Quaderni Italiani di Psichiatria 2010;29(3):106—109 Disponibile su www.sciencedirect.com
journal homepage: www.elsevier.com/locate/quip
REVIEW ARTICLE
Residenzialità per la disabilità intellettiva: evidenze, principi evolutivi e implicazioni applicative Residential care for persons with intellectual disability: evidence, evolutional principles, and implications for practice Marco O. Bertelli a,∗, Raymond Ceccotto b, Edi Farnetani c a
Centro di Ricerca ed Evoluzione AMG della Misericordia di Firenze (direttore della ricerca dott. Marco O. Bertelli), Firenze Association des Parents d’Enfants Mentalement Handicapés (direttore generale dott. Raymond Ceccotto), Bettange-sur-Mess, Luxembourg c Sezione di Psicologia Ospedaliera (responsabile dott.ssa Edi Farnetani), ASL 8, Arezzo b
Ricevuto il 10 febbraio 2010; accettato il 23 giugno 2010 Disponibile online 4 agosto 2010
PAROLE CHIAVE Residenzialità; Disabilità intellettiva; Ritardo mentale; Qualità di vita.
KEYWORDS Residentiality; Intellectual disability; Mental retardation; Quality of life.
∗
Riassunto Introduzione: A seguito degli ultimi bilanci delle esperienze internazionali di inclusione comunitaria, il concetto di residenzialità per la disabilità intellettiva (DI) sta conoscendo una nuova evoluzione. Scopo del presente lavoro è di rivedere e commentare i contributi di letteratura sull’argomento più recenti e di maggiore importanza. Materiali e metodi: È stata effettuata una ricerca degli articoli pubblicati negli ultimi cinque anni. Successivamente gli autori, tutti esperti del settore, hanno riesaminato gli articoli individuati per produrre i criteri organizzativi della rassegna e i commenti alla stessa. Risultati: Le soluzioni residenziali che a oggi vengono considerate di maggiore efficienza sono i piccoli appartamenti nella comunità e i cluster centre. Attualmente, tuttavia, l’adeguatezza della residenza per la persona con DI è valutata mediante criteri di esito eterogenei, scarsamente definiti o restrittivi. Le misure orientate alla persona ricevono un’attenzione crescente. Tra queste, la qualità di vita è la più diffusa. Essa descrive la relazione individuale fra attribuzione di importanza e percezione di soddisfazione negli ambiti di vita aventi implicazioni qualitative per tutte le persone. Conclusioni: La ricerca sulla residenzialità per le persone con DI è ancora fortemente limitata, sia qualitativamente sia quantitativamente. Tuttavia sembra in grado di indicare che alcune soluzioni possano essere più efficienti di altre, seppur limitatamente ad alcuni parametri specifici. L’applicazione di nuovi modelli concettuali pare sostenere la necessità di una gamma
Corrispondenza: Centro Ricerca ed Evoluzione AMG, via Del Sansovino 176, 50142 Firenze. E-mail:
[email protected] (M.O. Bertelli).
0393-0645/$ – see front matter © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. doi:10.1016/j.quip.2010.06.001
Residenzialità per la disabilità intellettiva: evidenze, principi evolutivi e implicazioni applicative
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davvero molto ampia di offerte residenziali, in grado di rispondere alle molteplici esigenze individuali. © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. Abstract Introduction: Since the last appraisals of international experiences in institutionalized care for persons with intellectual disabilities (ID), the concept of residentiality is once again evolving. The purpose of this article is to review and discuss the most recent and significant literature on this topic. Materials and methods: The authors, experienced professionals in this field, performed a search of relevant scientific articles published in the last 5 years. These articles were then reviewed and analyzed to produce the present review. Results: Small apartments within the community and the so-called cluster centres are currently considered the most efficient residential solutions for individuals with ID. However, the criteria for judging the appropriateness of a residence for these persons are heterogeneous, poorly defined, or overly restrictive. Growing attention is being placed on person-related measures, including quality of life, which is one of the most widely used parameter. It reflects the individual relation between attribution of importance and perception of satisfaction in areas of life with qualitative implications for all people. Conclusions: Research on residential care for people with ID is still limited, quantitatively and qualitatively. Nevertheless, it appears to be capable of identifying some solutions that are more effective than others, at least in terms of certain parameters. The application of new conceptual models seems to support the need for a broad range of residential solutions capable of meeting a variety of individual needs. © 2010 Elsevier Srl. All rights reserved.
