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Chirurgia del colangiocarcinoma intraepatico e peri-ilare N. Golse, E. Vibert Il termine colangiocarcinoma rappresenta un gruppo eterogeneo di tumori epiteliali primitivi delle vie biliari con prognosi sfavorevole. Si distinguono i colangiocarcinomi intraepatici, peri-ilari e quelli della via biliare principale (non affrontati in questo articolo). Si tratta di patologie rare, la cui incidenza varia da paese a paese, colpendo principalmente gli anziani, con una discreta predominanza nel sesso maschile. Il colangiocarcinoma intraepatico è spesso voluminoso alla diagnosi, scoperto su una sindrome di massa e/o su un’alterazione delle condizioni generali di salute. Il colangiocarcinoma peri-ilare è meno voluminoso e scoperto su ittero nudo da ostruzione della convergenza biliare. La diagnosi di colangiocarcinoma è evocata con gli esami strumentali per la presenza di un tumore ipervascolare, retrattile, che coinvolge i vasi sanguigni senza ostruirli. Difficili da ottenere per il colangiocarcinoma peri-ilare, alcune informazioni istologiche sul fegato non tumorale e tumorale sono desiderabili per il colangiocarcinoma intraepatico, al fine di identificare un’epatopatia cronica e di eliminare una diagnosi differenziale. La gestione deve essere realizzata in un ambiente specializzato, non appena viene effettuata la diagnosi, prima di qualsiasi drenaggio. Il trattamento chirurgico, praticabile in meno del 40% dei casi, è l’unico trattamento curativo in presenza di margini sani e in assenza di estensione linfonodale. Questo gesto di solito comporta un’epatectomia maggiore e sempre una resezione della convergenza biliare nelle forme peri-ilari, spesso preceduta da un drenaggio biliare e/o da un’embolizzazione portale. I principali studi chirurgici riportano una sopravvivenza del 30-40% a cinque anni. La mortalità postoperatoria è passata dall’8% al 10% e questi scarsi risultati sono dovuti all’estensione linfonodale, a noduli satelliti o all’invasione vascolare. Il trapianto epatico, preceduto dalla radiochemioterapia, è il trattamento standard per il colangiocarcinoma peri-ilare inferiore a 3 cm non operabile. Negli altri casi, e in assenza di possibilità chirurgica, la chemioterapia con gemcitabina e cisplatino è il trattamento di riferimento. © 2019 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.
Parole chiave: Colangiocarcinoma intraepatico; Colangiocarcinoma peri-ilare; Resezione chirurgica; Trapianto di fegato; Sopravvivenza; Fattore prognostico
Struttura dell’articolo
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Introduzione
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Epidemiologia
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Definizioni anatomiche e patologiche Classificazione anatomica dei colangiocarcinomi Classificazione anatomopatologica dei colangiocarcinomi
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Fattori di rischio
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Marker tumorali
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Ruolo della biopsia
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Meccanismi della carcinogenesi
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EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale Volume 25 > n◦ 1 > marzo 2019 http://dx.doi.org/10.1016/S1283-0798(19)41603-3
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Colangiocarcinoma intraepatico Classificazione Presentazione clinica Diagnostica per immagini Tipi di estensione Fattori prognostici Avvertimenti prima del trattamento chirurgico curativo Regole oncologiche Tecnica chirurgica Risultati del trattamento curativo Ruolo del trapianto di fegato Ruolo degli altri trattamenti locoregionali Epato-colangio-carcinoma
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I – 40-970-B Chirurgia del colangiocarcinoma intraepatico e peri-ilare ■
Colangiocarcinoma peri-ilare Richiami anatomici Classificazioni Presentazione clinica Presentazione biologica Tipi di estensione Diagnostica per immagini Preparazione prima dell’epatectomia Trattamento chirurgico curativo Risultati del trattamento chirurgico Trattamento medico adiuvante Ruolo del trapianto epatico
6 6 6 7 7 7 7 8 8 10 10 11
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Trattamento medico dei CK intraepatici e peri-ilari
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Conclusioni
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Introduzione Secondo le raccomandazioni dell’European Association for the Study of the Liver (EASL), la nomenclatura da utilizzare è colangiocarcinoma intraepatico (CKi), colangiocarcinoma peri-ilare (CKp) e colangiocarcinoma distale (CKd) [1] . I termini di tumore di Klatskin e CK extraepatici devono essere evitati, perché sono fonte di confusione [2] . Escludiamo da questo articolo il cancro alla cistifellea e i CKd. Il CK è stato descritto per la prima volta da Durand-Fardel nel 1840, ma è rimasto a lungo sconosciuto, passando in secondo piano rispetto al carcinoma epatocellulare (HCC). Tuttavia, la crescente incidenza del CK ha portato a un rinnovato interesse da parte della comunità medicochirurgica [3] . Se la complessità di questa patologia è accettata all’unanimità, la migliore definizione delle diverse forme e dei suoi fattori di rischio nonché la pubblicazione di consensi recenti permettono, ormai, di omogeneizzare le pratiche.
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Figura 1. Differenti localizzazioni anatomiche del colangiocarcinoma. 1. Colangiocarcinoma (CK) intraepatico (precedentemente periferico); 2. CK peri-ilare; 3. CK distale; 4. CK anticamente chiamato extraepatico.
Epidemiologia I CK sono dei tumori maligni rari, con un’incidenza in Francia da 1 a 2/100 000 (2 000 nuovi casi all’anno), cioè il 3% dei cancri gastrointestinali [4] . A titolo di confronto, si recensiscono 8 000 nuovi casi di HCC all’anno in Francia [5] . I CK rappresentano il 10-15% dei cancri primitivi del fegato, ma solo lo 0,5-1% dei tumori. Il picco di incidenza si colloca intorno ai 70 anni, con una discreta predominanza nel sesso maschile (rapporto maschi/femmine tra 1,2 e 1,5) [6] . L’incidenza dei CKi è in aumento, ma varia in base all’area geografica, raggiungendo un massimo di 6 nuovi casi per 100 000 abitanti all’anno in Tailandia [3, 7] . Nei paesi occidentali, l’incidenza dei CKi è compresa tra 0,5 e 2,2/100 000 abitanti [1] ed è aumentata negli ultimi decenni, mentre l’incidenza del CKd e del cancro vescicolare è diminuita del 30-50% [8] . Se l’incidenza complessiva dei CK extrapatici sembra diminuire, questo è probabilmente secondario alla diminuzione del carcinoma vescicolare, mentre l’incidenza dei CKp sembra aumentare [4] , come confermato dal rapporto dell’Associazione francese di chirurgia (AFC) nel 2009 (incidenza × 2 tra il 1998 e il 2008).
Definizioni anatomiche e patologiche Classificazione anatomica dei colangiocarcinomi Il CK può svilupparsi a scapito di qualsiasi parte dell’albero biliare (Fig. 1): • i CKi, tumori sviluppati a partire dalla seconda segmentazione dei dotti biliari, rappresentano il 20-25% dei CK; • i CKp rappresentano il 60-70% dei CK e si situano a livello della convergenza biliare superiore;
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Figura 2. Diverse forme macroscopiche di colangiocarcinoma. 1. Nodulare; 2. infiltrante pericanalare; 3. crescita intraduttale.
• i CKd interessano la via biliare principale (VBP) sotto la confluenza biliare inferiore.
Classificazione anatomopatologica dei colangiocarcinomi (Fig. 2) I CK sono quasi esclusivamente adenocarcinomi sviluppati a partire da cellule epiteliali biliari. La classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) 2010 distingue tre entità: il CK, il tumore papillare intraduttale con carcinoma infiltrante e il tumore cistico mucinoso con carcinoma infiltrante, non descritto qui.
CK Le cellule biliari che possono trasformarsi sono di diversi tipi: cellule cilindriche mucosecernenti che circondano i dotti biliari intraepatici di grosso calibro, cellule staminali/progenitrici delle ghiandole peribiliari annesse a questi canali, cellule cubiche non mucosecernenti dei canali biliari di piccolo calibro e cellule totipotenti/progenitrici dei canali di Hering. Schematicamente, è possibile distinguere tre categorie di CK: • il CK sviluppato a partire dai dotti biliari intraepatici di grande calibro (canali settoriali, segmentari o peri-ilari). Questo tipo di CK si presenta, solitamente, su un fegato sano e può essere nodulare (mass-forming type) o infiltrante pericanale EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
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(periductal infiltrating type). L’architettura del tumore è ghiandolare e/o papillare, con un abbondante stroma fibroso. Le cellule tumorali sono cilindriche e mucosecernenti. Questi CK sono caratterizzati dall’espressione di S100P e da un’alta frequenza di mutazioni di K-Ras; • il CK si sviluppa a partire dai canali biliari periferici di piccolo calibro (canali interlobulari). Sono dei CK di sede periferica, nodulari (mass-forming), a volte multipli. Questa è la forma più comune di CKi. Questi CK si verificano su un fegato patologico, nel 35% dei casi. L’architettura del tumore consiste in setti, tubuli e ghiandole tortuose. La densità cellulare è importante alla periferia del tumore, con un’organizzazione trabecolare e un’iperarterializzazione. Il centro è fibroso, con tortuose ghiandole tumorali sparse, e spesso include degli spazi portali settati. Le cellule tumorali sono cilindriche o cubiche, molto raramente mucosecernenti. Questo tipo di CKi è vicino ai CKp per il suo aspetto morfologico e per la sua estensione intralinfatica e perineurale. Questi CK sono caratterizzati dall’espressione di NCAM, dalla sovraespressione di VEGF-A e dalla presenza di mutazioni dell’isocitrato deidrogenasi 1 e 2; • i carcinomi colangiolocellulari. Questo sottotipo è uno dei tumori combinati “epato-colangio-carcinomi” che associano due distinti contingenti di HCC e CK. Altri tre sottotipi di epato-colangio-carcinoma che esprimono dei marcatori progenitori e che associano aspetti di differenziazione più o meno marcati in senso biliare e/o epatocellulare sono stati descritti e approvati dalla classificazione OMS 2010 dei tumori del fegato: i sottotipi tipici, intermedi e colangiolocellulari. Il carcinoma colangiolocellulare deriverebbe dalle cellule totipotenti/progenitrici del fegato adulto localizzate nei dotti e nei canali di Hering. Macroscopicamente, si tratta di un tumore nodulare con carattere infiltrativo. A livello istologico, esiste una proliferazione di formazioni ghiandolari tortuose ductule-like all’interno di uno stroma fibroso. Le cellule tumorali sono cubiche e non mucosecernenti. I carcinomi colangiolocellulari sono più comunemente osservati in un contesto di epatopatia cronica. Possono, quindi, essere elencate le tre principali categorie di CK: CKp mucosecernente, CKi non mucosecernente e carcinoma colangiolocellulare.
