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Trattamento chirurgico delle complicanze settiche dopo pneumonectomia M. Alifano, J. Berjaud, M. Dahan, J.-F. Régnard La principale complicanza settica della pneumonectomia è il piotorace. Questo è associato una volta su due a una fistola broncopleurica, che può essere la causa o la conseguenza di questo piotorace. Ciò significa che il loro trattamento è strettamente legato. Il trattamento del piotorace consiste nella sterilizzazione della cavità di pneumonectomia, mentre quello della fistola nella sua chiusura. Nella fase acuta, il primo trattamento è il drenaggio della loggia di pneumonectomia, il cui scopo è quello di prevenire l’inondazione del polmone controlaterale e di ottenere un controllo iniziale della sepsi locale. Secondariamente, il controllo della sepsi può essere garantito dall’irrigazione-lavaggio, eventualmente in associazione a una «toilette chirurgica» della cavità di pneumonectomia. In caso di insuccesso, una toracostomia costituisce spesso la migliore modalità di controllo locale della sepsi. Questa operazione è la tecnica di elezione quando il piotorace si accompagna a una fistola. Una volta controllata la fase acuta, si pone il problema dell’obliterazione dello spazio pleurico. Questa può essere ottenuta con una mioplastica o con un’epiploonplastica, eventualmente precedute da una manovra di affondamento della sacca con toracoplastica. Quando la sacca è di volume modesto, è possibile realizzare una chiusura semplice della toracostomia su una soluzione antibiotica (tecnica di Clagett). In pratica, le indicazioni dipendono più dalle caratteristiche del paziente, dalla complicanza settica e dalle abitudini del servizio che da un algoritmo immutabile e rigoroso. © 2012 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Pneumonectomia; Piotorace; Fistola; Toracostomia; Toracoplastica; Mioplastica; Epiploonplastica
Generalità e definizioni
Struttura dell’articolo ■
Generalità e definizioni Fistole broncopleuriche
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Principi di gestione
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Trattamento iniziale Drenaggio percutaneo Irrigazione-lavaggio Defibrinazione e toilette della sacca di pneumonectomia Toracotomia di defibrinazione con toilette: varianti tecniche Messa a piatto della sacca di pneumonectomia (fenestrazione o toracostomia o «bocca di forno»)
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Trattamento tardivo Toracoplastica Chiusura della toracostomia
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Problemi specifici delle fistole bronchiali dopo pneumonectomia Perdite aeree Fistole broncovascolari Fistole bronchiali croniche con moncone lungo Fibroscopia e broncoscopia interventistica
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Conclusioni
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EMC - Tecniche chirurgiche - Torace Volume 16 > n◦ 1 > novembre 2012 http://dx.doi.org/10.1016/S1288-3336(12)62664-8
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La principale complicanza settica che può manifestarsi dopo una pneumonectomia è il piotorace (o empiema), che può essere isolato oppure associato a una fistola bronchiale. Il piotorace è definito dal carattere purulento del liquido della sacca di pneumonectomia o dall’evidenziazione di microrganismi agli esami microbiologici, e ciò anche se il liquido non è macroscopicamente purulento. La fistola bronchiale è definita da un difetto della tenuta stagna della sutura del moncone bronchiale, responsabile della comunicazione dell’albero respiratorio con la cavità di pneumonectomia. Le complicanze settiche dopo pneumonectomia possono essere isolate o associate tra di loro: nel 40% dei casi gli empiemi sono isolati [1] . Il meccanismo di contaminazione più probabile è la contaminazione intraoperatoria in occasione di una chirurgia per lesione infettiva o tumore sovrainfetto. In altri casi, il piotorace è associato a una fistola bronchiale o a un’infezione della parete, secondo due meccanismi: dall’interno all’esterno, è l’infezione che forza le due zone di debolezza che sono la sutura bronchiale e la chiusura parietale, mentre, dall’esterno all’interno, a partire dalla parete o dalla fistola bronchiale. In effetti, una fistola bronchiale o un’infezione della parete
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si accompagnano sempre a un piotorace, in quanto, anche se i prelievi molto precoci sono sterili, l’evoluzione si farà ineluttabilmente verso un’infezione della cavità.
Fistole broncopleuriche L’incidenza delle fistole bronchiali dopo pneumonectomia è variabile a seconda delle casistiche, con un tasso compreso tra il 2% e il 12% [1–4] . Nella letteratura internazionale recente, sono descritti dei tassi del 5% circa [4] . Degli anticorpi, allo stesso tempo locali e sistemici, sono coinvolti nella patogenesi delle fistole [1–4] . I fattori locali incriminati sono: una sezione bronchiale tumorale, un moncone bronchiale eccessivamente lungo e/o devascolarizzato, la tecnica di chiusura del moncone bronchiale (fistola più frequente dopo sutura manuale che dopo cucitura meccanica), il carattere esteso o iterativo della resezione (la pneumonectomia di totalizzazione, in primo luogo) e un precedente trattamento con radioterapia [1–4] . I fattori sistemici sono: lo stato nutrizionale, il diabete, l’esistenza di una broncopneumopatia cronica ostruttiva e, secondo alcuni autori, la somministrazione di una chemioterapia preoperatoria. Anche la ventilazione meccanica postoperatoria, la somministrazione di terapie steroidee e il lato destro dell’exeresi sono stati identificati come fattori favorenti la comparsa di una fistola bronchiale [1–4] . È stato ampiamente sottolineato [1–4] che il miglior «trattamento» delle fistole bronchiali è la loro prevenzione: manipolazione atraumatica del bronco, preservazione massima della sua vascolarizzazione e ottenimento di sezioni sane. Diverse tecniche di copertura del moncone bronchiale sono state proposte per ridurre i rischi di fistola bronchiale, in particolare una mioplastica del muscolo intercostale [5] o, specialmente dopo radioterapia mediastinica a forti dosi [6] , una mioplastica del gran dentato o un’epiploonplastica. L’intervallo tra la pneumonectomia iniziale e la diagnosi di fistola è variabile [1–4] . Esistono delle fistole estremamente precoci che possono comparire il giorno seguente o due giorni dopo l’intervento (queste ultime sono spesso attribuite a un difetto tecnico) e delle fistole che possono insorgere in tempi più «classici» (tra 7 e 10 giorni dall’intervento) e, infine, delle fistole che possono manifestarsi più tardivamente. Circa l’80% delle fistole insorge prima del 90o giorno postoperatorio [2] . Si possono manifestare anche delle fistole molto più tardive, essendo stati descritti dei ritardi di 50 anni; si tratta, in questi casi, di contaminazioni secondarie della cavità di pneumonectomia in occasione di batteriemie, con una riapertura secondaria della sutura bronchiale.
Principi di gestione Il piotorace dopo pneumonectomia è una complicanza estremamente grave, la cui mortalità è elevata. La prognosi è legata a una diagnosi precoce che permetta di limitare le complicanze successive, come la pneumopatia controlaterale (soprattutto in caso di fistola) e la sepsi non controllata. Una sorveglianza clinica biquotidiana durante il ricovero in ospedale e un monitoraggio costante dei parametri laboratoristici in vista dell’evidenziazione di un aumento del tasso della proteina C reattiva (PCR) sono indispensabili per una diagnosi precoce [7] . Qualsiasi anomalia clinica, laboratoristica o radiografica evocatrice di un piotorace, con o senza fistola, deve portare a eseguire una puntura della cavità di pneumonectomia per l’esame colturale e una fibroscopia bronchiale per verificare la sutura bronchiale. La fibroscopia bronchiale può essere falsamente rassicurante all’inizio, mostrando una cicatrice subnormale o appena infiammatoria oppure ischemica, ma senza segni evidenti di fistola. Essa può anche evidenziare un microforo di aspetto non univoco. In queste condizioni, deve essere realizzato l’esame attento del moncone alla ricerca di una comparsa di bolle dopo l’instillazione di soluzione fisiologica. In caso di dubbio, non si deve esitare a ripetere la fibroscopia 24-48 ore dopo. A causa del deficit di sensibilità della fibroscopia bronchiale, sono state proposte delle tecniche ancillari, come la realizzazione di una scintigrafia polmonare dopo inalazione di xenon [8] o, anche,
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l’analisi dei gas della cavità di pneumonectomia, facendo inalare al paziente una miscela di ossigeno e di protossido d’azoto [9] . Il trattamento dell’empiema e quello della fistola bronchiale sono strettamente legati. Il drenaggio della cavità pleurica ne è l’elemento essenziale. Negli empiemi senza fistola, può essere ottenuta la sterilizzazione della cavità di pneumonectomia con drenaggio (eventualmente in associazione a un lavaggio). Al contrario, in caso di fistola, solo la chiusura della fistola permette di guarire il piotorace e, in caso di mancata chiusura spontanea della fistola, l’obliterazione dello spazio pleurico può facilitare la chiusura della fistola e la guarigione del piotorace.
Trattamento iniziale Il trattamento iniziale di un piotorace postpneumonectomia, associato o meno a una fistola broncopleurica, è l’elemento essenziale della prognosi a breve termine, poiché una gestione iniziale insufficiente può portare rapidamente a delle complicanze e, spesso, al decesso.
