapia adiuvante) è ben tollerato, con risultati promettenti in termini di efficacia, in particolare nei pazienti il cui tumore presenta una metilazione del promotore del gene che codifica per la 06-metile guanina metile transferasi (MGMT) [4, 18] (Tabella 3). Inibitori delle istoni deacetilasi Numerose strategie che inibiscono le istoni deacetilasi, soprattutto le classi I e II, sono in corso di sviluppo. Lo suberoylanilide hydroxamic acid o SAHA (Vorinostat® ) è una piccola molecola che inibisce la maggioranza delle HDAC di classe I e II, che è stata valutata nel trattamento dei glioblastomi in recidiva, in uno studio clinico di fase II. Il Vorinostat® è globalmente ben tollerato. Tuttavia, la sua efficacia sembra modesta in questa indicazione. In effetti, è stata osservata una risposta tumorale radiologica oggettiva solo in 2/66 pazienti inclusi nello studio [65] .
Ottimizzazione delle terapie molecolari mirate Le terapie molecolari mirate, rivolte più specificamente contro le cellule tumorali, sono, dal punto di vista concettuale, estremamente interessanti, e le risposte tumorali radiologiche osservate vanno in questo senso. Tuttavia, il tasso di risposte tumorali radiologiche supera raramente il 10% e l’impatto sulla prognosi dei pazienti sembra moderato per il momento. Sono possibili varie spiegazioni per comprendere questi risultati ancora al di sotto delle speranze suscitate. Nella maggior parte degli studi clinici, i pazienti sono inclusi senza caratterizzazione molecolare iniziale del loro tumore e presentano spesso dei tumori avanzati divenuti resistenti ai trattamenti convenzionali. Infine, nei glioblastomi, esistono spesso l’attivazione di diverse vie di segnalazione o di vari membri della stessa via di segnalazione e la disregolazione di diversi processi e programmi cellulari [71] .
5
Molecola
Riferimento bibliografico
Fase
Dose
Trattamento associato
n
Istologia
Linea di trattamento
RO (%)
MS (%)
SSP mediana (settimane)
SSP a 6 mesi (%)
SG mediana (settimane)
Cilengitide
Reardon, 2008 [61]
II
1 000-4 000 mg/sett
Nessuno
81
GBM
Rec
9
−
7,9-8,1
15
28-42,3
Stupp, 2010 [62] Galanis, 2005 [60]
I/IIa
1 000 mg/sett
52
GBM
Ini
−
−
34,4
69
69,2
II
250 mg/sett
TMZ + RT (60 Gy) Nessuno
65
GBM
Rec
0-36
−
9,9
7,8
18,9
Chang, 2005 [59] Kreisl, 2010 [63]
II
170250 mg/sett 500900 mg/die
Nessuno
43
GBM
Rec
4,7
46,5
9
2,3
-
Nessuno
84
GM
Rec
25
−
5,6-9
7-16
19,8-29,2
Wick, 2010 [64] Galanis, 2009 [65] Lustig, 2008 [66]
III
500 mg/die
Nessuno
174
GBM
Rec
2,9
38,5
6,5
11,1
28,4
II
400 mg/die
Nessuno
66
GBM
Rec
3
−
8,2
15,2
24,5
II
600-1 200 mg/die
Nessuno
28
GBM
Ini
0
29
6
−
33,1
Cloughesy, 2006 [67]
II
600-1 200 mg/die
Nessuno
67
GBM
Rec
7,1
−
−
11,9
−
Temsirolimus
Enzastaurin
Vorinostat Tipifarnib
I/II
GBM: glioblastoma; GM: glioma maligno o glioma di alto grado; Rec: al momento della recidiva; Ini: al momento della diagnosi iniziale; SSP: sopravvivenza senza progressione; SG: sopravvivenza globale; RO: tasso di risposte radiologiche obiettive; RT: radioterapia; TMZ: temozolomide; MS: malattia stabile.