Tumori papillari intracanalari con carcinoma invasivo Questo termine simmetrico rispetto a quello utilizzato per designare i tumori intraduttali del pancreas (intraductal papillary mucinous neoplasm of the pancreas) ricopre i nomi precedentemente utilizzati di papillomatosi biliare, colangiocarcinoma intraduttale, colangiocarcinoma papillare o colangiocarcinoma secernente muco. Queste lesioni, più frequentemente descritte in Asia, riguardano principalmente i dotti biliari extraepatici. Corrispondono a delle proliferazioni dell’architettura papillare intracanalare che riproducono diversi sottotipi: pancreaticobiliare (50-60%), intestinale (25-30%), gastrico oppure oncocitario. Queste proliferazioni sono caratterizzate da una crescita che rimane intraduttale per molto tempo, prima di dare origine a un carcinoma infiltrante di tipo tubulare o mucinoso. Solo i tumori con componente infiltrante sono classificati nei CK. I casi con displasia senza carcinoma infiltrante sono classificati come lesioni precursori.
Fattori di rischio I CKi sono favoriti da un’epatopatia nel 35% dei casi, cirrotica o meno, mentre i CKp sono favoriti da una colangiopatia nel 20% dei casi [9] . L’alcol è il secondo fattore di rischio più importante dopo l’epatite virale [10] . Anche obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica, alcol e fumo sono fattori di rischio [9] . Tuttavia, al momento non esiste alcuna raccomandazione per lo screening del CK nei pazienti a rischio. Qualsiasi aggressione epiteliale può essere procarcinogenica. Le anomalie della giunzione biliopancreatica, la malattia di Caroli, la litiasi intraepatica e le infezioni parassitarie sono fattori di EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
rischio ma sono riscontrate solo raramente. Anche la colangite sclerosante primitiva (CSP) e la colite ulcerosa sono fattori di rischio di CK (principalmente CKp), con un’incidenza dell’1,5% all’anno [11] . Nella maggior parte dei casi, il CK viene diagnosticato nei due anni successivi alla scoperta della patologia digestiva e si verifica in pazienti di età compresa tra i 30 e i 50 anni [12] . Il rischio di CK è aumentato in presenza di patologie infiammatorie intestinali associate [13] . Nel Sud-Est asiatico, il CK è associato alle infezioni parassitarie da Opistorchis viverrini e da Clonorchis sinensis, con un rischio relativo che va da 25 a 50. Le malattie cistiche congenite sono complicate da un CK nel 14% dei casi [14] tramite infiammazione biliare cronica (stasi) e reflusso pancreatico, in caso di anomalia della giunzione associata.
Marker tumorali Nessun marker è specifico per i carcinomi delle vie biliari. L’antigene carcinoembrionario (CEA), convenzionalmente dosato, può essere elevato nei casi di CK (20% dei casi) e fa, quindi, parte della valutazione iniziale. Tuttavia, è meno sensibile dell’antigene carboidratico 19-9 (CA 19-9), la cui sensibilità e la cui specificità sono pari a circa il 60%. Sono possibili dei falsi positivi in caso di colestasi o di colangite. Tuttavia, un livello molto alto (oltre 1 000 U/ml) deve far ricercare una malattia metastatica [15] . Esistono anche dei falsi negativi quando il paziente ha un antigene di Lewis negativo (7-10% della popolazione generale). Il CA 19-9 non è, quindi, un test diagnostico raccomandato, ma può essere interessante per il monitoraggio evolutivo. Anche il dosaggio dell’alfa-feto-proteina può essere eseguito alla ricerca di un HCC o di un tumore misto.
Ruolo della biopsia Si raccomanda la conferma istologica, in particolare in caso di forma non operabile, per iniziare la chemioterapia (CT). Questo esame, tuttavia, ha solo un valore positivo. La biopsia viene utilizzata per determinare il grado di differenziazione e di immunofenotipizzazione, che è CK7+ CK20–. Anche la ricerca di un contingente di epato-colangio-carcinoma (CK19+, EpCAM+, NCAM+) è utile. Nei pazienti operabili fin dall’inizio o nei quali viene considerato un trapianto di fegato (TF), non è richiesta l’evidenza istologica [1, 16] . Attualmente, la percentuale di lesioni benigne operate per sospetto CKp è pari a circa il 5% [17] . Se la biopsia può essere considerata per i CKi, la sua efficacia in termini di costo per i CKp è bassa e la diagnosi viene raramente ottenuta prima dell’intervento chirurgico. Quest’ultima può essere fatta nel corso di un brossage durante una colangiopancreatografia retrograda (CPRE), ma la sensibilità di questo esame è bassa, con una positività in un terzo dei casi. La combinazione del brossage con delle biopsie endoscopiche consente una diagnosi positiva nel 40-70% dei casi, ma un risultato negativo non esclude la diagnosi di CK. L’utilizzo dell’ibridazione fluorescente in situ alla ricerca di polisomia permette di aumentare significativamente la sensibilità. Se la biopsia non è stata eseguita o non è contributiva (adenocarcinoma non specificato), si raccomanda la ricerca di un tumore primitivo.
Meccanismi della carcinogenesi Le diverse fasi della carcinogenesi sono la colangite (iperplasia), la displasia, il carcinoma in situ e, poi, il carcinoma invasivo. Varie alterazioni genetiche sono coinvolte nei meccanismi di riparazione dell’acido desossiribonucleico (p53), nella stabilità dei telomeri, nella via di segnalazione WNT e della tirosina chinasi (KRAS, BRAF, SMAD4, FGFR2) e nelle modifiche epigenetiche [18] . Le modifiche più precoci sono la sovraespressione dei geni dell’infiammazione e dei recettori dei fattori di crescita, alcuni
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dei quali sono proto-oncogeni, come cMet, il recettore dell’HGF (hepatocyte growth factor) o c-erbB2, della famiglia dei recettori dell’EGF (epidermal growth factor) [19, 20] . L’IL-6 (interleuchina-6) è costitutivamente prodotta dalle cellule del CK e stimola in maniera autonoma le vie di sopravvivenza (p38). Successivamente, nella fase di carcinoma in situ, sono sovraespressi altri recettori, come l’EGFR (epidermal growth factor receptor), il recettore 1 dell’IGF e i recettori dell’estrogeno. In questa fase si verificano delle mutazioni di oncogeni come K-Ras, nonché inattivazioni genetiche ed epigenetiche dei geni oncosoppressori. In una fase successiva, la sovraespressione delle molecole di superficie favorisce la diffusione delle cellule tumorali. Questo segno molecolare non ha, al momento attuale, alcun impatto clinico [1] .
Tipi di estensione
Colangiocarcinoma intraepatico
Biliare
Classificazione Dalla settima edizione dell’AJCC/UICC (American Joint Committee on Cancer/Union for International Cancer Control), esiste una classificazione TNM (tumore, linfonodi, metastasi) specifica per i CKi, in base al numero di tumori, all’invasione vascolare e all’invasione degli organi e dei linfonodi adiacenti. Solo le linfoadenopatie regionali (ilari, peripancreatiche, periduodenali) sono valutate N+ e le altre a distanza M+ (lateroaortiche, inter-aorticocavali, del tronco celiaco e dell’arteria mesenterica superiore). Questa classificazione può essere solo postoperatoria e, quindi, non è di grande utilità preoperatoria [21] .
Vascolare Avviene in maniera infiltrativa, avvolgendo i peduncoli venosi, soprattutto portali, ma anche le vene sovraepatiche e la vena cava. La non visibilità di un vaso sanguigno su un esame strumentale corrisponde, quindi, a questo inguainamento da parte del tumore, a differenza degli HCC, che si associano a trombi tumorali [25] .
Capsulare Una caratteristica del CKi è la frequenza della sua estensione sierosa, in particolare nella capsula di Glisson, che si traduce in una retrazione capsulare. La rottura peritoneale è, tuttavia, rara.