Drenaggio percutaneo Il drenaggio percutaneo della cavità di pneumonectomia è la misura terapeutica iniziale e indispensabile in presenza di un piotorace postpneumonectomia accertato o fortemente sospettato [10] . È una misura di salvataggio, soprattutto nei casi in cui l’associazione a una fistola bronchiale espone il paziente al rischio di inondazione del polmone controlaterale da parte del liquido della cavità di pneumonectomia. In assenza di una fistola bronchiale, un drenaggio d’urgenza permette non soltanto di controllare rapidamente lo stato settico prima della comparsa di complicanze irreparabili (shock settico), ma anche di prevenire la «forzatura» della sutura bronchiale da parte del liquido purulento (quindi, con la formazione di una fistola) o, anche, la costituzione di un empiema di necessità, attraverso la «forzatura» di una cicatrice di toracotomia non ancora impermeabile. In entrambi i casi, la gestione ulteriore è ineluttabilmente molto più complessa, in quanto l’infezione parietale o la fistola sovrapposta richiedono trattamenti specifici. Al momento del drenaggio sono realizzati dei prelievi colturali della cavità di pneumonectomia. I campioni devono essere inviati al laboratorio di microbiologia, non solo in provette standard, ma anche in provette per emocoltura aerobia e anaerobia, per ottimizzare le possibilità di evidenziare degli agenti patogeni. Il drenaggio della cavità di pneumonectomia è realizzato sotto anestesia locale, dopo la localizzazione con l’ago. In linea generale, il drenaggio deve essere posizionato in alto e all’esterno della linea medioclavicolare, in quanto le modificazioni dello spazio di pneumonectomia (innalzamento della cupola diaframmatica e retrazione mediastinica verso il lato operato) avvengono molto precocemente nel periodo postoperatorio. Il drenaggio è situato all’altezza del 2o o del 3o spazio intercostale, o a livello della linea ascellare anteriore o per via transpettorale. Per localizzare il punto per la puntura, è indispensabile avere, come minimo, una radiografia del torace. Dopo l’incisione cutanea, l’accesso alla sacca di pneumonectomia si esegue gradualmente mediante una dissecazione con pinza di Kelly, fino alla penetrazione nello spazio pleurico. Un drenaggio di grosso calibro (28 Ch o 30 Ch) è, quindi, introdotto con l’ausilio del trocar di Monod. L’utilizzo di quest’ultimo strumento permette anche di dirigere il drenaggio nella posizione più declive possibile. Il drenaggio è collegato a un contenitore irreversibile, tipo, per esempio, Pleurevac® . Un’aspirazione permanente (tra – 5 cm e – 10 cm H2 O) è ipotizzabile solo a partire dalla 7a -8a giornata postoperatoria poiché, in questo momento, il mediastino è relativamente fisso e l’aspirazione non provoca uno spostamento eccessivo. Una radiografia del torace è eseguita alcune ore dopo e permette di verificare il posizionamento del drenaggio toracico e la sua efficacia: se la cavità di pneumonectomia è perfettamente vuota, il controllo della sepsi locale sarà molto probabilmente soddisfacente e il rischio di inalazione controlaterale, in caso di fistola bronchiale associata, sarà escluso. Viceversa, una cavità che non è svuotata malgrado un drenaggio correttamente posizionato è, EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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probabilmente, sepimentata. In queste condizioni, la possibilità di controllo locale della sepsi e di sterilizzazione della cavità per semplice drenaggio resta aleatoria e può richiedere degli atti di toilette chirurgica della cavità, come sarà discusso più avanti. Nell’ipotesi più favorevole di un piotorace senza fistola, con evacuazione completa della sacca di pneumonectomia per semplice drenaggio percutaneo, la possibilità di successo con una gestione conservativa è molto elevata. Questa gestione conservativa comporta: • una terapia antibiotica sistemica (innanzitutto ad ampio spettro e la cui somministrazione è iniziata dopo la realizzazione dei prelievi batteriologici e, poi, è adattata ai germi che saranno stati isolati); • delle misure locali di irrigazione-lavaggio; • delle misure generali (monitoraggio, reidratazione, nutrizione adeguata e fisioterapia respiratoria intensiva). D’altronde, l’aspirazione dolce che è esercitata, come si vedrà nuovamente, sul drenaggio facilita la retrazione progressiva della cavità di pneumonectomia e la sua obliterazione parziale. In caso di fallimento dell’irrigazione-lavaggio (assenza di sterilizzazione della sacca), questa tecnica avrà avuto lo scopo di «far passare al paziente un ostacolo difficile», permettendo di prepararlo per un trattamento chirurgico ulteriore (marsupializzazione, toracoplastica) in migliori condizioni generali e respiratorie.
Irrigazione-lavaggio Una volta posizionato il drenaggio percutaneo, l’irrigazione è assicurata da un catetere, tipo Pleurocath® , che è o introdotto attraverso un orifizio separato della parete toracica o fatto scivolare all’interno del drenaggio precedentemente posizionato (un’alternativa è rappresentata dai drenaggi a «doppia corrente», che sono, tuttavia, rigidi e poco confortevoli per il paziente). In caso di introduzione attraverso un orifizio separato, il Pleurocath® è diretto verso l’apice della sacca di pneumonectomia [11] . Le sedute di lavaggio sono eseguite tre volte al giorno utilizzando una soluzione antisettica (povidone oppure clorexidina). Le soluzioni antibiotiche (dove la scelta della molecola è guidata dall’antibiogramma) costituiscono una valida alternativa, benché siano spesso messe in discussione per il timore di favorire lo sviluppo di una resistenza batterica. L’instillazione di una soluzione antisettica si esegue con il drenaggio declive clampato, dopo avere avuto l’assoluta certezza dell’assenza di una fistola bronchiale, che esporrebbe a un rischio importante di inondazione del polmone controlaterale. La quantità di liquido instillata è decisa attraverso la stima del volume della sacca di pneumonectomia alla radiografia del torace; essa comporta l’instillazione, in un primo tempo, di una quantità moderata (200 ml circa), con una valutazione della tolleranza. Se questa è buona e se non si osserva nessun reflusso attraverso gli orifizi di drenaggio, il volume è progressivamente aumentato per raggiungere rapidamente i 500 ml. Una volta riempita la cavità di pneumonectomia, il liquido è lasciato in sede una mezz’ora circa («bagno pleurico») e poi è evacuato per aspirazione dolce sul drenaggio declive. Solo dopo aver verificato di aver recuperato tutto il liquido instillato, può essere realizzata una nuova instillazione. Al momento delle prime sedute di irrigazione-lavaggio, è indispensabile la presenza di un medico accanto al paziente. L’evoluzione sotto irrigazione-lavaggio, trattamento antibiotico e misure generali è valutata sul piano clinico sulla sindrome infiammatoria biologica (riduzione del tasso di leucociti e, soprattutto, della PCR) e con colture ripetute del liquido pleurico. Il dosaggio della procalcitonina, probabilmente interessante, non ha, attualmente, dimostrato la sua efficacia in questo contesto. Il trattamento antibiotico è continuato per una decina di giorni e, poi, è interrotto se l’evoluzione degli altri parametri sembra favorevole. Tre prelievi batteriologici sterili a livello della cavità (3 giorni di seguito) sono la condizione necessaria per la rimozione del drenaggio toracico; nei giorni nei quali sono eseguiti i prelievi batteriologici, l’irrigazione è realizzata con della soluzione fisiologica. Il paziente è ancora controllato per 3-4 giorni prima di ritornare al domicilio, ma la prosecuzione della sorveglianza clinica per delle visite ravvicinate, almeno in un primo tempo, è necessaria EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
per poter diagnosticare rapidamente un’eventuale recidiva del piotorace. Per molti autori, l’insuccesso dell’irrigazione-lavaggio al termine di 2-3 settimane fa porre l’indicazione a misure alternative di drenaggio e di obliterazione della cavità pleurica (marsupializzazione e/o toracoplastica), come sarà descritto in seguito.
Defibrinazione e toilette della sacca di pneumonectomia Nel caso frequente in cui il controllo della sepsi locale di un piotorace senza fistola non possa essere rapidamente ottenuto con un semplice drenaggio-lavaggio, deve essere considerata la «toilette chirurgica» della sacca di pneumonectomia, se le condizioni del paziente sono stabilizzate. Si tratta, in genere, di pazienti il cui controllo radiografico e/o la TC dopo il drenaggio percutaneo mostrano una sacca che è ancora parzialmente piena di liquido, con un aspetto multisepimentato. Il paziente resta spesso febbrile senza alcun miglioramento della sindrome infiammatoria laboratoristica. In questo caso, la probabilità di poter trattare in maniera conservativa il piotorace con una semplice irrigazione-lavaggio è modesta. È precisamente in questo caso che si realizza una toilette chirurgica con il posizionamento ottimale dei drenaggi. L’irrigazione-lavaggio è, allora, iniziata o proseguita dopo questo gesto. La defibrinazione e la toilette per i piotoraci fistolizzati non sono indicate, in quanto la presenza della fistola aumenta il rischio operatorio e non permette un’irrorazione-lavaggio ulteriore. La defibrinazione di un piotorace non fistolizzato può essere realizzata o per videotoracoscopia o per toracotomia, mentre l’opzione di una fibrinolisi farmacologica, benché seducente dal punto di vista teorico, non è stata attualmente sufficientemente valutata. Questo atto di sbrigliamento è realizzato sotto anestesia generale e in decubito laterale. È, in genere, ben sopportato da pazienti la cui condizione sia stata notevolmente migliorata con il drenaggio, gli antibiotici e la rinutrizione. L’irrigazione-lavaggio può essere allora cominciata 12-24 ore dopo il gesto chirurgico di toilette.