I – 17-246-A-10 Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi
6 Tabella 3. Studi clinici che valutano il cilengitide, il temsirolimus, il vorinostat e il tipifarnib nei gliomi.
EMC - Neurologia
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi I – 17-246-A-10
Trattamenti antiangiogenici dei gliomi Razionale del trattamento antiangiogenico nei gliomi I gliomi di alto grado, in particolare i glioblastomi, sono tra i tumori solidi più angiogenici [72] . L’aumento della vascolarizzazione tumorale e, più particolarmente, la comparsa di una proliferazione microvascolare sono correlati alla progressione tumorale [73] . I lavori sperimentali nell’animale hanno mostrato che l’angiogenesi dei gliomi avviene inizialmente grazie alla coopzione di vasi normali, poi, quando il tumore cresce, questa vascolarizzazione diviene insufficiente, il che induce un’ipossia, che induce essa stessa la comparsa della neoangiogenesi (fenomeno riportato sotto il termine di «switch angiogenico») [72, 74] . Tuttavia, sembra sempre più evidente che la neoangiogenesi tumorale non è un semplice adattamento fisiologico all’ipossia, ma che essa corrisponde a un programma transcrizionale attivato dalla presenza di alcune anomalie molecolari sottostanti (in particolare attivazione dell’EGFR e inibizione di PTEN) in caso di ipossia [75] . Infine, una neoangiogenesi compare quando il peso dei fattori proangiogenici (per esempio, VEGF, bFGF, PDFG, interleuchina 8 [IL8], stromal cell-derived factor-1 [SDF1]) supera quello dei fattori antiangiogenici (per esempio, trombospondina 1 e 2, endostatina, interferone), perciò le strategie antiangiogeniche mirano o a inibire i primi o a stimolare i secondi [72, 76] . Diversi lavori hanno mostrato che i neovasi dei gliomi sono anormali sia dal punto di vista strutturale che funzionale e si caratterizzano per un’iperpermeabilità [72, 77] . Questa caratteristica è all’origine dell’edema vasogenico, dell’assunzione di contrasto alla diagnostica per immagini e di una scarsa perfusione del tumore, il che ha, come conseguenza, una scarsa erogazione dell’ossigeno e un difficile accesso delle terapie somministrate per via sistemica. Da questo punto di vista, è stato particolarmente interessante osservare che le terapie antiangiogeniche potevano non solo inibire la crescita del tumore inibendo la sua vascolarizzazione, ma anche «normalizzare» i neovasi intratumorali, riducendo la loro iperpermeabilità e migliorare la distribuzione delle molecole di chemioterapici nel tumore e, infine, ridurre l’ipossia intratumorale, fonte di radio- e chemioresistenza [72, 78] . Inoltre, diversi studi hanno mostrato l’esistenza di un forte legame tra angiogenesi e cellule staminali [79–81] . In effetti, sullo stesso modello delle nicchie di cellule staminali normali che si organizzano intorno a un capillare, le cellule staminali tumorali sembrano organizzarsi intorno a dei neovasi. Questi lavori hanno anche portato a ritenere che le terapie antiangiogeniche potrebbero permettere di mirare preferibilmente le cellule staminali tumorali [82] . Tuttavia, lavori recenti suggeriscono che i legami tra cellule staminali e angiogenesi sarebbero più complessi, poiché è stato mostrato che le cellule staminali tumorali sarebbero in grado di transdifferenziarsi in cellule endoteliali e di partecipare, così, alla neoangiogenesi e, forse, alla resistenza ai trattamenti antiangiogenici [83–85] .
Trattamenti antiangiogenici Talidomide La talidomide (Celgene® ) ha un’azione antiangiogenica attraverso l’inibizione della segnalazione del bFGF e del VEGF [86] . Malgrado ciò, questo trattamento non ha mostrato alcuna efficacia in monoterapia [87–89] o in associazione con il BCNU (carmustina), la temozolomide o l’irinotecan [90–94] . Neanche la lenalidomide, potente analogo della talidomide, sembra efficace [95] .