Il CKi, tumore di origine biliare, ha anche un trofismo biliare all’interno della sua estensione. Nelle forme periferiche, i margini biliari sono, talvolta, invasi, mentre i margini parenchimali sono sani. Questa estensione può assumere essenzialmente tre forme: infiltrante peribiliare, gemmante endovascolare ed endocanalare lineare, a partire da un tumore papillare intraduttale [26] .
Perineurale I nervi si trovano principalmente a livello del peduncolo epatico e lungo i peduncoli glissoniani, dove si estendono fino ai dotti biliari settali. Questa topografia spiega che, per un’uguale dimensione del tumore, l’estensione del tumore perineurale è meno frequente nelle forme periferiche (30% dei casi) che nelle forme iuxtailari (85% dei casi) [27] .
Presentazione clinica
Linfatica
La presentazione clinica del CK è aspecifica e a lungo asintomatica, poiché la sua posizione è spesso distante dalla convergenza delle vie biliari. I sintomi riflettono, quindi, una sindrome di massa, il che spiega il carattere localmente avanzato al momento della diagnosi: palpazione di una massa, dolori addominali, perdita di peso, deterioramento dello stato generale e ittero nel 10-15% dei pazienti. Se l’ittero testimonia una forma iuxtailare, esso può anche corrispondere all’estensione ilare di una forma periferica. Il monitoraggio delle malattie croniche del fegato aiuta a identificare dei tumori più piccoli e asintomatici.
Il CKi è un tumore linfofilo e la prevalenza di metastasi linfonodali in pazienti con una dissecazione sistematica è pari a circa il 40% [28] . La diffusione linfatica del CKi coinvolge due reticoli: un reticolo profondo (peduncolo epatico, vene epatiche, legamento epatorenale) e un reticolo superficiale (legamenti triangolare e falciforme, arterie freniche) [29] . Questi reticoli si drenano verso i linfonodi celiaci e mesenterici superiori e, poi, para-aortici, il dotto toracico e il mediastino. Quando il tumore si trova nel fegato sinistro, il drenaggio viene effettuato anche sulle catene linfatiche gastriche sinistre.
Diagnostica per immagini
Fattori prognostici
Il diametro medio al momento della diagnosi è di 7 cm. La progressione avviene con una modalità infiltrativa, con inglobamento delle strutture vascolobiliari ed estensione linfatica. Si tratta di tumori multipli nel 40% dei casi. L’ecografia, spesso eseguita in prima intenzione, mostra una massa di grandi dimensioni con contorni lobulati, irregolari, ipoecogeni o eterogenei. La retrazione capsulare è classica, così come è classica la dilatazione biliare segmentaria a monte. La sua caratterizzazione richiede la realizzazione di un’immagine in sezioni. Alla TC, si tratta di una lesione voluminosa, non incapsulata, spontaneamente ipodensa, con contorni irregolari con basso enhancement periferico nella fase arteriosa e un progressivo enhancement nelle fasi portali e tardive (senza wash-out), a testimonianza di un tumore fibroso. Potrebbero esserci dei rimaneggiamenti necrotici e delle calcificazioni. La retrazione capsulare, il dismorfismo epatico e i noduli che ne derivano sono più facilmente visibili che all’ecografia. La TC consente l’analisi volumetrica. La risonanza magnetica (RM) è più sensibile per la diagnosi positiva e differenziale, con un iposegnale T1 e un ipersegnale T2. L’aspetto è caratteristico e consente di differenziarlo dall’HCC [22] . La tomografia a emissione di positroni 18F-FDG (fluorodesossiglucosio) è positiva nell’80-90% dei pazienti, ma può essere negativa nelle forme infiltranti. L’interesse clinico è basso in caso di TC e RM contributive, ma la PET può consentire l’individuazione di metastasi extraepatiche (20-30% dei casi) [23] . Il suo uso sistematico non può essere raccomandato [24] .
Dopo la resezione, sembrano essere determinanti due fattori: la presenza di noduli satelliti e lo stato linfonodale. Sebbene la prognosi dei piccoli CKi (≤ 2 cm) sia migliore, sono troppo rari perché questa variabile abbia un’influenza statisticamente identificabile. La radicalità dell’escissione è un fattore molto spesso indipendente nella letteratura, ma questo non appare chiaramente nella serie dell’AFC del 2009 [27] . L’analisi del sottogruppo, tuttavia, ha dimostrato che, sebbene la qualità dell’escissione non avesse un impatto nei pazienti N+, aveva un’influenza decisiva nelle altre situazioni e, ancora di più, nei pazienti che non avevano né adenopatia tumorale, né nodulo satellite. È possibile che, nei pazienti con noduli satelliti, la lunghezza del margine, più del semplice carattere R0, sia un fattore determinante. La frequenza della componente infiltrante dei CKi, la possibilità di diffusione epiteliale biliare oltre il tumore primitivo e la frequenza dei noduli satelliti peritumorali incoraggiano le escissioni con margini peritumorali di almeno 1 cm, visto che la prognosi in caso di margini inferiori a 5 mm è vicina a quella dopo resezione R1 [30] . Quando viene provata un’invasione linfonodale distale, questa deve restare una controindicazione all’exeresi. Il coinvolgimento linfonodale regionale sospettato agli esami strumentali non può rappresentare una controindicazione all’esplorazione chirurgica, dato il basso valore predittivo positivo dell’imaging (inclusa la PET-TC) [31] . La condotta da tenere in caso di invasione linfatica regionale (20% di invasioni distali associate) resta ancora dibattuta tra la prosecuzione dell’exeresi (e la CT adiuvante) o la CT in prima linea, seguita da exeresi in caso di buon controllo sistemico.
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La consapevolezza dello stato generale e dei marcatori biologici occupa un posto centrale nell’algoritmo e l’uso di nomogrammi potrebbe aiutare la decisione terapeutica [32, 33] . Infine, l’escissione di un CKi non sembra giustificata quando sono presenti due dei seguenti tre criteri: un’invasione linfonodale, dei noduli satelliti o un’exeresi a priori R1, perché la sopravvivenza a cinque anni è inferiore al 10%.
Avvertimenti prima del trattamento chirurgico curativo In caso di cirrosi, è indispensabile una valutazione del grado di ipertensione portale. La gravità della malattia può essere apprezzata con il punteggio Child-Pugh, con il punteggio MELD (model for end-stage liver disease), con la conta piastrinica e con la clearance plasmatica del verde di indocianina. La cirrosi può rappresentare una controindicazione alla chirurgia a causa del rischio di insufficienza epatocellulare postoperatoria. Non è ragionevole proporre una’epatectomia maggiore a un paziente cirrotico con un MELD superiore a 10. Se il MELD è inferiore a 10 e l’epatectomia maggiore è pianificata, deve essere eseguita l’embolizzazione portale preoperatoria, per valutare la capacità rigenerativa del fegato. Nei casi più comuni di CKi sviluppati nel fegato sano, è richiesta l’embolizzazione portale (non preceduta dalla chemioembolizzazione arteriosa) quando il volume del futuro fegato rimanente è inferiore al 20-30% del volume totale del fegato [34] . In caso di colestasi persistente anche dopo il drenaggio, deve essere richiesto un volume maggiore. Questa valutazione volumetrica a volte non è possibile (lesione voluminosa = parenchima non funzionale, che limita l’interpretazione del volume funzionale totale) e, di solito, si preferisce utilizzare i criteri proposti dall’equipe di Lille: embolizzazione portale quando il rapporto tra il peso del futuro fegato rimanente diviso per il peso corporeo è inferiore allo 0,5% [35] .
Regole oncologiche Nessun trattamento neoadiuvante viene raccomandato e, secondo le raccomandazioni della SNFGE (Società francese di gastroenterologia) (2014), è giustificato un margine di sicurezza di 1 cm. Deve essere considerata solo la resezione R0. Una serie retrospettiva francese ha suggerito il ruolo di un trattamento medico in prima linea (CT + ittrio 90) in caso di CKi inizialmente non operabile [36] . Questi buoni risultati (tasso di resezione secondaria e sopravvivenza) devono essere confermati. L’importanza di una dissecazione sistemica dei linfonodi (regionale) rimane dibattuta, ma dovrebbe essere la regola [24] e l’impatto dello status N+ sulla decisione terapeutica adiuvante non è consensuale. Le sopravvivenze a lungo termine sono rare, ma possibili, in caso di status N+. Le adenopatie tumorali oltre la prima stazione linfatica e/o la presenza di numerosi noduli satelliti controindicano l’escissione e implicano la realizzazione di una CT. Una risposta e/o una stabilità a lungo termine della malattia devono far ridiscutere caso per caso un’indicazione chirurgica. La resezione è raccomandata solo in presenza di una singola lesione, senza metastasi extraepatica [24] .