Toilette mediante videotoracoscopia L’intervento è realizzato con intubazione tracheale se si ha la certezza assoluta dell’assenza di una fistola bronchiale oppure con intubazione selettiva del bronco controlaterale alla pneumonectomia con Bronco-Cath® senza sperone, se esiste il minimo dubbio sull’esistenza di una fistola bronchiale. Dopo la localizzazione della tasca con l’ago, il toracoscopio è introdotto attraverso un trocar posizionato con un accesso in genere ascellare. Sotto controllo visivo, si posiziona un altro trocar per l’introduzione degli strumenti. Tutte le loggette della cavità di pneumonectomia sono abbattute con l’ausilio di un aspiratore-irrigatore introdotto attraverso il secondo trocar. Delle pinze piatte possono essere utilizzate per la rimozione dei frammenti più voluminosi di pseudomembrane e una pulizia dolce con l’ausilio di un tampone montato su una clamp aortica permette di rimuovere in modo atraumatico le eventuali pseudomembrane residue. I gesti di sbrigliamento devono essere particolarmente prudenti in corrispondenza dei monconi vascolari; sono sistematicamente inviati dei prelievi per gli esami batteriologici. Una volta realizzato lo sbrigliamento, se esiste un dubbio sulla presenza di una microfistola, può essere realizzato un esame idropneumatico facendo riventilare il lato operato con la sonda di intubazione selettiva su una cavità parzialmente riempita di siero. L’evidenziazione di una fistola bronchiale non diagnosticata prima può portare, secondo alcuni autori, alla decisione immediata di una toracostomia. Dopo l’aspirazione completa del liquido di drenaggio, i due orifizi di toracoscopia sono utilizzati per mettere in sede il sistema di irrigazione-lavaggio, che è così ottimizzato. La toilette mediante videotoracoscopia ha il vantaggio di un’aggressività minore e di evitare i difetti di impermeabilità parietale possibilmente secondari a una nuova toracotomia.
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Nell’esperienza recentemente pubblicata di Ng et al. [12] , sei pazienti con piotorace non fistolizzato sono stati trattati con questa tecnica, con un tasso di successo del 100% e senza una mortalità o una morbilità significative, ma con una durata del drenaggio media di 42,3 giorni. In uno studio francese relativamente recente [13] su una serie di 18 pazienti, lo sbrigliamento videotoracoscopico è stato realizzato sistematicamente dopo 10 giorni di irrigazione-lavaggio mediante drenaggio percutaneo in caso di piotorace non fistolizzato. In un paziente è stata, infine, diagnosticata una fistola, conducendo alla realizzazione di una marsupializzazione; un altro paziente è deceduto in seguito a un edema polmonare postoperatorio. In tutti gli altri pazienti (16 su 18), l’evoluzione è stata favorevole, con una media di durata del ricovero, dopo la diagnosi di piotorace, di 13,9 giorni (13-27 giorni), il che conferma l’efficacia di questo tipo di gestione.
Toilette mediante toracotomia Lo sbrigliamento chirurgico mediante videotoracoscopia permette di lasciare una cavità pulita e ben detersa nella maggior parte dei casi. Nei rari casi in cui questa toilette si riveli insufficiente, può essere realizzata una toilette mediante toracotomia, benché questa possa essere proposta fin dall’inizio. Nel caso in cui uno sbrigliamento mediante toracotomia debba essere realizzato di principio (per una scelta realizzata precedentemente) o per necessità (insuccesso della toilette videotoracoscopica), l’accesso scelto è piuttosto quello di una toracotomia laterale, generalmente nel 4o spazio intercostale. Benché sia stata descritta la ripresa della toracotomia, come si vedrà in seguito, da autori che hanno proposto delle soluzioni tecniche diverse, l’accesso scelto per la defibrinazione è piuttosto quello di una toracotomia laterale, in quanto la retrazione rapida della sacca di pneumonectomia con risalita del diaframma fa sì che, in caso di ripresa di toracotomia postero-laterale, l’esposizione non sia ottimale («si è troppo bassi»). D’altronde, questa toracotomia spesso non è ancora cicatrizzata e il rischio di disseminazione parietale è più importante. La grandezza della toracotomia laterale deve essere quanto più limitata possibile, ma deve, tuttavia, permettere un’esposizione soddisfacente per degli atti di sbrigliamento e di toilette. La toracotomia deve essere molto «economica» da un punto di vista muscolare. Il muscolo grande pettorale deve essere rispettato e si deve realizzare il passaggio tra le fibre del muscolo gran dentato, senza la sua sezione, poiché il muscolo può essere utile per un riempimento a distanza della sacca, come sarà descritto in seguito. Al momento della realizzazione di questa toracotomia, si presta particolare attenzione alla protezione della parete, utilizzando dei teli imbevuti di soluzione antisettica. Lo sbrigliamento è realizzato per abbattimento manuale delle diverse loggette, aspirazione dei detriti e toilette dolce con compresse fino alla rimozione completa di tutte le pseudomembrane e all’ottenimento di una cavità unica, pulita e perfettamente detersa. L’intervento termina con il posizionamento del sistema di irrigazione-lavaggio attraverso due drenaggi che sono incrociati: quello che penetra al di sopra della toracotomia è indirizzato verso lo sfondato inferiore e quello introdotto al di sotto della toracotomia è indirizzato verso l’apice. La toracotomia è chiusa nel modo più impermeabile possibile, con il posizionamento di un drenaggio di Redon di parete in caso di difetto di impermeabilità anteriore. Una toracotomia di sbrigliamento può, d’altronde, essere l’opportunità per realizzare una messa a piatto, se i reperti operatori (cfr. infra) lo richiedono. In queste condizioni, la resezione costale si esegue, ovviamente, attraverso la stessa incisione cutanea e i margini di questa rappresentano anche i margini della toracostomia.
Toracotomia di defibrinazione con toilette: varianti tecniche La toracotomia di defibrinazione con toilette è stata utilizzata anche come trattamento definitivo o semi-definitivo. L’equipe di
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Weder ha pubblicato, nel 2001 [14] , una tecnica che può gestire allo stesso tempo i piotoraci non fistolizzati e i piotoraci fistolizzati. Questa tecnica è basata sulla ripresa della toracotomia inizialmente realizzata (in genere, una toracotomia antero-laterale), con sbrigliamento meccanico, come precedentemente descritto, della sacca di pneumonectomia, sutura ripetuta del moncone bronchiale in caso di fistola (ciò sarà discusso a parte più avanti), packing della cavità con compresse imbevute di soluzione antisettica (povidone), posizionamento di un drenaggio debolmente in aspirazione (da – 5 a – 10 cm di H2 O) tra la parete toracica e le compresse e chiusura della toracotomia nella maniera abituale. La procedura è ripetuta ogni 48 ore, fino a che la cavità non sia perfettamente pulita. Al momento dell’ultima ripresa, la cavità è riempita con una soluzione antibiotica (0,3 g di netilmicina, 2,2 g di ampicillina-acido clavulanico e 1 g di vancomicina/litro di soluzione) e chiusa. Gli autori hanno riferito un tasso di successo del 90% [14] . Più recentemente, essi hanno pubblicato [15] uno studio binazionale (Svizzera e Polonia) su 65 casi (con fistola associata in 44 pazienti), con un tasso di successo globale dell’86,7%. La mortalità a 30 e a 90 giorni era rispettivamente dell’1,3% e del 2,7%. La media di ospedalizzazione era di 18 giorni (9-134 giorni) e il numero medio di procedure chirurgiche era di 3 [1–8] .
Messa a piatto della sacca di pneumonectomia (fenestrazione o toracostomia o «bocca di forno») È sicuramente l’intervento che permette un controllo locale ideale dell’infezione grazie all’evacuazione progressiva dei detriti fibrinosi e purulenti che porta a una pulizia completa della sacca. Grazie a questa tecnica, il paziente ritrova rapidamente l’autonomia, in quanto è liberato dal sistema limitativo di irrigazione-lavaggio, cosa che gli permette di lasciare l’ospedale in un periodo in genere relativamente breve (10-15 giorni). La mortalità legata all’intervento in se stesso è praticamente nulla e la morbilità è trascurabile. Viceversa, la messa a piatto di una sacca di pneumonectomia induce una deiscenza parietale non trascurabile, che è opportuno ridurre adattando caso per caso la sede e la grandezza dell’apertura. Le medicazioni della messa a piatto sono realizzate, una volta terminato il periodo di ricovero convenzionale, nel centro di convalescenza specializzato o in assistenza ospedaliera a domicilio. Il concetto secondo cui le possibilità di chiusura o di riempimento secondario della messa a piatto sono aleatorie è da considerare, oggi, come superato, poiché i progressi nei metodi di riempimento della sacca residua permettono oggi di prendere in considerazione una chiusura secondaria nella quasi totalità dei casi.
Indicazione alla toracostomia Come precedentemente descritto, la toracostomia rappresenta solo raramente la prima fase nel trattamento di un piotorace fistolizzato o non fistolizzato, poiché questa prima tappa è costituita dal drenaggio percutaneo. La toracostomia è generalmente riservata al piotorace con fistola bronchiale dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche del paziente, se le caratteristiche della fistola controindicano, come avviene molto spesso, la sua chiusura chirurgica [10] . Essa è raccomandata anche in caso di piotorace non fistolizzato, se il trattamento conservativo mediante irrigazione-lavaggio, con, eventualmente, sbrigliamento toracoscopico non ha avuto successo.