Chemioterapia metronomica La chemioterapia metronomica (continua, a piccole dosi) mira alle cellule endoteliali attivate. Il potere antiangiogenico di questo approccio è stato inizialmente evidenziato in un modello murino di tumori resistenti alla ciclofosfamide [96] . Quando la ciclofosfamide era somministrata secondo uno schema convenzionale EMC - Neurologia
era inefficace, mentre, quando era somministrata in maniera metronomica, si osservava una potente inibizione della crescita tumorale in rapporto con un aumento dell’apoptosi delle cellule endoteliali [96] . La chemioterapia metronomica sembrava efficace in modelli preclinici di gliomi [97] , ma non ha mostrato un’efficacia convincente nell’uomo in diversi studi di fase I/II o con la sola chemioterapia o in associazione con altre terapie antiangiogeniche (celecoxib, tamoxifene) [98, 99] . Potrebbe, tuttavia, essere che l’effetto antiangiogenico della chemioterapia metronomica permetta di potenziare quello di trattamenti antiangiogenici più potenti.
Trattamenti anti-vascular endothelial growth factor-vascular endothelial growth factor receptor (VEGF/VEGFR) (Tabella 4) Bevacizumab Il bevacizumab (Avastin® ) è un anticorpo monoclonale immunoglobulina G1 (IgG1) umanizzato diretto specificamente contro il VEGF. Si tratta del primo trattamento antiangiogenico che ha ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) in oncologia (nel cancro colorettale, renale, broncopolmonare e mammario). Nei gliomi, nonostante un’efficacia promettente nei modelli animali, lo sviluppo clinico del bevacizumab è stato ritardato a causa del timore di emorragie intratumorali [100, 101] . Stark-Vance e Pope et al. sono stati i primi a fornire un tasso di risposte particolarmente elevato in gliomi in progressione [102, 103] . Tuttavia, è lo studio di fase II di Vredenburgh et al. che ha realmente mostrato l’interesse potenziale di questo trattamento nei gliomi maligni [104] . In questo studio su 32 pazienti con un glioma di alto grado in recidiva trattati con bevacizumab (10 mg/kg ogni 2 settimane) e irinotecan (125 mg/m2 o 340 mg/m2 , se trattamento antiepilettico induttore enzimatico), il tasso di risposte (63%) e la sopravvivenza senza progressione a 6 mesi (30% nei gradi IV e 56% nei gradi III) erano nettamente superiori rispetto ai dati storici (il tasso di risposte è, di solito, inferiore al 20% e la sopravvivenza senza progressione a 6 mesi è del 15% nei glioblastomi e del 30% nei gliomi anaplastici in recidiva) [105] . Inoltre, non fu osservata alcuna emorragia intratumorale. Gli effetti secondari più frequenti erano la comparsa di una flebite o di un’embolia polmonare e sembra, infatti, che il bevacizumab incrementi il rischio di complicanze tromboemboliche venose [106] . Gli altri effetti secondari frequenti erano la comparsa di una proteinuria nonché la stanchezza. Tra le complicanze rare, ma gravi, si deve segnalare la comparsa di perforazioni digestive nell’1-2% dei casi [107] . Gli stessi autori hanno, in seguito, riferito la loro esperienza in una serie di 35 glioblastomi che confermava i risultati del loro precedente studio [108] . In sei dei sette pazienti trattati per 1 anno, esisteva una risposta metabolica completa alla tomografia per emissione di positroni (PET-TC) con fluorodesossiglucosio 18 (18 FDG), che mostrava che il bevacizumab non aveva semplicemente avuto un effetto corticoide-simile. La sopravvivenza globale a 