Tecnica chirurgica Non è consigliabile sistematizzare la gestione chirurgica di tutti i CKi, poiché questi possono essere localizzati in qualsiasi segmento epatico, con dimensioni variabili che vanno da pochi millimetri a, talora, più di 15 o 20 cm. Si ricorda che, a differenza dell’HCC, non è obbligatoria una resezione anatomica. Tuttavia, per i tumori di grandi dimensioni o per i tumori centroepatici con stretto contatto glissoniano, una resezione anatomica (segmentectomia, bisegmentectomia, epatectomia maggiore) è spesso necessaria per ragioni di escissione vascolare. Si deve prestare attenzione anche all’estensione parenchimale, biliare e/o vascolare, che, generalmente, supera i limiti della lesione visibili agli esami strumentali. Pertanto, e al contrario delle metastasi di origine colorettale per le quali una resezione R1 “vascolare” può essere accettabile [37] , questo tipo di resezione deve essere formalmente evitato per i CKi. Ciò implica, per esempio quando la lesione si trova a contatto EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
con la vena cava inferiore o alla confluenza cavo-sovra-epatica, di eseguire delle escissioni e delle ricostruzioni venose. Questo intervento chirurgico deve essere eseguito in centri esperti perché possono essere richiesti complesse tecniche di esclusione vascolare del fegato, con o senza clampaggio cavale associato (e circolazione extracorporea), e, se necessario, anche un raffreddamento. Il raffreddamento consente di “prendersi il proprio tempo” per l’epatotomia e la ricostruzione vascolare, limitando il rischio di insufficienza epatica causata da clamping iterativi. Si accetta che, in caso di una durata prevedibile di clampaggio superiore a 60 minuti, sia necessario il raffreddamento [38] . Il lettore può fare riferimento all’articolo di Savier et al. [39] per approfondire le tecniche di esclusione vascolare. Infine, citiamo il caso, non eccezionale, del CKi sviluppato vicino alla biforcazione portale e che può, quindi, essere associato a una colestasi in caso di ostacolo biliare (infiltrazione o compressione della convergenza biliare). La presentazione itterica può anche essere dovuta a un tumore con una gemma endobiliare ostruttiva. Oltre all’eventuale necessità di drenaggio endoscopico biliare preoperatorio, il trattamento chirurgico è simile a quello dei CKp, con epatectomia destra o sinistra, se necessario allargata ai segmenti 1 e 4 o 5 e 8, rispettivamente. A differenza dei CKp, la resezione del dotto epatico comune non è sistematica, ma deve essere eseguita “su richiesta” in base ai reperti intraoperatori (invasione) e strumentali. Per esempio, è possibile eseguire un’epatectomia destra estesa ai segmenti 1 e 4 senza resezione vascolare o resezione biliare. Bisogna prestare la massima attenzione durante la trans-sezione del pavimento del segmento 4 per evitare ferite e/o la devascolarizzazione del terminale del dotto epatico sinistro. Per le lesioni di grandi dimensioni, può essere raccomandato un approccio anteriore (trans-sezione parenchimatosa senza mobilizzazione epatica), come per l’HCC [40] . Anche la manovra di hanging (passaggio di un lago inter-epato-cavale) può facilitare l’epatectomia, superficializzando il parenchima profondo e guidando l’asse dell’epatotomia, a patto che non vi sia invasione della vena cava inferiore [41] .
Risultati del trattamento curativo La mediana di sopravvivenza spontanea dei CK è di circa tre-sei mesi. Solo il 30-40% dei pazienti è operabile e l’80% dei pazienti operati subisce un’asportazione. Vi sono dei noduli satelliti nel 30-40% dei casi, un’invasione vascolare nel 40-50% dei casi e un coinvolgimento dei linfonodi nel 30-40% dei pazienti. La resezione è R1 nel 20-25% dei casi. La sopravvivenza a tre anni è, in media, del 38%, nelle serie chirurgiche. A cinque anni, raggiunge il 40% nei pazienti con R0 e il 20% in caso di N+ o di invasione vascolare [1] . Nei pazienti R0N0M0 senza lesione satellite, la sopravvivenza a 5 anni può raggiungere il 67%. In presenza di invasione linfonodale, la sopravvivenza a 5 anni è identica in caso di resezione R0 (11%) o R1 (9%). Considerando tutti i pazienti, la probabilità di guarigione è del 10% dopo l’intervento chirurgico [33] . La procedura di escissione è un’epatectomia voluminosa in tre quarti dei casi, che coinvolge l’escissione del segmento 1 in un po’ meno di un terzo dei casi. La resezione della VBP è associata nel 20% dei casi e si ha un intervento di ricostruzione o di riparazione vascolare nel 9% dei pazienti [21] . La conseguenza di queste complicate escissioni è un’alta morbilità, superiore a quella riportata per le metastasi colorettali e vicina a quella riportata per l’HCC, mentre, in questo caso, la prevalenza della cirrosi è molto più elevata. L’insufficienza epatocellulare, la sepsi e le complicanze biliari e polmonari rappresentano i principali rischi postoperatori. La morbilità complessiva è di circa il 50%, grave nel 22% dei casi, nella coorte dell’AFC [42] . La mortalità postoperatoria varia tra lo 0% e il 12% a seconda dei centri e i tre quarti dei decessi sono direttamente attribuibili a una complicanza dell’intervento, principalmente l’insufficienza epatocellulare e la sepsi. La maggior parte (60%) delle recidive ha una localizzazione intraepatica, che, a volte, può essere soggetta a una riepatectomia, soggetta a una rigorosa selezione [43] .
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I – 40-970-B Chirurgia del colangiocarcinoma intraepatico e peri-ilare
Ruolo del trapianto di fegato
Colangiocarcinoma peri-ilare
Il TF è attualmente controindicato a causa degli scarsi risultati [1] . Tuttavia, gli studi sul CK scoperto casualmente sul fegato nativo hanno riportato buoni risultati in termini di sopravvivenza e recidiva. Uno studio multicentrico spagnolo [44] ha descritto gli stessi risultati per i pazienti trapiantati per HCC e per quelli con CKi inferiore o uguale a 2 cm. Uno studio monocentrico americano [45] ha riportato dei risultati interessanti per i CK nei criteri di Milano e uno studio multicentrico francese ha paragonato la resezione e il TF in caso di CK e di epato-colangio-carcinoma inferiore o uguale a 5 cm. La sopravvivenza globale a cinque anni era significativamente più alta nei pazienti trapiantati che nei pazienti che subivano asportazione (74% contro 34%; p = 0,03). Questi risultati giustificano la riconsiderazione del TF come un’opzione terapeutica ragionevole, ma l’indicazione rimane controversa e limitata per i pazienti senza nessun altro possibile trattamento curativo. La discussione deve, dunque, essere condotta caso per caso da un’equipe multidisciplinare. Allo stato attuale, a causa di risultati di sopravvivenza inferiori rispetto alle altre indicazioni, non si consiglia di trapiantare un paziente con CKi al di fuori del protocollo.
Richiami anatomici
Ruolo degli altri trattamenti locoregionali Non vi è alcuna raccomandazione riguardo al tipo di trattamento locoregionale in caso di CKi non operabile. La scelta dipende da una valutazione caso per caso.
Radioterapia Il ruolo della radioterapia (RT) non è consensuale. Alcune serie retrospettive hanno mostrato una tendenza al controllo del tumore e una migliore sopravvivenza nei pazienti senza possibilità curativa (dal 36% al 73% di sopravvivenza a un anno) [1, 46] . Altri autori hanno suggerito un beneficio della RT come adiuvante alla chirurgia, specialmente in caso di N+ [47] .
Chemioembolizzazione intra-arteriosa Il CKi è un tumore meno ipervascolare dell’HCC e il razionale è, quindi, meno ovvio. Una metanalisi ha mostrato un beneficio in termini di sopravvivenza tra due e sette mesi dopo la chemioembolizzazione intra-arteriosa (CEIA) per il CKi, rispetto alla terapia sistemica. L’esperienza riportata dal MSKCC ha confermato migliori sopravvivenze in pazienti trattati con CT + CEIA rispetto alla sola CT [48] . Nonostante ciò, non sono disponibili studi randomizzati e il ruolo di questo trattamento non è, dunque, sempre convalidato [1] .
Radioembolizzazione (Ittrio 90) Diverse serie retrospettive hanno mostrato un controllo del tumore tra il 72% e il 95% e una sopravvivenza mediana tra i 9 e i 22 mesi, al costo di una tolleranza terapeutica accettabile [49] .
Radiofrequenza Questo trattamento è stato ampiamente descritto per gli HCC e le metastasi, specialmente per le piccole lesioni (< 2-3 cm). Nel quadro dei CKi, può essere solo un trattamento palliativo [50] , per una lesione singola e inferiore a 3 cm. Il tasso di necrosi è, quindi, superiore al 90% e la sopravvivenza mediana è compresa tra i 33 e i 38 mesi. È stato riportato anche l’uso delle microonde, ma questo richiede una valutazione più accurata prima di essere raccomandato.
Epato-colangio-carcinoma Si tratta di tumori rari (1-10% dei tumori primitivi) e aggressivi. La sintomatologia clinica non è diversa dai CKi o dagli HCC e la diagnosi è raramente preoperatoria. La resezione R0 è la regola, ma la prognosi è sfavorevole. Attualmente, il TF deve restare controindicato [1] .