Tecnica e risultati della toracostomia La conservazione massimale del capitale cutaneo e muscolare è indispensabile, in quanto i muscoli della parete toracica sono necessari per il riempimento secondario, specialmente in caso di fistola broncopleurica persistente, come verrà descritto in seguito. In quest’ottica, noi raccomandiamo un’incisione laterale, con la resezione di due o tre archi costali e senza escissione cutanea (Fig. 1). Dopo la localizzazione della sacca con l’ago, si realizza un’incisione di 8-10 cm nello spazio intercostale scelto. Le fibre EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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Figura 1.
Installazione e incisione utilizzate per una toracostomia.
del muscolo dentato sono separate, senza una sezione muscolare, permettendo di esporre il piano costointercostale. La resezione (in genere degli archi medi della 3a e della 4a costa) si esegue per via sottoperiostea: dopo l’incisione del periostio con bisturi elettrico, questo è distaccato con scollaperiostio (Fig. 2A) e, poi, dopo lo scollamento dei margini superiore e inferiore, lo scollamento del periostio posteriore si esegue con uno scollaperiostio grande (Fig. 2B). La sezione costale è realizzata mediante un costotomo (Fig. 2C). L’accesso alla sacca di pneumonectomia si esegue, allora, in maniera più sicura mediante l’incisione del periostio posteriore e della pachipleurite. L’incisione, a questo livello, è progressivamente ingrandita, sotto il controllo della vista e di un dito introdotto nella sacca (Figg. 2D, E). È, allora, possibile completare la parietectomia mediante la resezione di un altro o, anche, di due altri segmenti costali. Gli spazi intercostali sono resecati dopo la legatura con filo riassorbibile dei peduncoli. Una volta esposta la sacca di pneumonectomia, si realizza la sua toilette meccanica (come precedentemente descritto)
Figura 2. Messa a piatto di una sacca di pneumonectomia (toracostomia). A. Scollamento del periostio con scollaperiostio. B. Una volta dissecate le coste per via sottoperiostea, le coste sono caricate su lacci. C. Sezione di due coste con costotomo. D. Il letto periosteo è aperto, così come è aperta la pachipleurite situata alla sua profondità, permettendo di esporre il contenuto della sacca di pneumonectomia. EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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Figura 2. (seguito) Messa a piatto di una sacca di pneumonectomia (toracostomia). E. Allargamento con bisturi elettrico dell’apertura della sacca di pneumonectomia. F. Sutura con grosso filo dei margini cutanei ai margini della pachipleurite.
e, poi, si procede all’ancoraggio dei margini muscolocutanei sulla pachipleurite con grossi punti invaginanti di filo intrecciato (Mersilene® 3, con ago da 48), nella misura di tre-quattro fili per ogni margine. Questa fissazione deve permettere di proteggere non solo i muscoli superficiali, ma, soprattutto, i monconi costali, in modo da ridurre i rischi di osteite (Fig. 2F). L’intervento termina con una medicazione con una compressa imbevuta di vaselina per il mediastino (cosa che permette di ridurre al massimo il trauma dei monconi bronchiali e vascolari al momento della rimozione degli zaffi) e, poi, con degli zaffi che sono asciutti in caso di fistola bronchiale o imbevuti di soluzione antisettica in sua assenza. Queste medicazioni sono sostituite tutti i giorni, inizialmente (talvolta possono essere necessarie delle medicazioni biquotidiane, in caso di sacche molto secernenti, specialmente in caso di fistola associata). È necessario un follow-up clinico e radiologico costante. Il controllo locale dell’infezione con questa tecnica è eccellente, con tassi vicini al 100%, come testimoniano, tra l’altro, i risultati di uno studio che include 30 piotoraci postpneumonectomia, di cui 24 fistolizzati [10] . Il controllo locale dell’infezione permette anche, in una percentuale importante di pazienti, la chiusura spontanea della fistola bronchiale: nello studio precedentemente citato, tale evento è stato osservato in 16 pazienti su 24 [10] . Risultati analoghi sono stati descritti dall’equipe di GarciaYuste et al. [16] .
Varianti tecniche della toracostomia: la trasposizione muscolare simultanea In caso di fistola bronchiale, l’equipe della Mayo Clinic propone di associare alla toracostomia delle procedure concomitanti di sutura ripetuta del moncone bronchiale e di mioplastica. Nell’esperienza pubblicata nel 2006 [17] su 55 pazienti portatori di piotorace fistolizzato, il moncone bronchiale era stato risuturato con polipropilene nel 78,2% dei casi e con una pinza meccanica nel 5,4% dei casi. Una mioplastica di protezione di questa sutura reiterata era stata realizzata nel 92,7% dei casi. Questa tecnica richiede la dissecazione iterativa, in tessuti molto infiammatori, del moncone bronchiale, che è suturabile soltanto se è abbastanza lungo e non ischemico. È, quindi, realizzata la mioplastica; nell’esperienza della Mayo Cinic, è utilizzato, nella grande maggioranza dei casi, il muscolo gran dentato [17] .
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In caso di moncone non ridissecabile e/o non risuturabile (16,4% dei casi), gli autori raccomandano la sua chiusura grazie a un «tappo» muscolare: la mioplastica è preparata secondo la procedura abituale e il muscolo trasposto nel torace è ancorato ai margini della fistola con una corona di punti in monofilamento. Sono, in seguito, realizzate, come descritto precedentemente, delle medicazioni della cavità di toracostomia, le prime delle quali in sala operatoria. In questo studio, è segnalato un tasso di recidiva della fistola del 18% [17] ; il tasso di complicanze è importante (50% circa) e il numero medio di interventi chirurgici è di 7 (1-25), a testimonianza dell’aggressività non trascurabile di questa tecnica.
Trattamento tardivo Una volta tenuta sotto controllo la fase acuta, la prosecuzione della gestione di un paziente portatore di toracostomia avviene in ospedalizzazione a domicilio o nel centro di continuità di cure specialistico. È necessario un periodo variabile da alcune settimane fino, a volte, a qualche mese, per permettere al paziente di ritrovare completamente la sua autonomia. Un’attenzione particolare deve essere prestata alla rinutrizione e alla fisioterapia respiratoria; anche un sostegno psicologico può permettere al paziente di far fronte alle fasi chirurgiche successive, per arrivare alla chiusura della toracostomia, che richiede, nella maggioranza dei casi, l’obliterazione dello spazio pleurico.
Toracoplastica La toracoplastica ha l’obiettivo di cancellare o di ridurre il più possibile il volume della sacca di pneumonectomia per collasso della parete toracica. Dopo la resezione di una serie di coste vicine e lasciando in sede il loro letto periosteo, la parete perde la sua rigidità e può, così, collassare sulla sacca. D’altra parte, i letti periostei lasciati in sede formeranno, nello spessore della parete abbassata, delle travate di riossificazione che permetteranno di fissarla nella sua nuova posizione in alcune settimane. Tuttavia, tale collasso della sacca di pneumonectomia, anche in caso di toracoplastica ampia, è raramente completo: in genere, si assiste a una riduzione di volume importante, ma parziale, della loggia, che lascia persistere una piccola cavità appiattita (a camino) lungo il mediastino, ma la cui gestione ulteriore sarà, in fin dei conti, semplificata. EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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Indicazioni La realizzazione di una toracoplastica non è raccomandata nella fase precoce a causa delle ripercussioni generali e cardiorespiratorie che essa potrebbe provocare a questo stadio, mentre essa è, in genere, molto ben sopportata, una volta che le condizioni cliniche siano stabilizzate [10] . Nel caso di un piotorace non fistolizzato, una toracoplastica può essere proposta dopo un periodo di irrigazione-lavaggio, una volta che questa sia stata giudicata inefficace (toracoplastica su drenaggio); tuttavia, è spesso preferita una toracostomia primaria, come descritto in precedenza. La toracoplastica ha, dunque, un interesse indiscutibile nella gestione tardiva: essa mira a ridurre il volume della sacca di toracostomia e a facilitare la chiusura di una fistola bronchiale eventualmente ancora presente, in modo da ottenere l’obliterazione spontanea e/o da facilitare il riempimento secondario con mioplastica o epiploonplastica, come verrà discusso in seguito. Nei pazienti in condizioni generali e cardiorespiratorie soddisfacenti, è realizzabile una toracoplastica in un solo tempo nella quasi totalità dei casi, in quanto essi sono, allora, in grado di tollerare delle resezioni costali piuttosto estese (otto o nove coste in un solo tempo). Per i malati più fragili, era suggerito di accontentarsi di realizzare la toracoplastica in due tempi, ma questo atteggiamento non sembra più attuale, in quanto, se un paziente è considerato a rischio operatorio troppo elevato per una toracoplastica, sono probabilmente più adatte delle soluzioni alternative.