1 anno era del 37% mentre è, di solito, dell’ordine del 20% nei glioblastomi in recidiva [108] . Questi risultati promettenti sono stati confermati da diversi studi retrospettivi e di fase II tra cui uno studio sul quale si è basata la Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti per autorizzare l’impiego del bevacizumab nei glioblastomi in recidiva [109–119] . In questo studio di fase II, randomizzato ma non comparativo, i pazienti erano trattati o solo bevacizumab o con bevacizumab e irinotecan [117] . Nel braccio bevacizumab (n = 85), il tasso di risposte, la sopravvivenza mediana senza progressione e la sopravvivenza mediana globale erano rispettivamente del 28%, di 4,2 mesi e di 9,2 mesi. Nel braccio bevacizumab/irinotecan (n = 82) il tasso di risposte, la sopravvivenza senza progressione a 6 mesi e la sopravvivenza globale erano rispettivamente del 37%, di 5,6 mesi e di 8,7 mesi. Nella misura in cui si trattava di uno studio non comparativo, per definizione, non si possono confrontare i due bracci e non è certo, attualmente, che vi sia o meno un interesse ad associare il bevacizumab a una molecola di chemioterapia (irinotecan o altro). Gli studi che hanno testato l’associazione del bevacizumab a una chemioterapia classica (etoposide, fotemustina, carboplatino) diversa dall’irinotecan o all’erlotinib hanno complessivamente riscontrato gli stessi risultati ottenuti con l’associazione con
7
Molecola
Riferimento bibliografico
Fase
Dose
Trattamento associato
n
Istologia
Linea di trattamento
RO (%)
Bevacizumab
Vredenburgh, 2007 [104]
II
10 mg/kg
CPT11
32
GBM, GA
Rec
Vredenburgh, 2007 [108]
II
10 mg/kg
CPT11
35
GBM
Friedman, 2009 [117]
II
10 mg/kg
Nessuno o CPT11
167
Kreisl, 2009 [116]
II
10 mg/kg
Nessuno
Reardon, 2009 [114]
II
10 mg/kg
Etoposide
Raizer, 2010 [111]
II
15 mg/kg
Sathornsumetee, 2010 [110]
II
10 mg/kg
Hasselbach, 2010 [125]
II
Lai, 2011 [126] Cediranib Sorafenib
Pazopanib
MS (%)
SSP mediana (settimane)
SSP a 6 mesi (%)
63
20
38
Rec
57
24
46
42
GBM
Rec
28-37
16-22
43-50
36
48
GBM
Rec
35
16
29
31
32/27
GBM, GA
Rec
24/23
73/72
24/23
41/44
63/46
Nessuno
50/11
GBM, GA
Rec
25
50
11
25
26
Erlotinib
25/32
GBM, GA
Rec
48/31
28/44
42/71
10 mg/kg
CPT11 + cetuximab
43
GBM
Rec
34
II
10 mg/kg
TMZ RT-CT
70
GBM
Ini
Batchelor, 2010 [127]
II
45 mg/die
Nessuno
31
GBM
Rec
27-56,7
Hainsworth, 2010 [128]
II
800 mg/die
TMZ
47
GBM
Ini
13
Reardon, 2011 [129]
II
800 mg/die
TMZ
32
GBM
Rec
3
Iwamoto, 2010 [130]
II
800 mg/die
Nessuno
35
GBM
Rec
8,6-31,4
29
30
13,6 mesi 16,7 53
SG mediana (settimane)
19,6 mesi 25,8
6 mesi
32,3 12 mesi
9 12
35
GBM: glioblastoma; GA: glioma anaplastico; Rec: al momento della recidiva; Ini: al momento della diagnosi iniziale; SSP: sopravvivenza senza progressione; SG: sopravvivenza globale; RO: tasso di risposte radiologiche obiettive; RT: radioterapia; TMZ: temozolomide; MS: malattia stabile; CT: chemioterapia.
I – 17-246-A-10 Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi
8 Tabella 4. Studi clinici che valutano il bevacizumab e gli anti-vascular endothelial growth factor receptor (VEGFR).
EMC - Neurologia
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi I – 17-246-A-10
Figura 2. A. Pannello A: glioblastoma bifrontocalloso in progressione (recidivante) dopo una prima linea di trattamento mediante radio-chemioterapia concomitante. B. Pannello B: risposta tumorale completa dopo tre cicli di bevacizumab in seconda linea di trattamento.