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La convergenza biliare principale è l’unione dei dotti epatici destro e sinistro e riceve, indietro, i canali del segmento 1. La gestione del CKp implica la conoscenza delle principali variazioni anatomiche della convergenza. Queste variazioni sono principalmente il risultato di una diversa localizzazione dello sbocco del dotto settoriale posteriore che drena i segmenti 6 e 7 o di uno dei suoi rami nella convergenza dei dotti anteriori destri e del dotto sinistro. A causa di queste variazioni anatomiche, il dotto destro può essere inesistente, con i due dotti di destra (anteriore e posteriore) che si uniscono al dotto sinistro per creare una triforcazione (18% dei casi). Il canale posteriore destro può anche unirsi al canale sinistro scorrendo verso sinistra (8%) o alla VBP scivolando verso il basso (6%). In questi due casi, si parla di convergenza a scalini. In questa situazione, uno scivolamento verso il basso del dotto settoriale destro o di uno di questi rami, spesso quello del segmento 6, può posizionare questo dotto biliare sotto il ramo portale destro e davanti ad esso, vale a dire in posizione ipoportale (7% dei casi), mentre lo sbocco dei dotti posteriori nel resto dell’albero biliare di solito avviene sopra e dietro il ramo portale destro (posizione epiportale). La posizione ipoportale del settore posteriore destro facilita la realizzazione della ricostruzione biliare. Nel 90% dei casi, il ramo destro dell’arteria epatica passa dietro la VBP ed è, quindi, rapidamente invaso dal processo tumorale. Al contrario, il ramo sinistro è distante dal dotto biliare comune ed è raramente invaso. È anche necessario ricercare un’arteria epatica destra o sinistra, che nasce rispettivamente dall’arteria mesenterica superiore o dall’arteria gastrica sinistra, perché questi rami, a distanza, sono spesso risparmiati dal tumore.
Classificazioni (Figg. 3, 4) La classificazione preoperatoria più utilizzata è quella di Bismuth e Corlette, descritta nel 1975 [51] . Vi sono quattro stadi: I: raggiungimento della convergenza primaria senza ostruirla; II: ostruzione della convergenza primaria; III: ostruzione della convergenza primaria con estensione verso la convergenza secondaria destra o sinistra; IV: raggiungimento delle due convergenze secondarie. Nella nostra esperienza, la distribuzione di questi diversi stadi è rispettivamente del 4%, del 17%, del 47% (III destro: 20%; III sinistro: 27%) e del 26%. Esiste una discrepanza, in un terzo dei casi, tra valutazione radiologica e classificazione anatomopatologica, con una tendenza a sottovalutare gli stadi IV. Questa classificazione considera solo l’estensione biliare, trascurando l’invasione vascolare e le variazioni anatomiche, ma, inizialmente, è stata utilizzata per guidare il tipo di escissione. Blumgart et al. hanno descritto una classificazione che associa l’invasione biliare con l’invasione portale e l’atrofia epatica (MSKCC classification) [52] . Questa classificazione avrebbe il vantaggio di avere un valore prognostico sulla sopravvivenza. Non viene utilizzata abitualmente dalle equipe europee per la sua complessità e perché l’invasione arteriosa e linfatica non viene presa in considerazione. Nel 2011, DeOliveira et al. hanno pubblicato una classificazione del CKp che integra l’invasione portale, arteriosa, linfatica e lo stato metastatico, insieme al volume del futuro fegato rimanente [53] . Questa classificazione è usata raramente a causa della sua complessità. Boudjema et al. hanno descritto una classificazione “X e Y”, predittiva di resecabilità e di invasione vascolare [54] . Questa classificazione si basa sul rispetto o meno della convergenza secondaria del fegato sinistro (dotti o canali segmentari 2 e 3). Il tipo Y (nessuna invasione) è più spesso associato a un tumore operabile che non richiede una ricostruzione vascolare complessa. Infine, i tumori alle vie biliari devono essere classificati secondo la classificazione TNM-AJCC 2010 (7a edizione). Questa classificazione è stata recentemente adattata ai CKp. Tuttavia, dipende dai risultati anatomopatologici e, quindi, ha un interesse limitato prima dell’intervento. EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
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Presentazione biologica La colestasi è costante, associata a una diminuzione della protrombina con fattore V normale. L’ACE è normale nel 30% dei casi, mentre il CA Il 19-9 è più spesso alto (deve essere ridosato dopo il drenaggio) [16] . L’albuminemia deve essere misurata per ricercare una denutrizione e correggerla preoperatoriamente.
Tipi di estensione Tipo I
Tipo II
Estensione longitudinale Si tratta dell’estensione superficiale mucosa (in media di 20 mm) e sottomucosa (in media di 6 mm), insieme all’invasione dei plessi nervosi periarteriosi [55] . Questa infiltrazione microscopica giustifica la sezione parenchimale e biliare oltre l’invasione macroscopica per ottenere dei margini di resezione sani.
Estensione verticale Si tratta del coinvolgimento del parenchima epatico adiacente (segmenti 1 e 4 in particolare), ma anche vascolare e, in particolare, della biforcazione portale e del ramo destro dell’arteria epatica [56] . Tipo IIIa
Tipo IIIb
Diagnostica per immagini
Tipo IV Figura 3.
Classificazione di Bismuth e Corlette.
Tipo X Figura 4.
Tipo Y Classificazione di Boudjema.
Presentazione clinica Il CKp è solitamente un tumore piccolo (mediamente 2 cm), rapidamente sintomatico a causa dei suoi rapporti anatomici. Nelle forme precoci, si manifesta solo come un’alterazione della valutazione biologica (colestasi anitterica). Poi, la diagnosi viene evocata di fronte all’apparizione di un ittero nudo con dilatazione dei dotti biliari intraepatici, presente nel 70% dei casi. Si tratta di un ittero ritentivo con prurito, feci acoliche e urine scure. Questo ittero è costante e gli episodi di angiocolite sono eccezionali in assenza di un intervento endoscopico. Nelle forme tardive, il deterioramento dello stato generale e la perdita di peso (50% dei casi) sono al primo posto. EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
La resecabilità deve essere valutata in qualsiasi paziente potenzialmente operabile, prima dell’opacizzazione o del drenaggio [57] . Durante la diagnosi, non è necessario ricorrere a una colangiografia che è importante solo per scopi terapeutici, perché il rischio di infettare i dotti biliari, in assenza di un drenaggio associato, è elevato. Quando il paziente viene visto con un drenaggio biliare già in atto, è importante recuperare gli esami strumentali iniziali. La valutazione di estensione si basa sulla TC toracoaddominale con contrasto, con un tempo arterioso e portale, e su una bili-RM. Il ruolo della PET-TC rimane da definire [16] . L’ecografia è l’esame iniziale che mostra la dilatazione dei dotti biliari intraepatici, ma non è sufficiente per convalidare una gestione. La TC permette di stimare il livello di ostruzione. Questa mette in evidenza il tumore sotto forma di una massa ilare o di una stenosi biliare con pareti biliari ispessite (> 1,5 mm) che assume il contrasto nella fase tardiva. Soprattutto, la TC consente una valutazione vascolare e la ricerca di una carcinosi peritoneale. Da notare che il valore predittivo per la valutazione delle adenopatie regionali è basso [58] . Nimura et al. hanno mostrato che non vi era alcuna correlazione tra la presenza di linfonodi nella valutazione preoperatoria e lo stato di pN+ [56] . Il contributo della risonanza magnetica è essenzialmente quello della colangio-RM, che caratterizza accuratamente il sito dell’ostruzione, la separazione dei canali e l’eventuale presenza di una variazione anatomica. La lesione è, in generale, ipointensa in sequenza T1 e iperintensa in T2. Le sequenze di diffusione consentono il rilevamento di lesioni e/o metastasi intraepatiche. La sensibilità di rilevazione è del 95% e consente una valutazione affidabile dell’estensione ai dotti biliari nel 90% dei casi. La FDG-PET è, il più delle volte, positiva per i CK, ma la specificità è molto bassa. La sensibilità diagnostica è molto variabile e l’importanza della FDG-PET rimane dibattuta, a differenza della diagnosi di metastasi a distanza, dove la sensibilità è vicina al 90%. Attualmente, questo esame mantiene anche una sensibilità e una specificità basse per la diagnosi di linfoadenopatia metastatica (< 50%), ma può essere interessante per la sorveglianza dei pazienti con una CSP per rilevare l’insorgenza di CK [59] . Non è consigliabile eseguire sistematicamente una PET-TC durante la valutazione iniziale. L’ecografia endoscopica ha un interesse limitato, ma può essere discussa per specificare un coinvolgimento linfonodale (biopsia ecoguidata). La laparoscopia esplorativa non è una procedura molto efficiente (sensibilità compresa tra il 32% e il 72%) per la valutazione
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dell’estensione locoregionale, ma permette di realizzare un picking linfonodale e la diagnosi di carcinosi peritoneale. Le principali diagnosi differenziali dei CKp sono: • le lesioni benigne: colangite da IgG4, CSP, stenosi posttraumatica o ischemica dei dotti biliari, biliopatia portale, sindrome di Mirizzi; • le lesioni maligne: CKi o carcinoma vescicolare esteso all’ilo, pediculite neoplastica. Alla fine di questa valutazione, bisogna essere in grado di definire le controindicazioni alla chirurgia [60, 61] : • metastasi epatiche o extraepatiche; • invasione dei gangli linfatici para-aortici e celiaci; • atrofia epatica con estensione tumorale controlaterale oltre la convergenza biliare secondaria; • trombosi portale, cavernoma; • il fegato rimane di volume insufficiente, anche dopo embolizzazione portale.
Preparazione prima dell’epatectomia Denutrizione Prima di prendere in considerazione un’epatectomia, necessariamente importante nel contesto di un CKp, è imperativo correggere la denutrizione, sapendo che l’assorbimento digestivo richiede un flusso biliare. Pertanto, la perdita di peso deve essere valutata e associata a un dosaggio dell’albumina, della prealbuminemia e della proteina C reattiva. Può essere raccomandata una nutrizione parenterale o, idealmente, enterale, e questa deve ritardare l’intervento di alcuni giorni, in caso di marcata denutrizione. Il ruolo dell’immunomodulazione è in fase di valutazione (protocollo francese Propils) [62] .