Tecniche di toracoplastica Nel trattamento di un piotorace postpneumonectomia, la toracoplastica è realizzata con un accesso posteriore. Il paziente è posizionato in decubito dorsale, curvato in avanti, come per un accesso detto «di Paulson», in modo tale che il piano frontale del paziente costituisce, con il tavolo, un angolo di 60◦ . In questa maniera, la regione interscapolovertebrale è esposta in modo ottimale. L’incisione cutanea è, quindi, quella di una toracotomia posterolaterale classica (può essere ripresa la cicatrice precedente), prolungata verso l’alto, nella regione interscapolovertebrale, fino all’altezza della spina della scapola. Dopo la sezione reiterata del muscolo gran dorsale e del trapezio, i muscoli gran dentato e romboide sono separati dalla fascia interserratoromboidea e permettono di esporre il piano costointercostale e di posizionare un divaricatore di Fruchaud, che è utilizzato per rialzare la scapola, in modo da esporre bene la parete toracica posterosuperiore. La resezione sistematica della prima costa e un’apicolisi dovrebbero essere sistematicamente realizzate per permettere una retrazione soddisfacente della parte craniale della sacca di pneumonectomia. I gesti successivi sono in funzione della toracoplastica scelta: in questo capitolo, sono trattate solo le toracoplastiche secondo Alexandre e secondo Andrews, poiché la toracoplastica intrapleurica (secondo Schede) non è più utilizzata nella gestione del piotorace postpneumonectomia. Nella toracoplastica detta di Alexandre, la resezione costale è extramuscoloperiostea, cioè si reseca solamente la parte ossea delle coste. La resezione costale è eseguita dal basso in alto. Il periostio è inciso con bisturi elettrico, lungo ogni costa, quindi la costa è dissecata utilizzando gli strumenti adatti (scollaperiostio di Farabeuf per la faccia superficiale delle coste, scollaperiostio da margine superiore e inferiore per ognuno dei due margini costali, piccolo scollaperiostio per la faccia profonda delle coste) (Figg. 3A-C). Il limite della sezione posteriore di ogni costa è all’altezza dell’apofisi trasversa (Fig. 3D), poiché la disarticolazione costovertebrale non migliora il collasso delle sacche pleuriche. Anteriormente, il limite della sezione costale è il più lontano possibile, tenuto conto dell’accesso posterolaterale; sono lasciati solo alcuni centimetri degli archi anteriori. All’altezza di un’eventuale toracostomia precedente, la resezione costale comporta la resezione dei segmenti costali posteriori della messa a piatto stessa. L’accesso alle prime due coste deve essere particolarmente prudente, a causa del rapporto intimo di queste coste con i vasi succlavi. L’accesso iniziale a queste coste si realizza sulla loro EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
porzione posteriore, dal bordo esterno, che è sempre facilmente palpabile e che è inciso con bisturi elettrico e, quindi, liberato con scollaperiostio di Farabeuf. La loro faccia inferiore, che si presenta quasi verticalmente nel campo operatorio, è cautamente deperiostata. La faccia superiore è liberata con lo scollaperiostio grande, sospingendo il periostio dall’esterno verso l’interno. Il controllo del movimento dello scollaperiostio è assicurato anche dalla palpazione con l’indice della mano controlaterale della faccia inferiore delle coste, il che permette di contornare, sotto controllo digitale, il bordo interno di ciascuna delle coste con il piccolo scollaperiostio. Una volta liberata la metà posteriore di ogni costa, essa è sezionata con un costotomo da prima costa, ad alcuni millimetri dall’apofisi trasversa e, poi, in avanti, a livello della giunzione tra l’arco posteriore e l’arco medio. Le estremità anteriori sono, in seguito, riprese in condizioni di migliore sicurezza. La dissecazione è proseguita e spinta, per quanto riguarda la seconda costa, al di là dell’inserzione dello scaleno medio, e, per la prima costa, dello scaleno anteriore. A livello della prima costa, i vasi succlavi sono spostati insieme al periostio della faccia superiore della costa. Dopo la resezione costale, la loggia di toracoplastica è evacuata con un drenaggio intermittente, clampato e declampato ogni 4-5 ore, in modo da permettere la formazione di un ematoma nella loggia di toracoplastica. Tale ematoma e la reazione fibrosa organizzata intorno ad esso partecipano alla cancellazione della sacca di pneumonectomia secondo i principi di una chiusura extramuscoloperiostea. La radiografia del torace postoperatoria permette già di valutare la riduzione di volume della sacca pleurica, la cui retrazione proseguirà nei giorni seguenti. La gestione della sacca residua è oggetto di una successiva descrizione. La toracoplastica secondo Alexandre nel trattamento del piotorace dopo pneumonectomia non è oggetto di alcuno studio recente pubblicato. Nello studio precedentemente citato [10] , la toracoplastica è stata utilizzata dopo toracostomia come fase precedente al riempimento per cavità ampie: non è stato osservato alcun decesso legato a questa procedura ed è stata osservata in tutti i pazienti una riduzione significativa del volume della cavità. Nello studio di Peppas et al. [18] , riguardo alla toracoplastica su drenaggio, è stata osservata una mortalità operatoria del 25% (4/16) (per infezione persistente e pneumopatia controlaterale in tutti i casi); il controllo finale dell’infezione è stato ottenuto in 10 pazienti, quindi con un tasso di successo del 62,5%. La toracoplastica secondo Andrews è realizzata secondo le stesse tappe della toracoplastica extramuscoloperiostea, ma, una volta terminato il tempo parietale, la sacca di pneumonectomia è aperta a I, longitudinalmente dall’alto in basso e, trasversalmente, in alto e in basso sulla sezione longitudinale (Fig. 4). Si realizzano, così, due lembi di pachipleurite. È, allora, possibile accedere alla sacca di pneumonectomia e, se questa non è stata sottoposta a un drenaggio percutaneo (senza toracostomia), è realizzata una toilette accurata utilizzando le stesse precauzioni descritte nei capitoli precedenti. Una volta terminata la toilette, i lembi pleuro-muscolo-periostei sono utilizzati per colmare la sacca di pneumonectomia e possono essere utilizzati per colmare una fistola bronchiale persistente mediante ancoraggio al tessuto peribronchiale (Fig. 5). Questa tecnica permette, quindi, di mettere ampiamente in comunicazione la sacca di pneumonectomia con lo spazio sottoscapolare, il che espone al rischio della sua infezione in caso di drenaggio insufficiente: il problema si pone in particolare in caso di drenaggio limitato a un drenaggio tubulare, che, in assenza di una toracostomia, può rivelarsi insufficiente. Una profilassi antibiotica perioperatoria mirata sembra indispensabile e può ridurre questo rischio di infezione del sito operatorio. Nell’esperienza di Icard et al. [19] su 23 pazienti, è stata utilizzata una toracoplastica su drenaggio (senza toracostomia) secondo Andrews. La mortalità operatoria è stata del 4,3%. Tre pazienti hanno presentato un’infezione dello spazio sottoscapolare che ha richiesto un reintervento, con evoluzione, infine, favorevole, e altri tre pazienti (12,5%) hanno presentato una recidiva del piotorace, che ha richiesto una toracostomia per due di essi.
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Figura 3. Toracoplastica extramuscoloperiostea. A. Dissecazione costale per via sottoperiostea; è mostrato l’utilizzo dello scollaperiostio a bordo inferiore. B. Dissecazione costale per via sottoperiostea. Dopo la dissecazione del periostio della faccia superficiale e dei margini superiore e inferiore, la dissecazione è completata con uno scollaperiostio grande. C. La sezione costale posteriore si esegue in prossimità dell’articolazione costotrasversaria. D. Vista operatoria che mostra la dissecazione per via sottoperiostea della quarta costa. La quinta e la sesta costa sono già state resecate per via sottoperiostea e l’inizio del collasso della sacca diventa visibile già intraoperatoriamente.
Chiusura della toracostomia L’evoluzione sul piano settico di una sacca di pneumonectomia dopo toracostomia è, nella maggior parte dei casi, buona. Delle cure locali assidue e specifiche contribuiscono al controllo locale dell’infezione e si assiste a un ispessimento e alla retrazione delle pareti della cavità. Questa granulazione parietale si accompagna alla chiusura spontanea di una fistola bronchiale, anche molto voluminosa, in almeno il 50% dei casi, nelle settimane o, anche, nei mesi successivi alla toracostomia [10] . Nei casi in cui la chiusura spontanea della fistola bronchiale non sia completa, si osserva comunque, spesso, la diminuzione rapida del suo calibro. L’evoluzione del volume della sacca di pneumonectomia avviene verso la sua riduzione progressiva secondo gli stessi meccanismi responsabili della retrazione di una sacca di pneumonectomia non complicata: innalzamento della cupola diaframmatica, deviazione mediastinica e restringimento degli spazi intercostali. Così, la riduzione di volume della sacca dopo una toracostomia è più rapida in assenza di una fistola bronchiale.
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Una volta ottenuto il controllo locale dell’infezione e stabilizzate perfettamente le condizioni generali e respiratorie del paziente, si pone il problema della chiusura della toracostomia. Questo problema è gestito in maniera differente secondo tre parametri principali: • la persistenza di un’eventuale fistola bronchiale; • il volume della sacca; • la scelta del paziente che può preferire una chiusura più aleatoria con una tecnica meno gravosa a una migliore efficacia, al prezzo di una tecnica più gravosa. Nell’ipotesi più favorevole di una sacca relativamente poco voluminosa, perfettamente pulita e senza fistole, sono possibili due soluzioni: o la tecnica detta di Clagett o il riempimento per mioplastica.