A
l’irinotecan [109, 110, 114, 120] . Invece, alla progressione, non sembra vi sia interesse a proseguire il bevacizumab, sia aggiungendo l’irinotecan se i pazienti erano trattati con solo bevacizumab sia sostituendo l’irinotecan con un’altra molecola di chemioterapia se i pazienti erano sotto bevacizumab/irinotecan [116, 121] . Dopo la progressione sotto bevacizumab, nessun trattamento è efficace e la sopravvivenza è, generalmente, breve. In alcuni pazienti, la progressione avviene con la modalità di una gliomatosi senza ricomparsa di un’assunzione di contrasto. La frequenza di questa modalità di progressione varia dal 10% al 30% a seconda degli studi e delle definizioni della modalità di progressione [115, 119, 122–124] . Benché ciò resti da dimostrare formalmente, sembra che l’utilizzo del bevacizumab modifichi l’aspetto radiologico delle recidive rispetto a quello osservato fino a oggi con le chemioterapie standard. Attualmente, l’impressione generale è che, nei glioblastomi in progressione, il bevacizumab permetta un aumento molto netto del tasso di risposte, un aumento netto della sopravvivenza senza progressione e, forse, un aumento moderato della sopravvivenza globale (Fig. 2) [131] . È possibile che l’interesse principale del bevacizumab sia un aumento della qualità di vita nella misura in cui la risposta radiologica si accompagna generalmente a un netto miglioramento dello stato neurologico e a una riduzione del fabbisogno di corticosteroidi [132] . Uno studio dell’European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) che valuta in particolare lomustina contro bevacizumab + lomustina nei glioblastomi in recidiva dovrebbe permettere di determinare con precisione l’interesse e il ruolo del bevacizumab al momento della recidiva. Nei gliomi anaplastici, benché si abbiano meno dati, diversi studi suggeriscono un beneficio molto simile a quello osservato nei glioblastomi [113, 118, 133–135] . I legami tra l’espressione del VEGF, la risposta radiologica e la sopravvivenza non sono ancora chiari. In uno studio retrospettivo su 45 pazienti, l’espressione del VEGF era correlata alla risposta radiologica ma non alla sopravvivenza globale. L’espressione dell’anidrasi carbonica 9 (CA9), un marker dell’ipossia, era associata a una sopravvivenza meno buona [136] . Chen et al. hanno valutato il valore predittivo della PET-TC con 18 Fluorotimidina (FLT) [137] . Una risposta radiologica era osservata nel 38% dei pazienti e una risposta metabolica nel 47%; quest’ultima era significativamente correlata a una migliore sopravvivenza globale (p = 0,003), contrariamente alla risposta radiologica (p = 0,06). Attualmente, il bevacizumab è in corso di studio in quanto trattamento di prima linea dei glioblastomi in associazione alla radiochemioterapia concomitante e adiuvante con temozolomide. Diversi studi hanno già mostrato che la tolleranza era buona e che l’impatto, in particolare sulla sopravvivenza senza progressione, era promettente [126, 138] . EMC - Neurologia
B