Drenaggio biliare preoperatorio Esiste una relazione tra i livelli di bilirubina preoperatoria e la morbimortalità postoperatoria perché l’ittero prolungato causa un rischio di malnutrizione, di insufficienza renale, di sepsi e di disturbi dell’emostasi. Il drenaggio riduce il rischio di insufficienza epatica postoperatoria e la sua implementazione sistematica è stata la regola per molto tempo. Tuttavia, questo atteggiamento è stato messo in discussione [63, 64] . Attualmente, il drenaggio biliare sinistro è sempre indicato prima dell’epatectomia destra, specialmente prima dell’embolizzazione portale destra, e l’epatectomia non deve essere eseguita se la bilirubinemia è superiore a 50 mol/l. Questo atteggiamento è più discutibile prima dell’epatectomia sinistra (non allargata), dove l’embolizzazione portale è raramente necessaria [65] . Nella serie dell’AFC, il drenaggio preoperatorio riduceva la mortalità postoperatoria solo dopo epatectomia destra. In caso di epatectomia sinistra, può essere omesso quando l’ittero è recente (soglia non consensuale < 150-200 mol/l), in assenza di colangite o di denutrizione. Devono essere rispettate diverse regole: • prima di tutto, il futuro fegato deve essere drenato; • il drenaggio endoscopico è preferibile, se possibile, rispetto al drenaggio percutaneo (riequilibrio della flora digestiva e riduzione del rischio di innesto tumorale associato a un drenaggio esterno prolungato); • le protesi metalliche scoperte devono essere proscritte. In caso di drenaggio, esiste un eccesso di contaminazione biliare, di solito da batteri Gram-negativi. Questa infezione è quasi sempre secondaria a un intervento di opacizzazione e/o di drenaggio incompleto e deve essere trattata con un’appropriata profilassi antibiotica perioperatoria, possibilmente associata a un drenaggio percutaneo. Va ricordato che non si deve opacizzare un settore non drenato (contaminazione a partire dal duodeno, specialmente dopo sfinterotomia).
Embolizzazione portale Uno studio volumetrico è sistematico. Un’epatectomia destra, il più delle volte allargata, può richiedere un’embolizzazione portale preoperatoria dopo normalizzazione della bilirubina, se il volume del futuro fegato rimanente è inferiore al 30-40% del fegato totale,
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sebbene tale limite sia meno consolidato rispetto alla presenza un fegato sano senza colestasi [16, 34, 35, 66] . Se non esiste consenso, l’obiettivo è di ottenere un rapporto tra volume del futuro fegato rimanente/peso corporeo superiore allo 0,8%, superiore al rapporto dello 0,5% classicamente accettato su fegato non colestatico. Lo scopo dell’embolizzazione è di ottenere un’ipertrofia, di aumentare le riserve funzionali epatiche e di ridurre la morbimortalità postoperatoria, in particolare a causa della compromissione della funzionalità epatica [67] . La chirurgia viene solitamente eseguita da tre a sei settimane dopo l’embolizzazione.
Trattamento neoadiuvante Non esistono dati derivati da studi randomizzati su CT, RT o radiochemioterapia (RCT) neoadiuvante.
Trattamento chirurgico curativo Il primo intervento per CKp è stato segnalato nel 1965 da Klatskin [68] . Da allora, l’unico trattamento curativo rimane la chirurgia con margini sani (R0), senza trattamento neoadiuvante. Come ogni intervento oncologico, bisogna realizzare un’escissione in monoblocco rimanendo a distanza dal tumore. Data la complessità dell’escissione e la necessità di ricostruzione dei dotti biliari intraepatici, la laparotomia deve rimanere la linea di riferimento a partire dallo stadio di Bismuth superiore o uguale a II. A seconda delle abitudini, un’incisione a “J” secondo Makuuchi o un’incisione sottocostale destra estesa a sinistra, o con una fessura mediana, consentono un’esposizione soddisfacente. Ricordiamo di seguito alcuni grandi principi: • i CKp di stadio I sono eccezionali e la loro estensione (verso l’ilo o verso il pancreas) è molto spesso sottostimata dalla valutazione preoperatoria. È, quindi, necessario, in linea di principio, informare il paziente e prepararsi a poter allargare l’intervento verso un’epatectomia destra o una duodenopancreatectomia cefalica (DPC), a seconda dei ritagli analizzati estemporaneamente. Si raccomanda, quindi, un’analisi volumetrica, in linea di principio; • la resezione isolata del dotto biliare è insufficiente per qualsiasi stadio di Bismuth superiore o uguale a II ed è necessaria una resezione epatica associata. La VBP deve essere tagliata a livello del pancreas, con esame anatomopatologico estemporaneo. In caso di invasione biliare inferiore su diversi ritagli successivi, è teoricamente necessaria una DPC. Tuttavia, la realizzazione simultanea di un’epatectomia importante e di una DPC è un gesto molto demolitivo e questa indicazione deve essere presa in maniera collegiale, soprattutto dopo una discussione con l’equipe di anestesia-rianimazione; • a eccezione degli stadi di Bismuth I, non è necessario abbassare la placca ilare perché questo sarebbe a rischio di effrazione tumorale. Questa manovra è, tuttavia, necessaria in caso di invasione prossimale del dotto epatico comune per risalire sulla confluenza biliare superiore; • l’escissione è sistematicamente completata da una dissecazione completa del peduncolo epatico e della regione celiaca, a scopo di staging. L’importanza di un curettage approfondito non è dimostrata. Particolare attenzione deve essere prestata quando l’arteria epatica destra scorre verso la faccia posteriore della vena porta; • a causa della topografia peri-ilare della lesione, l’epatectomia è, il più delle volte, estesa al segmento 4 per l’epatectomia destra e al settore anteriore destro per l’epatectomia sinistra. Il drenaggio biliare specifico del segmento 1 a livello della convergenza richiede l’asportazione sistematica di questo segmento (dallo stadio di Bismuth II) poiché Nimura aveva mostrato che l’invasione delle vie biliari di questo segmento era quasi costante [56] . L’esecuzione di un’epatectomia centrale (segmenti 1, 4, 5, 8) è eccezionalmente eseguita perché tecnicamente difficile, a rischio di complicanze (due fette di sezione) e non è descritta qui di seguito. La scelta del tipo di epatectomia è guidata dalla posizione dell’invasione biliare e arteriosa o, per esempio, dall’atrofia del lobo sinistro, che impone la scelta di un’epatectomia sinistra allargata. D’altra parte, quando la scelta è teoricamente EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
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Figura 5. Rappresentazione di un’epatectomia sinistra parzialmente estesa alla parte ilare del segmento 5 per CKp (colangiocarcinoma p) di tipo III destro. In caso di posizione epiportale (A), la resezione del canale biliare posteriore destro è limitata a causa della sua posizione nella parte posterosuperiore del ramo portale e, quindi, richiede un’estensione al settore anteromediano per aumentare i margini biliari. Viceversa, in caso di posizione ipoportale (B), è possibile resecare la parte prossimale del canale posteriore destro ed eseguire l’anastomosi biliodigestiva di fronte al ramo portale, senza resecare il settore anteromediano. A. 1. Canale S8; 2. canale S5; 3. canale settoriale posteriore destro; 4. moncone ramo vena porta sinistro; 5. arteria epatica; 6. vena porta. B. 1. Canale S8; 2. canale S5; 3. canale S7; 4. canale S6; 5. guadagno di margine biliare; 6. moncone ramo vena porta sinistro; 7. arteria epatica; 8. vena porta.
possibile, è preferibile un’epatectomia destra allargata perché l’embolizzazione portale destra è meno complessa, il dotto epatico sinistro è più lungo (per avere un margine ed eseguire l’anastomosi biliodigestiva), il ramo sinistro dell’arteria epatica è distante e, il più delle volte, libero dall’invasione, la ricostruzione portale è più facile sul lato sinistro perché il ramo destro della porta è molto corto e, infine, la segmentectomia 1 è più facile sul lato destro. Prima dell’epatectomia sinistra, l’analisi dell’anatomia biliare (bili-RM) è fondamentale perché: • in caso di posizione biliare infraportale, i margini biliari sono generalmente più grandi (è, infatti, possibile ritagliare il dotto posteriore più distalmente) e la ricostruzione biliodigestiva è più facile perché il canale posteriore si trova, dunque, di fronte al ramo portale [69] (Fig. 5). In questa situazione anatomica favorevole, l’estensione dell’epatectomia sinistra al settore anteriore non è, quindi, sempre necessaria; • in caso di posizione epiportale (la situazione più frequente), un’epatectomia sinistra estesa al settore anteriore permette di aumentare i margini biliari e, quindi, di aumentare il tasso di resezione R0 [70] . Secondo la classificazione di Boudjema, il tipo “X” sarebbe più favorevole a un’epatectomia G allargata ai segmenti 5 e 8 (frequenti ricostruzioni arteriose), mentre il tipo “Y” si presta preferibilmente a un’epatectomia destra estesa. Neuhaus et al. hanno sviluppato il concetto di resezione oncologica senza dissecazione (no touch) degli elementi di convergenza biliare con resezione venosa di principio [71] . Questo tipo di approccio comporta la resezione portale ma la resezione arteriosa non viene eseguita di principio. Sebbene non convalidata all’unanimità, questa tecnica potrebbe probabilmente portare a un aumento della sopravvivenza globale e senza ricorrere a un tasso di R0 più elevato [72] . Tuttavia, è stato dimostrato da altre equipe che una resezione portale di routine non determina un beneficio oncologico, mentre aumenta la morbilità postoperatoria [73] , e questi risultati discordanti spiegano la mancanza di omogeneizzazione tra le equipe. D’altra parte, la resezione dell’arteria epatica deve rimanere eccezionale perché il beneficio carcinologico non è ammesso all’unanimità e la morbilità è aumentata [74] . In pratica, una resezione vascolare sistematica non è raccomandata, ma è basata unicamente sull’invasione intraoperatoria confermata [16] . Presentiamo qui di seguito le diverse fasi operatorie dei quattro principali interventi raccomandati in caso di CKp, a seconda degli stadi di Bismuth: • stadio I (Fig. 6): si tratta dell’intervento meno complesso poiché consiste in una resezione monoblocco della VBP e della colecisti, associata alla dissecazione linfonodale precedenteEMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
Figura 6. Resezione monoblocco del dotto biliare principale e della cistifellea con anastomosi biliodigestiva su una singola bocca anastomotica, a livello della confluenza biliare superiore.