Tecnica di Clagett La tecnica di Clagett consiste nel realizzare la chiusura diretta della sacca di toracostomia per avvicinamento diretto dei margini cutanei dopo la loro dissecazione dalla pachipleurite. La sutura EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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di questi margini deve essere impermeabile e si esegue su due piani: il piano profondo sottocutaneo è suturato in sopraggitto con filo riassorbibile e il piano cutaneo è chiuso a punti staccati. La chiusura del piano sottocutaneo si fa dopo aver riempito completamente la cavità residua con una soluzione antibiotica. Inizialmente, Clagett aveva suggerito l’utilizzo di una soluzione contenente neomicina, antibiotico ad ampio spettro [20] . Sembra preferibile che questa scelta si faccia oggi tenendo conto dei prelievi batteriologici realizzati nelle 48 ore che precedono la chiusura. Nell’esperienza della Mayo Cinic, la chiusura secondo la tecnica di Clagett è realizzata dopo una toracostomia semplice nei pazienti con piotorace non fistolizzato e dopo una toracostomia associata a una mioplastica nei pazienti portatori di piotorace fistolizzato. La soluzione antibiotica utilizzata associa neomicina (500 mg/l), polymyxina B (100 mg/l) e gentamicina (80 mg/l). Questi autori hanno riscontrato un tasso di successo della chiusura
Figura 4. Toracoplastica secondo Andrews: apertura della pachipleurite dopo la resezione costale.
Figura 5.
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dell’89,5% (68/74), senza morbilità notevole legata alla procedura di chiusura; i sei pazienti in cui il piotorace è recidivato sono stati trattati con ripetizione della toracostomia e cure locali per una durata indeterminata; non è stata osservata alcuna chiusura spontanea [17] . La tecnica di Clagett, seducente per la sua semplicità e la sua minore aggressività, espone, tuttavia, a un rischio non trascurabile di recidiva, che spinge molte equipe a non usarla in linea di principio e a preferire una tecnica di riempimento anche in caso di sacca poco voluminosa.
Riempimento mediante mioplastica Nell’ipotesi meno favorevole di una sacca di pneumonectomia più voluminosa ma senza fistola pleurica, la chiusura diretta con la tecnica di Clagett non è raccomandata, essendo probabilmente preferibile il suo riempimento [10] . Questo può avvenire con una mioplastica oppure con un’epiploonplastica. Se la sacca resta molto voluminosa, e soprattutto in caso di fistola bronchiale persistente, è spesso necessaria una tappa intermedia di riduzione di volume mediante toracoplastica [10] , come descritto in precedenza. La scelta del muscolo da utilizzare per eseguire il riempimento della sacca è in funzione dei muscoli disponibili, della sede e del volume della sacca. Dopo una pneumonectomia realizzata mediante toracotomia posterolaterale, il muscolo gran dentato è di regola integro, soprattutto si è avuta cura di risparmiarlo in occasione della toracostomia. Se la pneumonectomia è stata realizzata con un accesso laterale o anterolaterale, è, invece, integro il muscolo gran dorsale, il che rappresenta una situazione ideale, tenuto conto della capacità di questo muscolo di colmare una sacca anche voluminosa. Sul piano tecnico, il riempimento mediante mioplastica è realizzato dopo la preparazione del lembo muscolare sul suo peduncolo vascolare principale. I margini della toracostomia sono dissecati dalla pachipleurite sottostante e l’incisione, se necessario, è prolungata, in modo da realizzare la preparazione del lembo muscolare attraverso la stessa via di accesso. Per quanto riguarda il muscolo gran dentato, il lembo corrispondente è preparato sul suo peduncolo principale, disinserendo delle inserzioni costali e scapolari. Il muscolo è, dunque, posto nella sacca di pneumonectomia attraverso la toracostomia stessa
Schema della toracoplastica secondo Andrews.
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o attraverso uno spazio intercostale craniale ad essa, idealmente il terzo, se questo non fa già parte della toracostomia. Dopo il riempimento mediante mioplastica, la chiusura diretta dei margini cutanei della mioplastica è possibile nella quasi totalità dei casi. Nello studio di Massera et al., su 12 pazienti trattati con mioplastica di riempimento di una toracostomia, il tasso di successo è stato dell’83% (10/12), con un decesso postoperatorio e una recidiva del piotorace curata con toracostomia definitiva [21] . Nella casistica di Régnard et al., su 23 riempimenti dopo toracostomia per piotorace postpneumonectomia, il tasso di successo, in termini di controllo definitivo dell’infezione, è stato dell’87%, ma un complemento di mioplastica e una toracoplastica seguita da una epiploonplastica sono stati necessari per due pazienti e un paziente rispettivamente, a causa della recidiva del piotorace [10] . Al momento della trasposizione muscolare, può essere realizzata un’ulteriore resezione costale attraverso la stessa via di accesso, in modo da ridurre il volume della sacca e da realizzare quella che è definita, a volte, una toraco-mioplastica. Nell’esperienza di Garcia-Yuste [16] , questo approccio era associato a un tasso di successo dell’82,35% (14/17) e a un tasso di decesso postoperatorio del 5,8%.
Chiusura dopo toracoplastica post-toracostomia Come ricordato in precedenza, la toracoplastica può rappresentare una tappa preliminare alla chiusura di una sacca di toracostomia mediante mioplastica. Questa tappa è da prendere in considerazione ogni volta che il tessuto disponibile per il riempimento è di quantità insufficiente, tenuto conto del volume della sacca. Una toracoplastica può permettere di ottenere una riduzione di volume della sacca spesso notevole, permettendo di chiudere molto più facilmente la sacca residua per riempimento. Esistono dei casi in cui il collasso della sacca dopo toracoplastica è tale che il riempimento diviene inutile e la chiusura della sacca residua si fa progressivamente per granulazione delle pareti e riempimento spontaneo.
Epiploonplastica Il riempimento di una sacca di toracostomia dopo pneumonectomia può avvenire anche attraverso un’epiploonplastica. Questa tecnica è utilizzabile se il volume della sacca è tale da far considerare inadeguata una semplice mioplastica oppure in assenza di muscoli di qualità sufficiente per la realizzazione della mioplastica. L’epiploonplastica può essere realizzata in modo isolato o essere associata a una mioplastica. Malgrado ciò, per le sacche molto ampie, una toracoplastica è probabilmente preferibile a un riempimento mediante doppia trasposizione di muscolo ed epiploon. La preparazione dell’epiploon si esegue attraverso una breve laparotomia sopraombelicale. Si utilizza il peduncolo gastroepiploico del lato del riempimento da realizzare, mentre l’altro peduncolo è sezionato per permettere una mobilità massimale. La trasposizione nel torace si esegue attraverso una frenotomia. L’epiploon, una volta trasposto nel torace, è ancorato ai margini della cavità di toracostomia e, in particolare, al tessuto peribronchiale in caso di fistola persistente [22] . L’epiploonplastica può rappresentare, in realtà, una buona indicazione in caso di fistola bronchiale persistente, in quanto le proprietà proangiogeniche e favorenti la cicatrizzazione dell’epiploon ne fanno il tessuto ideale in queste situazioni [22] .
Problemi specifici delle fistole bronchiali dopo pneumonectomia La fistola broncopleurica è all’origine di problemi specifici la cui gestione può essere particolarmente complessa e può essere concepita solo in stretta collaborazione tra chirurgo, rianimatore, pneumologo e anestesista.