Inibitori dei recettori per il «vascular endothelial growth factor» (VEGF) Il vatalanib (PTK787/ZK222584) è un inibitore orale antiVEGFR che inibisce anche PDGFR, c-KIT e c-FMS. Diversi studi di fase I/II hanno mostrato che la tolleranza sembrava buona, ma che, viceversa, l’efficacia sembrava deludente [139, 140] . Il pazopanib (GW786034) è anche un inibitore orale anti-VEGFR. In uno studio di fase II, esistevano dei segni di attività sul piano radiologico; tuttavia questo trattamento non era efficace [130] . L’AZD2171 (Cediranib® ) è un altro inibitore orale anti-VEGFR chinasi che inibisce anche PDGFR e c-KIT. Si tratta di un trattamento generalmente ben tollerato, poiché gli effetti secondari più frequenti erano delle diarree, una disfonia e un’ipertensione arteriosa [127] . In uno studio di fase II, l’AZD2171 sembrava efficace, con un tasso di risposte del 56%; tuttavia, in un recente studio di fase III, l’AZD2171, somministrato da solo o in associazione con la lomustina, non sembrava più efficace della sola lomustina [141] . Tuttavia, lo studio traslazionale di diagnostica per immagini accoppiata allo studio di fase II iniziale ha riportato delle informazioni molto interessanti sul meccanismo d’azione di questa molecola sulla barriera emato-encefalica e costituisce ormai un riferimento per quanto riguarda la diagnostica per immagini delle terapie antiangiogeniche nei gliomi [77, 141] . Lo studio della permeabilità alla risonanza magnetica (RM) ha mostrato che l’AZD2171 generava una normalizzazione rapida, prolungata, ma reversibile dei neovasi e che, conseguentemente, l’AZD2171 aveva, come il bevacizumab, un’azione antiedematosa e permetteva di ridurre il fabbisogno di corticosteroidi. Inoltre, in questo studio, si è potuto dimostrare che la tachifilassi al trattamento con AZD2171 era associata a un’elevazione dei tassi circolanti di bFGF e di SDF1␣, suggerendo che possa trattarsi di bersagli potenzialmente interessanti [77] . La progressione tumorale era associata anche a un’elevazione del tasso di cellule endoteliali in circolo. Il sunitinib e il sorafenib sono due inibitori tirosina chinasi multitarget che possiedono una potente attività antitumorale e antiangiogenica. Il sunitinib ha l’AIC nei cancri del rene e nei tumori stromali gastro-intestinali (gastrointestinal stromal tumor, GIST) resistenti all’imatinib. Questo trattamento ha dimostrato un’efficacia in modelli preclinici di gliomi [142] ; tuttavia, in uno studio di fase II su gliomi maligni in recidiva, i risultati erano deludenti [143] . Il sorafenib ha l’AIC nel cancro del rene, ma i primi studi suggeriscono che questo trattamento non sarebbe efficace nei glioblastomi [128, 129] . Inibitore della via di segnalazione intracellulare del «vascular endothelial growth factor» L’enzastaurina (LY-317615) inibisce selettivamente la proteina chinasi C beta legandosi al suo sito ATP. La proteina chinasi C beta svolge anche un ruolo nella segnalazione intracellulare
9
I – 17-246-A-10 Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi
del VEGF e ha, dunque, anche un effetto antiangiogenico. Si tratta di un trattamento ben tollerato, ma che sembra poco efficace [63, 64] . In uno studio di fase III recente nei glioblastomi in recidiva, l’efficacia dell’enzastaurina non era superiore a quella della lomustina [64] . Tuttavia, dei dati preclinici suggeriscono che l’enzastaurina potrebbe potenziare l’effetto della radioterapia e uno studio di fase I/II sta attualmente testando questa ipotesi [144] .