mente descritta. La sezione biliare alta porta sulla confluenza biliare superiore, dopo aver abbassato la piastra ilare, per ottenere un unico sbocco anastomotico, generalmente ampio. La prima ansa digiunale, di circa 70 cm di lunghezza, deve montare senza tensione attraverso la fossetta paraduodenale transmesocolica (zona avascolare). L’anastomosi viene eseguita con del filo lentamente riassorbibile (5/0 o 6/0), mediante punti stretti o punti separati in base al diametro anastomotico. Il tutoraggio transanastomotico non è necessario. L’ansa può essere sospesa con alcuni fili trattori sulla piastra ilare. Mentre alcuni autori hanno riportato una migliore sopravvivenza in caso di epatectomia associata alla resezione della VBP, in particolare a causa di un più alto tasso di R0, si accetta classicamente di limitare l’escissione alla VBP, eccetto un particolare contatto vascolare [71, 75, 76] . Ricordiamo ancora che gli stadi I sono eccezionali ed è imperativo aver anticipato una possibile estensione del gesto verso il pancreas (DPC) o verso il fegato (epatectomia destra allargata). Il calcolo del volume epatico è, quindi, essenziale, se necessario, in vista di una preparazione mediante embolizzazione portale; • stadio II (Fig. 7): era convenzionalmente accettato che, per questi CKp, fosse sufficiente associare la resezione della VBP e quella della confluenza biliare superiore e del segmento 1, i cui canali si gettano nella convergenza. La segmentectomia 1 anatomica è un gesto difficile a causa dell’assenza di una scissura individualizzabile. Alla fine della resezione, si realizzava un’anastomosi biliodigestiva sui due dotti epatici distinti, poiché la convergenza era stata asportata. L’attuale tendenza è, ormai, quella di standardizzare la tecnica prendendo in carico gli stadi II come gli stadi III a destra, vale a dire associando un’epatectomia destra
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Figura 7. Epatectomia destra allargata ai segmenti 1 e 4, con anastomosi colangiodigiunale sul dotto epatico sinistro.
del parenchima al margine destro del Rex (esame estemporaneo) poiché la linea di transezione passa al margine destro del legamento falciforme. A volte, la divisione precoce dei dotti biliari dei segmenti 2 e 3 (dotto epatico sinistro corto) porta a eseguire l’anastomosi su due canali separati; alla fine della procedura, è necessario pensare a fissare il lobo sinistro (legamento sospensore risolidarizzato al peritoneo), per evitare che il suo dondolio a destra comporti un outflow block ; • stadio IV: questo tipo di tumori, localmente molto avanzati e la cui incidenza è sottostimata dall’imaging, è stato classicamente considerato non operabile. Se questo rimane vero per la maggior parte dei pazienti, a volte è possibile proporre un’epatectomia maggiore (destra, allargata ai segmenti 1 e 4, o sinistra, allargata ai segmenti 1, 5 e 8), sotto riserva di una gestione specialistica in un centro esperto. La controindicazione alla resezione può essere ricercata prima dell’intervento (carcinosi peritoneale, invasione vascolare, metastasi intraepatiche, ecc.) e il paziente deve essere avvertito del rischio di non asportabilità. Per i tumori peri-ilari non operabili inferiori o uguali a 3 cm senza estensione a distanza, rimane possibile proporre un TF nel contesto del protocollo della Mayo Clinic (cfr. infra).
Risultati del trattamento chirurgico
Figura 8. Epatectomia sinistra con realizzazione di un’anastomosi colangiodigiunale sul canale epatico destro o sul canale settoriale posteriore, in caso di epatectomia allargata al settore anteriore.
e una segmentectomia 1 ± 4 (o 4 inferiore). Raccomandiamo questo atteggiamento quasi sistematicamente perché consente di aumentare significativamente il tasso di resezione R0. Ancora una volta, l’embolizzazione portale destra deve essere discussa in fase preoperatoria sulla base dei dati volumetrici; • stadio III sinistro (Fig. 8): si consiglia di eseguire un’epatectomia sinistra allargata al segmento 1, spesso al settore anteriore, in modo da migliorare i margini di resezione. La tecnica è descritta da Castaing et al. [77] . Ricordiamo che le diverse fasi sono la completa mobilizzazione del fegato, il rilascio del segmento 1 della vena cava inferiore e, poi, la dissecazione degli elementi peduncolari per poter controllare gli elementi vascolari. Il coledoco viene tagliato sul bordo superiore del pancreas (esame estemporaneo) e la VBP viene asportata in un unico pezzo con il pezzo di epatectomia. La linea di transezione epatica dipende dalla conservazione o meno del settore precedente. In caso di exeresi del settore anteriore, l’epatotomia passa al bordo sinistro della vena sovraepatica destra. Questa passa, altrimenti, al margine destro della vena mediana. La sezione biliare viene eseguita all’interno del parenchima. Il dotto epatico destro è molto corto, la sezione biliare si concentra spesso sui canali settoriali destri o, se l’epatectomia viene allargata, sui dotti segmentari. A seconda del tipo di epatectomia, l’anastomosi biliare coinvolge da uno a quattro canali di piccolo calibro. È spesso possibile riunire diversi sbocchi anastomotici in uno solo. L’intubazione transanastomotica non è sistematica. Non eseguiamo la resezione vascolare primaria (tecnica no touch di Neuhaus), a meno che non vi sia il sospetto di invasione all’imaging. Questa resezione può coinvolgere il ramo portale destro e/o arterioso destro ma aumenta considerevolmente la morbilità (rischio elevato soprattutto di trombosi arteriosa). È anche necessario sottolineare la scarsa tolleranza all’ischemia di un piccolo fegato rimanente (colestatico); • stadio III destro (Fig. 7): l’intervento ideale è l’epatectomia destra estesa ai segmenti 1 e 4. Il principio è, anche qui, quello di mobilizzare completamente il fegato (+ rilascio del segmento 1) e di controllare gli elementi peduncolari senza eseguire una dissecazione ilare. La presenza di un’arteria epatica sinistra che scorre nel piccolo epiploon è un fattore anatomico favorevole da ricercare. Il dotto epatico sinistro viene avvicinato all’interno
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Le epatectomie eseguite nel contesto dei CKp sono quelle associate alla più alta morbilità, con un tasso di mortalità a 90 giorni del 5-15% [78] e una morbilità del 40-70% [79] . Le principali complicanze sono l’insufficienza epatocellulare, le infezioni del sito chirurgico, la colangite e le fistole biliari, spiegate dalle resezioni estese, dalla colestasi e/o dal recente drenaggio, dalla durata operatoria e dalle ricostruzioni biliari o vascolari. Tuttavia, la morbimortalità perioperatoria si è significativamente ridotta negli ultimi 30 anni [80] . La mediana di sopravvivenza è compresa tra 3 e 6 mesi senza resezione [81] e arriva a 12 mesi sotto CT da sola [82] , a 24 mesi con resezione e margine positivo e tra i 36 e i 48 mesi con resezione e margini negativi [83] . Nella maggior parte delle serie chirurgiche, la sopravvivenza a cinque anni si colloca tra il 10% e il 40%. Nelle serie più recenti, si osserva una sopravvivenza a cinque anni superiore al 50% in caso di resezione N0 e R0 [75, 80] . Dopo la resezione curativa, il 76% dei pazienti recidiverà con un tempo mediano di 31 mesi [84] . La recidiva è locale nella metà dei casi (ilo epatico, zona di resezione epatica, anastomosi epaticodigiunale). La sopravvivenza è correlata alla resezione R0, che è considerata il principale fattore prognostico. Il carattere R1 della resezione divide la mediana di sopravvivenza in due e fornisce la stessa sopravvivenza della gestione non chirurgica [85] . Non vi è alcun beneficio di sopravvivenza in caso di resezione R2. Anche l’invasione linfonodale e il grado di differenziazione tumorale sono dei fattori prognostici importanti [84, 86, 87] .