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Perdite aeree La sintomatologia di una fistola bronchiale dopo pneumonectomia può essere estremamente variabile, si tratta, tuttavia, di una condizione potenzialmente molto grave, poiché la sua ripercussione sulle condizioni respiratorie, anche quando essa è minima, deve far temere un’evoluzione grave, perfino drammatica, che può mettere in gioco la prognosi vitale immediata. Fin dal momento in cui è posta la diagnosi, il drenaggio percutaneo è la misura terapeutica da realizzare in urgenza, al fine di evitare il pericolo vitale di un’inondazione del polmone controlaterale, se la fistola è ampia. Malgrado il drenaggio, l’ossigenoterapia e la terapia antibiotica iniziati tempestivamente, insorge un’insufficienza respiratoria, che può secondariamente completarsi con un’insufficienza multiorgano, in una percentuale non trascurabile di casi, obbligando a ricorrere a una ventilazione meccanica. La necessità di una ventilazione meccanica è un fattore di gravità, spesso responsabile dell’ampliamento della fistola entro alcuni giorni. Una fistola broncopleurica di grosso calibro, che lo sia immediatamente o per allargamento progressivo di una piccola fistola, è all’origine, in un paziente in ventilazione meccanica, di perdite aeree importanti che, per l’iperpressione endotoracica generata malgrado un drenaggio efficace, potranno diffondersi nella parete toracica. L’aria parietale così creata e mantenuta può arrivare a una distensione aerea parieto-toracica talvolta impressionante, che, tuttavia, non partecipa all’alterazione delle funzioni respiratoria e cardiaca e che può, ad ogni modo, essere rapidamente migliorata grazie al drenaggio percutaneo. Al contrario, le perdite aeree possono essere responsabili di difficoltà ventilatorie importanti, rendendo, allora, il paziente quasi «inventilabile», come testimoniano sul piano emogasanalitico un’ipossiemia e un’ipercapnia marcate o, anche, refrattarie, responsabili, a loro volta, di complicanze viscerali per anossia e che possono portare alla morte del paziente. In queste condizioni, allo stesso tempo di grande instabilità e urgenza, è indispensabile un’apparecchiatura della fistola per permettere la sopravvivenza del paziente nell’immediato. Il posizionamento di una sonda di ventilazione selettiva senza sperone (Bronco-Cath® sinistro in caso di pneumonectomia destra e Bronco-Cath® destro in caso di pneumonectomia sinistra) può spesso permettere, shuntando (oltrepassando o scavalcando) la fistola e ventilando selettivamente il polmone residuo, di superare un ostacolo tanto più difficile quando una sindrome di distress respiratorio acuto (SDRA) per polmonite controlaterale rende ancora più complessa la gestione di un polmone inventilabile a causa delle perdite aeree. È certo che il mantenimento di una sonda di ventilazione selettiva oltre le 24-48 ore è difficile, da una parte a causa dei frequenti spostamenti della sonda e, dall’altra, poiché queste sonde i cui manicotti non sono a bassa pressione possono finire per estendere l’ischemia a tutta la regione della carena e al bronco principale controlaterale. L’intubazione con una sonda tracheale molto lunga (o, meglio, con una sonda tracheale standard introdotta attraverso una tracheotomia) in modo da intubare selettivamente il bronco principale controlaterale alla pneumonectomia può rappresentare un trattamento di salvataggio momentaneamente efficace. L’intubazione e la ventilazione selettiva del bronco principale sinistro presentano, forse, meno difficoltà che a destra. In effetti, dato che il bronco principale destro è più breve, la sua intubazione con una sonda tracheale provoca ineluttabilmente l’occlusione dell’orifizio del bronco lobare superiore destro e il paziente può essere ventilato solo sul bilobare inferiore. È, quindi, evidente che l’apparecchiatura di una fistola mediante una sonda di intubazione può rappresentare solo una tappa intermedia di breve durata, prima che sia ottenuto il controllo ventilatorio con altre tecniche chirurgiche o, in casi molto particolari, di una broncoscopia interventistica, con il posizionamento di una protesi. La comparsa di una fistola bronchiale molto precoce (prima del 4o -5o giorno postoperatorio dalla pneumonectomia) deve far ipotizzare che essa possa derivare da un errore tecnico. In queste condizioni, può essere presa in considerazione la ripresa chirurgica EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
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mediante toracotomia, sutura bronchiale ripetuta e mioplastica. Nei casi, molto più frequenti, in cui la fistola compare più tardivamente, la sua origine ischemica sembra fortemente probabile e la risutura bronchiale non sembra giustificata. In queste situazioni può essere discussa una toracostomia. La questione se realizzare, al momento di questa toracostomia, una mioplastica per chiusura della fistola si presta a una discussione. In questi pazienti estremamente fragili, essa è, in genere, sconsigliata, e può essere proposto solo un tentativo di chiusura della fistola con alcuni punti staccati. I gesti di dissecazione del moncone bronchiale e dei monconi vascolari sono spesso inutili e pericolosi, tenuto conto, d’altronde, della fragilità di tali suture in queste condizioni di vitalità tissutale così precaria. Questa sutura, anche se sommaria, può, talvolta, permettere di ottenere una tenuta stagna, anche relativa e temporanea, del bronco, mentre il paziente richiede ancora una ventilazione meccanica con delle pressioni a volte elevate. Una volta realizzata la toracostomia, il problema delle perdite aeree attraverso il moncone bronchiale può essere gestito, a volte con difficoltà, mediante medicazioni con dei teli imbevuti di vaselina che possono essere abbastanza compressivi da ottenere un grado di impermeabilità sufficiente, senza, per questo, essere responsabili di una compressione mediastinica pericolosa. La prognosi del paziente è in funzione dell’evoluzione della SDRA controlaterale e delle eventuali insufficienze viscerali associate. Se questo momento difficile può essere superato, la gestione successiva avviene come descritto in precedenza.
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Fistole broncovascolari Si tratta di un problema molto raro ma, in genere, drammatico. La sepsi locale legata alla fistola può complicarsi con l’erosione del moncone arterioso, soprattutto se la fistola è globalmente poco sintomatica e se l’infezione locale non è rapidamente diagnosticata e trattata. L’ideale sarebbe, di fronte a un episodio di emottisi inesplicata, che l’esame con fibroscopia bronchiale rilevasse, a partire dalla fistola, la fuoriuscita di sangue attraverso il moncone, poiché una diagnosi precoce è quasi l’unico mezzo che permette un reintervento in urgenza e la sopravvivenza del paziente. Sfortunatamente, la fistola bronco-vascolare conduce, nella maggior parte dei casi, a un’emottisi catastrofica rapidamente letale. Il decesso sopraggiunge in un quadro di annegamento del polmone residuo e le misure rianimatorie si rivelano, in genere, inefficaci. Solo un’intubazione selettiva in un contesto di estrema urgenza potrebbe permettere di proteggere il polmone controlaterale dall’inondazione letale e di assicurare un’emostasi temporanea, in modo da trasferire il paziente in sala operatoria per un intervento di salvataggio. Il trattamento chirurgico delle fistole broncovascolari dopo pneumonectomia è realizzato mediante sternotomia, poiché i gesti di dissecazione e di controllo vascolare nel tessuto cicatriziale della toracotomia sono aleatori o, addirittura, impossibili. Dopo sternotomia e apertura del pericardio, il moncone dell’arteria polmonare del lato operato è dissecato, clampato e suturato a monte dell’ulcerazione; se il moncone è abbastanza lungo, una sezione-sutura su pinza TA vascolare può rappresentare un’alternativa. La sezione del legamento arterioso può essere indispensabile per la dissecazione e il controllo del moncone sul lato sinistro. Nei limiti del possibile, il moncone arterioso deve essere protetto con un lembo di tessuto vitale. Per questa via di accesso, la sezione-sutura iterativa di un moncone bronchiale lungo può essere realizzata secondo la tecnica di Abruzzini (cfr. infra).
Fistole bronchiali croniche con moncone lungo Dopo il controllo della fase acuta attraverso tutte le metodiche descritte nei paragrafi precedenti, ci si può trovare di fronte a due situazioni: o si osserva un’evoluzione della fistola verso la chiusura progressiva che si accompagna alla retrazione della sacca, e, così, l’evoluzione definitiva sarà favorevole, oppure si assiste alla persistenza della fistola, con una sacca che rimarrà voluminosa. EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
Figura 6. Accesso anteriore transpericardico delle fistole croniche. 1. Arteria polmonare destra; 2. vena cava superiore; 3. atrio destro; 4. aorta; 5. atrio sinistro; 6. ventricolo destro.
Esistono dei casi, sempre più rari oggi, dove il moncone bronchiale, specialmente dopo la pneumonectomia sinistra, è lungo. In queste situazioni, una sua nuova sezione prossimale e la sua sutura sono possibili con una via di accesso diversa. Sono state descritte due vie di accesso, una posteriore secondo Perelman [23] e l’altra anteriore secondo Abruzzini [24] . I vantaggi dell’accesso di Perelman e di quello di Abruzzini sono rappresentati dalla possibilità di realizzare dei gesti di dissecazione in territori «vergini» e una sezione bronchiale ripetuta più prossimale, nel territorio teoricamente vascolarizzato meglio. I gesti di dissecazione e, in particolare, a contatto con il moncone bronchiale, devono essere considerati difficili, in quanto delle alterazioni infiammatorie secondarie al piotorace cronico si diffondono oltre i limiti della cavità pleurica, sul versante mediastinico. La tecnica di Perelman, destinata alle fistole bronchiali sinistre, prevede la dissecazione dell’origine del bronco principale sinistro attraverso una toracotomia destra. Realizzata questa, la pleura mediastinica posteriore è incisa, la porzione terminale della trachea e la regione della carena sono esposte, dopo la sezione dell’arco della vena azygos, e l’origine del bronco principale sinistro è dissecata e caricata su lacci. È, quindi, possibile realizzarne la sezione su una cucitrice lineare tipo TA, con sutura a punti staccati in filo riassorbibile del moncone del segmento distale. Questa tecnica è, ormai, utilizzata pochissimo. L’accesso anteriore secondo Abruzzini è un accesso transsternale e transpericardico utilizzabile indifferentemente per le fistole destre e sinistre. Questa tecnica prevede, dopo una sternotomia longitudinale mediana, un’incisione longitudinale del pericardio e il caricamento su lacci dell’aorta ascendente. Lo spostamento di questa verso sinistra e l’incisione longitudinale del pericardio posteriore consentono di esporre la regione della biforcazione tracheale. Può, così, essere realizzata la dissecazione prossimale del moncone del bronco fistolizzato, e la sezionesutura iterativa del bronco si esegue con una pinza automatica tipo TA, con una sezione distale e la sutura del segmento bronchiale distale a punti staccati in monofilamento riassorbibile (Figg. 6, 7).
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La tecnica di Abruzzini è stata studiata in diverse serie limitate; sono disponibili poche casistiche importanti. Nell’esperienza di Ginsberg et al. su 13 casi [25] , il tasso di successo era del 76,9% (10/13), senza mortalità. Nello studio più recente pubblicato da Brutel de la Riviere nel 1997 [26] , 55 pazienti erano stati trattati con la tecnica di Abruzzini (o con le sue varianti) tra il 1974 e il 1995. In 52 pazienti, la chirurgia era stata indicata per una fistola cronica, mentre, nei restanti tre, era realizzata in urgenza per una fistola bronco-vascolare. In questa esperienza, la mortalità a 30 giorni era del 5,4% (3 pazienti) e il tasso di complicanze era quantitativamente e qualitativamente molto importante (tra l’altro, il 25% di insufficienza respiratoria postoperatoria). Anche il tasso di recidiva della fistola era non trascurabile: sei pazienti (10,9%) avevano presentato un’«ampia» riapertura del moncone bronchiale (ed erano tutti deceduti in seguito) e sette pazienti (12,7%) avevano presentato una riapertura valutata minima del moncone bronchiale (con il successivo decesso). Questi risultati mostrano che questa tecnica, benché sembri teoricamente seducente, è incontestabilmente gravosa e invasiva e associata a un tasso di morbimortalità particolarmente elevato. Una variante mini-invasiva della tecnica di Abruzzini è costituita dalla sezione-sutura di un moncone bronchiale sinistro molto lungo attraverso un accesso transcervicale in videomediastinoscopia [27, 28] . Benché l’esperienza di questa tecnica sia
Figura 7. Sutura di una fistola cronica del bronco principale destro con accesso anteriore transpericardico.