Inibitori delle integrine (Tabella 3) Le integrine sono degli eterodimeri transmembrana che svolgono il ruolo di recettore per la matrice extracellulare. Esse sono implicate nell’adesione e nella migrazione cellulare, in particolare nella migrazione, nell’adesione e nella proliferazione delle cellule endoteliali durante l’angiogenesi. Il cilengitide (EMD 121974) è un peptide ciclico che si lega alle integrine ␣vß3 e ␣vß5, che sono specificamente coinvolte nell’angiogenesi, e che le inibisce. La diffusione intratumorale di questo trattamento è buona. In uno studio di fase I (n = 51) in pazienti con un glioma maligno in recidiva, questo trattamento era ben tollerato e fu osservata una risposta in cinque pazienti con una risposta completa e prolungata (>24 mesi) in due pazienti [145] . In uno studio di fase I/II su 81 pazienti con un glioblastoma in recidiva che confrontava due dosi (500 mg contro 2 000 mg per via endovenosa 2 volte a settimana), fu osservata una risposta prolungata nel 9% dei pazienti; tuttavia, questo trattamento non sembrava efficace in monoterapia [61] . In uno studio di fase II in glioblastomi in prima linea di trattamento, l’associazione radio-chemioterapia a base di temozolomide e cilengitide (500 mg per via endovenosa 2 volte a settimana) era ben tollerata e sembrava apportare un beneficio nei pazienti con un promoter di MGMT metilato [146] . Due studi di fase III, uno nei pazienti MGMT metilati (studio CENTRIC) e l’altro nei pazienti non metilati (studio CORE), stanno attualmente sperimentando l’interesse dell’associazione del cilengitide alla radio-chemioterapia con temozolomide nel trattamento iniziale dei glioblastomi.
Terapie antiangiogeniche: prospettive Il tasso di risposte e il tipo di risposte osservate con il bevacizumab nei gliomi maligni in recidiva sono particolarmente impressionanti. Attualmente, non si sa ancora se i pazienti che rispondono a questo trattamento corrispondano a un sottogruppo molecolare particolare di pazienti, né si sa se vi sia un interesse ad associare il bevacizumab a un’altra chemioterapia e, in caso affermativo, a quale. Resta anche da determinare il momento migliore (prima della radioterapia, durante o dopo, o alla recidiva) per iniziare il bevacizumab. Vari altri trattamenti antiangiogenici sono in corso di valutazione nei gliomi. Il VEGF trap (Regeneron® ) è una proteina di fusione che si fissa al VEGF e al fattore di crescita placentare e che impedisce loro di legarsi ai propri recettori. Il VEGF trap ha mostrato un’efficacia antitumorale in modelli preclinici di gliomi, o da solo o in associazione con la radioterapia [147, 148] . Tra gli altri trattamenti antiangiogenici in corso di valutazione nei gliomi, si ricordano gli inibitori chinasi multitarget come il Vandetanib (Zactima® ) [149] , il tandutinib (MLN 518) e il peptide inibitore di VEGFR2 CT-322 (Adnexus). L’esperienza con il bevacizumab e l’AZD2171 ha mostrato che i trattamenti antiangiogenici riducono la permeabilità capillare e che possono, così, far scomparire l’assunzione di contrasto senza che il tumore diminuisca in dimensioni o, addirittura, mentre il tumore può progredire sulle sequenze IRM T2-fluid attenuated inversion recovery (FLAIR). Per questo motivo, sono stati proposti nuovi criteri di risposta radiologica (criteri RANO) che prendono in considerazione le dimensioni del tumore in T2-FLAIR. Tuttavia, altre tecniche di diagnostica per immagini, come le immagini metaboliche in PET o RM, potrebbero essere interessanti anche per distinguere meglio tra l’azione puramente antiangiogenica sull’assunzione di contrasto e l’azione propriamente antitumorale [150, 151] . Vi sono state molte preoccupazioni circa il rischio di emorragie intracerebrali sotto bevacizumab; tuttavia tutti gli studi attualmente dimostrano che questo rischio è basso, e questo
10
probabilmente anche nei pazienti con un’emorragia intratumorale asintomatica alla RM o in quelli sotto trattamento anticoagulante [152] . I meccanismi che sottendono la resistenza ai trattamenti antiangiogenici anti-VEGF iniziano a essere conosciuti meglio. Alcuni tumori sono intrinsecamente resistenti agli antiangiogenici, mentre altri, dopo una fase iniziale di sensibilità, sviluppano una resistenza secondaria. Questa resistenza secondaria sembra essere in rapporto con il reclutamento di altre vie di segnalazione antiangiogenica, il reclutamento di progenitori mieloidi proangiogenici, il reclutamento di periciti e un aumento dell’invasione tumorale per liberarsi dall’ipossia [153] . La resistenza ai trattamenti antiangiogenici potrebbe anche essere in rapporto con la capacità delle cellule tumorali di partecipare alla neoangiogenesi transdifferenziandosi in cellule endoteliali [84, 85] .