Trattamento medico adiuvante Uno studio randomizzato ha suggerito un beneficio in termini di sopravvivenza a 5 anni dopo CT adiuvante (5-FU [fluorouracile] + mitomicina C) nell’unico sottogruppo di pazienti operati per carcinoma della colecisti, ma non ha mostrato alcun beneficio di sopravvivenza in pazienti con un CK [88] . I recenti risultati dello studio francese Prodige 12, protocollo GEMOX versus sorveglianza (tutti i tipi di CK inclusi), non hanno mostrato benefici di sopravvivenza dopo una CT adiuvante. In una metanalisi, Horgan et al. [89] hanno studiato l’impatto delle terapie adiuvanti sulla sopravvivenza dei pazienti operati di CK. Esisteva un miglioramento non significativo della sopravvivenza globale con una terapia adiuvante, indipendentemente dalle modalità, rispetto alla sola chirurgia, senza differenza tra i tumori della colecisti e quelli delle vie biliari. Il beneficio sulla sopravvivenza dei trattamenti adiuvanti sembrava essere maggiore nei pazienti con prognosi peggiore, specialmente in caso di invasione linfatica e di margine R1. Fino a poco tempo fa, il livello di evidenza era, quindi, troppo basso per raccomandare sistematicamente la terapia adiuvante EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
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e non esisteva uno studio randomizzato che paragonasse la sorveglianza alla RT o alla RCT adiuvante [90] . Si potrebbe semplicemente considerare che esista, forse, un beneficio della CT adiuvante basata su 5-FU o RCT dopo resezione R1 o N+ o tumori multipli, ma il livello di evidenza è basso [16, 24] . Sono stati riportati i risultati dello studio randomizzato BILCAP (congresso ASCO, 2017, abstract 4006, dati non pubblicati), che valutano la capecitabina (chemioterapia orale) rispetto al followup dopo la completa escissione delle neoplasie biliari (n = 447). La sopravvivenza mediana era di 51 mesi rispetto a 36 mesi, rispettivamente (differenza significativa dopo analisi perprotocollo), e la tolleranza alla chemioterapia era buona. Anche la sopravvivenza senza recidiva era significativamente migliore nel braccio trattato. Mentre non vi è alcun dubbio che la capecitabina dovrebbe rapidamente diventare la terapia di riferimento, è sorprendente ottenere dei risultati così buoni con questa monoterapia e si può anche criticare il fatto che erano stati inclusi tutti i tipi di CK, compresi i carcinomi vescicolari. Sarà, dunque, interessante analizzare questi risultati per sottotipo di cancro biliare.
Ruolo del trapianto epatico Sebbene il TF sembrasse essere un trattamento particolarmente adatto al CKp, consentendo la resezione R0 e il trattamento della malattia epatica sottostante, l’alto tasso di recidiva precoce lo ha rapidamente svalutato in un contesto di scarsità di donatori [91] . Un interesse rinnovato si è innescato con il concetto di terapia neoadiuvante pre-TF sviluppata presso l’Università del Nebraska, poi resa popolare dall’esperienza della Mayo Clinic. I risultati iniziali ritrovavano una sopravvivenza del 70% a cinque anni [92] . Partendo dall’osservazione che il principale fattore di rischio per la recidiva dopo TF è l’invasione linfonodale, la selezione dei migliori candidati (CKp non resecabile ≤ 3 cm) si basa, dunque, su un’esplorazione chirurgica (e curettage) associata a un trattamento neoadiuvante aggressivo: radioterapia esterna di 45 Gy, chemiosensibilizzazione con 5-FU e “boost” a due o tre settimane dalla fine della RT esterna con endocurieterapia all’iridio-192. I buoni risultati di questo protocollo terapeutico non derivano più dall’esperienza di un singolo centro, dopo la pubblicazione, nel 2012, di una revisione nazionale americana comprendente un totale di 287 pazienti gestiti in 12 centri [93] . Dal 2007, le regole di assegnazione del trapianto sono state modificate e il TF per CK affronta il problema dell’accesso al trapianto. In Francia, è stata adottata una deroga alle regole generali di attribuzione in questa indicazione e questa consente un accesso immediato al trapianto a partire dalla fine della RCT. Si pone naturalmente la questione del TF con RCT neoadiuvante come trattamento dei CKp operabili. La sperimentazione randomizzata francese TRANSPHIL (ClinicalTrials NCT02232932) tenterà di fornire una risposta, confrontando la resezione epatica con TF e la RCT neoadiuvante. Lo studio è in corso di inclusione.
Trattamento medico dei CK intraepatici e peri-ilari La sopravvivenza mediana dei pazienti con CK localmente avanzato o metastatico è compresa tra i 9 e i 15 mesi. Il trattamento palliativo ha lo scopo di migliorare la qualità della vita, gestendo ittero, prurito, episodi di colangite e dolore. Non vi è un ruolo della chirurgia palliativa. Il drenaggio biliare permette la realizzazione di una CT ma non deve essere a tutti i costi bilaterale. Le protesi metalliche, permeabili più a lungo, sono state dimostrate da degli studi randomizzati più efficaci ed economicamente convenienti rispetto alle protesi in plastica, in caso di sopravvivenza presunta superiore a sei mesi; un’alternativa è il cambio sistematico della protesi di plastica ogni tre mesi. L’approccio endoscopico consente anche la realizzazione della fototerapia dinamica. Questo trattamento non è diffuso in Francia, ma è stato dimostrato che riduceva la colestasi e che aumentava la qualità della vita e la sopravvivenza [94] . Tuttavia, i pazienti con drenaggio biliare efficace sono stati esclusi da queEMC - Tecniche chirurgiche - Addominale
sto studio, suggerendo che una parte dei benefici potrebbe essere dovuta al miglioramento del drenaggio piuttosto che all’effetto antitumorale della fototerapia. Inoltre, uno studio randomizzato di fase III multicentrico del Regno Unito è stato interrotto prematuramente a causa della minore sopravvivenza globale nel braccio di fototerapia rispetto al braccio di controllo (ESMO 2010). In una serie retrospettiva, la CEIA ha dimostrato un aumento della sopravvivenza dei pazienti con CKi non operabile rispetto alla sola terapia di supporto [95] . Konstantinidis et al. hanno riportato risultati molto incoraggianti dopo CEIA per CKi, con una sopravvivenza libera da progressione prolungata di 4 mesi e la presenza di sopravvissuti a lungo termine [96] . Per il CK con progressione locale o metastasi, deve essere considerata una CT sistemica. La combinazione di cisplatino + gemcitabina migliora la sopravvivenza di 3,6 mesi rispetto alla sola gemcitabina [97] . Due studi randomizzati hanno mostrato che la CT migliora significativamente il comfort e la sopravvivenza generale di questi pazienti, rispetto alla sola terapia di supporto [98, 99] . Una metanalisi ha confermato il miglioramento significativo nella sopravvivenza globale e senza progressione con l’associazione gemcitabina + cisplatino rispetto alla sola gemcitabina, indipendentemente dalla localizzazione del tumore [100] . Sulla base di tutti questi dati, GEMCIS o GEMOX sono i trattamenti di riferimento in prima linea nei pazienti con CK avanzato. Nella revisione aggiornata di Eckel et al. [101] , l’aggiunta di una terapia mirata a una CT a base di gemcitabina aumentava significativamente il tasso di controllo del tumore, la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale. Le due classi di terapie mirate più esplorate nel trattamento dei CK sono quelle improntate sull’EGFR e sugli antiangiogenici.
Conclusioni Il CK è una patologia rara con una prognosi molto sfavorevole. Solo la chirurgia permette di ottenere una sopravvivenza a lungo termine, ma la cura è, più che mai, multidisciplinare. I futuri progressi della CT (terapia mirata) permetteranno sicuramente di migliorare la prognosi. Il ruolo del TF nei CKi (stadi preoci) e nei CKp (operabili) deve essere rapidamente chiarito.
“ Punti importanti • Esistono tre tipi principali di CK: intraepatico (CKi), periilare (CKp) e distale (CKd). • L’incidenza dei CKi è, attualmente, in aumento. Questi tumori condividono molti fattori di rischio con il carcinoma epatocellulare. • La colangiopatia cronica predispone al CK. • La valutazione della resecabilità e dell’operabilità deve essere effettuata all’interno di un centro specializzato, prima di qualsiasi drenaggio. • La chirurgia R0 rappresenta l’unico trattamento potenzialmente curativo dei CK. • L’escissione radicale di un CKi o di un CKp richiede spesso un’epatectomia maggiore. Il ruolo del drenaggio biliare e dell’embolizzazione portale deve essere valutato caso per caso dall’equipe chirurgica. • Il trapianto di fegato preceduto da una radiochemioterapia è raccomandato per i CKp ≤ 3 cm non resecabili.
Ringraziamenti: Gli autori ringraziano la Professoressa Catherine Guettier (anatomopatologa), la Dottoressa Mylène Sebagh (anatomopatologa), il Professor Emmanuel Boleslawski (chirurgo), il Dottor David Fuks (chirurgo), il Professor Daniel Cherqui (chirurgo), il Professor Maïté Lewin (radiologo) e la Dottoressa Eleonora De Martin (epatologa) per il loro contributo alla stesura di questo articolo.
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N. Golse. E. Vibert (
[email protected]). Centre hépatobiliaire, Hôpital Paul-Brousse, 12-14, avenue Paul-Vaillant-Couturier, 94804 Villejuif, France. Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Golse N, Vibert E. Chirurgia del colangiocarcinoma intraepatico e peri-ilare. EMC - Tecniche chirurgiche - Addominale 2019;25(1):1-14 [Articolo I – 40-970-B].
Disponibile su www.em-consulte.com/it Algoritmi decisionali
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