Toracostomia
Cure locali
Cavità pulita, condizioni cliniche stabilizzate
Fistola
Cavità non pulita
Assenza di fistola
Eventualmente considerare la tecnica di Abruzzini se moncone molto lungo e fistola completa ± ipersecernente
Sacca voluminosa (+ frequente se fistola)
Sacca non molto voluminosa
Toracoplastica per collasso
Mioplastica di riempimento (epiploonplastica o toracoplastica se muscolo insufficiente)
Proseguimento delle cure locali
Aumentare il ritmo delle medicazioni ± antibioticoterapia sistemica
Cavità pulita
Proseguimento delle cure locali
Chiusura spontanea della toracostomia
Sì
No
Mioplastica di riempimento Figura 8.
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Algoritmo decisionale. Strategia proposta per la gestione dei piotoraci in fase cronica.
EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
Trattamento chirurgico delle complicanze settiche dopo pneumonectomia I – 42-435
Sospetto di piotorace e/o di fistola
Puntura evacuativa della cavità
Se un dubbio si ripresenta
Liquido non purulento e assenza di germi (diretto + coltura)
Liquido purulento oppure microrganismi (diretto o coltura)
Fibroscopia bronchiale
Fistola
Assenza di fistola Se un dubbio si ripresenta Monitoraggio
Diagnosi di piotorace, con o senza fistola
Monitoraggio
Drenaggio percutaneo in urgenza
Piotorace con fistola precoce (<3 die)
Ripresa chirurgica (sutura reiterata + mioplastica)
Piotorace più tardivo
Con fistola
Senza fistola
Cavità vuota
Cavità sepimentata
Stabilizzazione
Drenaggio-lavaggio
Sbrigliamento Prelievi negativi
Prelievi positivi
Drenaggio-lavaggio Dedrenaggio
Figura 9.
Prelievo negativo
Toracostomia
Dedrenaggio
Algoritmo decisionale. Strategia proposta per la gestione dei piotoraci in fase acuta.
ristretta, i suoi vantaggi nella riduzione della via di accesso e i suoi limiti nella ristrettezza del campo operatorio meritano di essere valutati meglio e dovrebbero spingere a riflettere su questa opzione ogni volta che si presenta il problema di un moncone eccessivamente lungo. Che si utilizzi la tecnica di Abruzzini o quella di Perelman, le cure locali della cavità di pneumonectomia dovranno proseguire. La chiusura della fistola bronchiale induce una detersione più rapida e una retrazione progressiva della cavità che può permettere la sua chiusura in maniera definitiva, in genere più rapida. La realizzazione delle tecniche di Abruzzini o di Perelman richiede un moncone bronchiale residuo di una lunghezza sufficiente, valutata in genere pari a 1-1,5 cm.
EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
Prelievo positivo
Fibroscopia e broncoscopia interventistica Benché questo capitolo sia dedicato al trattamento chirurgico delle complicanze settiche dopo la pneumonectomia, l’utilizzo delle tecniche broncoscopiche nella gestione delle fistole non può essere completamente trascurato, tanto più che la letteratura recente presenta un numero importante di articoli sul soggetto. Un’esauriente rassegna della letteratura su questo soggetto è stata recentemente pubblicata da West et al. [29] : è stato sottolineato che la stragrande maggioranza degli studi riguarda delle casistiche estremamente limitate di pazienti. Le varie tecniche di trattamento endoscopico possono essere raggruppate in tre categorie:
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I – 42-435 Trattamento chirurgico delle complicanze settiche dopo pneumonectomia
• posizionamento di protesi tracheobronchiali (nella maggior parte dei casi delle protesi a Y invertita, con la branca che corrisponde al moncone bronchiale tagliata corta e chiusa); • incollatura (colla di fibrina, colle acriliche) o posizionamento di un tappo di altra natura (osso); • induzione di tessuto di granulazione (laser Nd:Yag, nitrato d’argento e iniezione sottomucosa di prodotti sclerosanti come il polidocanolo). Nella grande maggioranza degli studi era posizionato un drenaggio intercostale, con il possibile uso associato dell’irrigazionelavaggio. Nella serie di Han et al. [30] , su cinque pazienti portatori di fistola postpneumonectomia, la protesi era stata efficace nell’80% dei casi (4/5) e la procedura non aveva generato complicanze gravi. L’iniezione sottomucosa di polidocanolo, anch’essa molto ben tollerata, è stata valutata in una serie di 19 fistole postpneumonectomia [31] , con un tasso di successo del 57,8% (11/19). D’altra parte, l’incollatura con colla di fibrina (endoluminale oppure iniettata in sede sottomucosa per le fistole di calibro superiore ai 3 mm) è stata studiata in un’importante casistica di 25 fistole postpneumonectomia, di calibro inferiore a 8 mm (le fistole più importanti erano escluse e, generalmente, trattate da questa equipe mediante toracostomia). Il tasso di successo (guarigione della fistola e del piotorace) era del 20% (5/25), mentre la chiusura della fistola con persistenza del piotorace è stata osservata in 7/25 e la persistenza della fistola e del piotorace in altri sette pazienti. Gli ultimi sei pazienti erano morti per cause legate alla fistola (5/6) o per problemi intercorrenti (1/6) [32] . Per terminare, nella serie di Kiriyama et al. [33] , riguardo al trattamento con laser delle fistole di meno di 2 mm, tutte le sei fistole postpneumonectomia si erano potute chiudere inizialmente, ma una recidiva della fistola era comparsa in quattro pazienti su sei 3-12 giorni più tardi. Globalmente, la casistica complessiva di West et al. [29] su 90 pazienti trattati con diverse tecniche endoscopiche per una fistola bronchiale (post-pneumonectomia in 85 casi su 90) e inclusa in cinque serie retrospettive ha mostrato una mortalità del 39,6%; tra gli 85 pazienti con fistola post-pneumonectomia, il trattamento era stato efficace sulla fistola e sul piotorace solo nel 30,1% dei pazienti.
retrospettivi e basati su casistiche spesso limitate e non permettono di fare nessun confronto. D’altronde, è probabile che i pazienti inclusi nei vari studi siano fondamentalmente differenti in termini di comorbilità e di gravità del quadro clinico: mentre alcuni studi riguardano la gestione dei pazienti dopo la stabilizzazione del quadro clinico iniziale (che è spesso gravissimo), altri studiano i malati alla comparsa del piotorace. È, quindi, evidente che la gestione di questi pazienti deve essere multidisciplinare e adattata all’esperienza del centro e, soprattutto, alle caratteristiche di ogni paziente. Benché non possa essere raccomandata nessuna schematizzazione rigida, in quanto ogni situazione può richiedere delle modificazioni delle gestioni abituali, sono proposti due diagrammi che riassumono la gestione realizzata dalle nostre equipe (Figg. 8, 9).
Ringraziamenti: L’autore ringrazia vivamente la Signora Dominique Wiart, la Signora Dominique Hervault e il Signor Lionel Poursac per la loro preziosa assistenza tecnica.
Riferimenti bibliografici [1]
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Conclusioni La moltitudine delle tecniche chirurgiche che sono state sviluppate, nel corso del tempo, per la gestione delle complicanze settiche dopo pneumonectomia testimonia la difficoltà nel trattamento di questi pazienti, poiché nessuna tecnica ha dimostrato la sua superiorità. Tutti gli studi disponibili sono non controllati,
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“ Punti importanti • Complicanze gravi • Gestione difficile • Gestione multidisciplinare • Piotorace fistolizzato o non fistolizzato • Fistola = piotorace • Pensare prioritariamente alla protezione del polmone controlaterale • Drenaggio percutaneo: misura di salvataggio in urgenza • Toracostomia: operazione ben tollerata, talvolta psicologicamente difficile da accettare, ma controllo ottimale della sepsi e ritorno rapido al domicilio • Toracoplastica: ormai ben tollerata nei pazienti selezionati e cosmeticamente accettabile. Riduzione significativa del volume della sacca di pneumonectomia, spesso tappa preliminare molto utile o indispensabile prima della chiusura di una toracostomia mediante mioplastica
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[email protected]). Service de chirurgie thoracique, Hôtel-Dieu, AP-HP, 1, place du parvis-Notre-Dame, 75181 Paris cedex 04, France. J. Berjaud. M. Dahan. CHU Larrey, 24, chemin de Pouvourville, TSA 30030, 31059 Toulouse cedex 9, France. J.-F. Régnard. Service de chirurgie thoracique, Hôtel-Dieu, AP-HP, 1, place du parvis-Notre-Dame, 75181 Paris cedex 04, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Alifano M, Berjaud J, Dahan M, Régnard JF. Trattamento chirurgico delle complicanze settiche dopo pneumonectomia. EMC - Tecniche chirurgiche - Torace 2012;16(1):1-15 [Articolo I – 42-435].
Disponibile su www.em-consulte.com/it Algoritmi decisionali
Iconografia supplementare
EMC - Tecniche chirurgiche - Torace
Videoanimazioni
Documenti legali
Informazioni per il paziente
Informazioni supplementari
Autovalutazione
Caso clinico
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