“ Punti importanti • I glioblastomi sono i tumori cerebrali primari maligni più frequenti nell’adulto. • Diverse vie di segnalazione e diversi programmi cellulari sono deregolati nei glioblastomi. • La via dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi è anormale nella quasi totalità dei glioblastomi. • I glioblastomi sono caratterizzati dalla presenza di un’angiogenesi florida. • Gli inibitori dei recettori transmembrana ad attività tirosina chinasi e dell’angiogenesi (in particolare il bevacizumab) forniscono dei risultati promettenti e potrebbero contribuire a migliorare la prognosi dei pazienti che presentano un glioblastoma.
Conclusioni La ricerca biologica permette di scoprire sempre più molecole potenzialmente interessanti. L’obiettivo, attualmente, è quindi di essere in grado di selezionare rapidamente le nuove molecole che saranno più efficaci o da sole o in associazione con terapie tradizionali. Gli studi randomizzati di fase III costituiscono, malgrado ciò, il riferimento per la valutazione delle nuove molecole, dato il numero di nuove molecole disponibili e il numero delle associazioni possibili di queste molecole, o tra di loro o con trattamenti classici. Si pone la questione di modelli alternativi di valutazione della loro efficacia potenziale. Malgrado delle controversie, gli studi di fase «0» potrebbero permettere una valutazione farmacodinamica più rapida delle nuove molecole in un piccolo numero di pazienti e permettere, così, di evitare lunghi studi di fase I/II con delle molecole o delle combinazioni di molecole le cui proprietà farmacologiche sono insufficienti [154] . Questi studi, come anche degli studi di fase I neoadiuvanti realizzati prima della chirurgia, potrebbero già, in un primo tempo, permettere di selezionare le molecole che hanno una diffusione attraverso la barriera ematoencefalica e una penetrazione intratumorale sufficientemente buona. In effetti, benché la barriera ematoencefalica sia interrotta in alcune zone tumorali, una percentuale importante di cellule gliali si trova in zone dove la barriera ematoencefalica è intatta. Diversi studi hanno mostrato che alcune piccole molecole come, per esempio, l’imatinib sono il substrato delle glicoproteine P e di altre pompe di efflusso. Tuttavia, malgrado il numero di studi realizzati nei gliomi con l’erlotinib e il gefitinib, il grado di penetrazione di queste sostanze attraverso la barriera emato-encefalica resta incerto, il che complica l’interpretazione della loro assenza di efficacia. La caratterizzazione molecolare dei gliomi potrebbe anche permettere di selezionare meglio i pazienti più suscettibili di trarre beneficio dalle terapie mirate e di realizzare degli EMC - Neurologia
Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi I – 17-246-A-10
studi clinici su gruppi più omogenei di pazienti che presentano l’anomalia molecolare contro la quale è diretta la terapia mirata [155] . Infine, lo sviluppo di modelli in vitro e in vivo è fondamentale per la valutazione preclinica delle nuove strategie terapeutiche. In effetti, dei solidi risultati ottenuti in un modello preclinico pertinente consentono di accelerare lo sviluppo clinico.
Riferimenti bibliografici [1] [2] [3]
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[email protected]). Service de neurologie 2 Mazarin, Groupe hospitalier Pitié-Salpêtrière AP-HP, 47-83, boulevard de l’Hôpital, 75651 Paris cedex 13, France. Centre de recherche de l’Institut du cerveau et de la moelle épinière (CRICM) Inserm UMRS 975/CNRS UMR 7225/UPMC, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Ducray F, Idbaih A. Terapie molecolari mirate e antiangiogeniche nel trattamento dei glioblastomi. EMC - Neurologia 2012;12(3):1-14 [Articolo I – 17-246-A-10].
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