Introduzione L’abbandono graduale delle grandi istituzioni residenziali per pazienti psichiatrici e la loro sostituzione con servizi ridimensionati, in grado di favorire una buona partecipazione comunitaria, rappresentano una delle evoluzioni più importanti delle politiche sociosanitarie nel dopoguerra. Tuttavia, a oltre trent’anni dalla Legge 180, il valore concettuale di tale evoluzione continua a scontrarsi con difficoltà applicative, soprattutto quando ci si riferisce alla salute mentale delle persone con disabilità intellettiva (DI). In questo caso, infatti, concetti quali partecipazione sociale e reciprocità sociale devono confrontarsi con diversità interpersonali rispetto a una delle caratteristiche umane su cui la cultura prevalente fonda l’umanità stessa: l’intelligenza. La recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità [1], sottoscritta dall’Italia nel marzo 2009, ha dedicato l’art. 19 al diritto alla vita nella comunità, in cui si precisa che gli Stati devono offrire una gamma differenziata di servizi di supporto alla vita nella comunità, di tipo sia domiciliare sia residenziale, e prevenire l’isolamento o la segregazione. Poiché non specifica le modalità attuative, tale articolo lascia le singole autorità politiche in balia di opinioni interpretative diverse da parte dei sostenitori dell’applicazione dei vari modelli residenziali. L’esperienza dei Paesi in cui, già da tempo, i grandi istituti residenziali sono stati sostituiti con servizi diffusi nella comunità indica che anche queste nuove realtà possono riprodurre molti aspetti tipici delle vecchie istituzioni [2] o presentare altri limiti importanti [3]. Inoltre, la crescente applicazione di criteri aziendali alle organizzazioni sanitarie pubbliche, la dedifferenziazione dei servizi per
la DI e l’affermazione del modello basato sui diritti umani nelle politiche per la disabilità, negli ultimi anni [3], hanno fortemente condizionato le teorie e le pratiche della deistituzionalizzazione. Alla luce di queste evoluzioni il concetto di istituzione sta vivendo un percorso di ridefinizione. Un interessante contributo al riguardo è stato recentemente prodotto dal gruppo di lavoro sulla deistituzionalizzazione delle associazioni canadesi People First e Community Living, che ha così definito l’istituto: ‘‘Qualunque posto nel quale le persone che sono state etichettate come aventi una DI sono isolate, segregate e/o concentrate. Qualunque posto dove le persone non hanno il controllo della loro vita o non viene permesso loro di esercitarlo e dove non possono operare le loro scelte quotidiane. Non sono semplicemente le dimensioni a definire un istituto’’ [4].
Materiali e metodi Scopo del presente lavoro è effettuare una revisione della letteratura internazionale pubblicata negli ultimi cinque anni, con l’intento di organizzare e confrontare i risultati delle diverse procedure sperimentali ed esperienziali. La ricerca degli articoli è stata condotta utilizzando i motori presenti in Medline, Medmatrix, NHS Evidence e Cochrane Library. Le parole chiave impiegate sono state ‘‘house/ing’’ (+ ‘‘cluster’’ or ‘‘dispersed’’), ‘‘living’’ (+ ‘‘indipendent’’), ‘‘residential’’ (+ ‘‘care’’), ‘‘residentiality’’, ‘‘residence’’, ‘‘accomodation’’, abbinate a ‘‘intellectual disability’’, ‘‘mental retardation’’, ‘‘developmental disability’’ o ‘‘learning disability’’.
108 Successivamente gli autori, tutti coinvolti in numerosi percorsi esperienziali inerenti l’argomento in esame, hanno riesaminato gli articoli così individuati per produrre i criteri organizzativi della rassegna e i commenti alla stessa.
Risultati Negli ultimi 10 anni sono stati condotti studi e revisioni dettagliate della ricerca sulla deistituzionalizzazione e sulla vita nella comunità in riferimento alle persone con DI, sia nei casi di compresenza di problemi psichiatrici, sia nei casi in cui tali problemi sono assenti. Una buona parte di queste ricerche non permette di trarre conclusioni né in riferimento alla tipologia o all’organizzazione delle residenze né in riferimento alle caratteristiche dell’utenza [5]. In generale, i circa 70 studi condotti tra il 1996 e il 2007 [6] sembrano concordare su tre punti: • la distribuzione dei servizi nella comunità è tendenzialmente più riabilitativa di un’esclusiva collocazione in aggregati; • gli esiti dell’intervento residenziale dipendono fortemente dalla variabilità individuale; • i fattori più significativamente associati agli esiti sono quelli non appartenenti ai modelli di cura e terapeuticoassistenziali tradizionali. Le soluzioni residenziali che a oggi vengono considerate più efficienti sono i piccoli appartamenti distribuiti nella comunità e, a seguito delle evidenze più recenti, i cluster centre (villaggi). In entrambi i contesti il comportamento adattivo, la partecipazione decisionale e la qualità di vita (QdV) sono risultati più elevati di quelli registrati nelle grandi residenze istituzionali [7]. Rispetto al confronto specifico fra queste due offerte residenziali sono reperibili risultati diversi, anche in riferimento alle stesse misure di esito [7—9]. Sembra prevalere l’opinione che l’utilità di ciascuna dipenda fortemente dalle caratteristiche e dagli interessi di ogni singolo utente. Il problema fondamentale della teorizzazione dell’adeguatezza della residenzialità alla persona con DI è costituito dai criteri di esito e di efficacia, cioè dai parametri ai quali ci si dovrebbe riferire per considerare utile e ben riuscito un intervento residenziale. Negli attuali modelli di intervento sociosanitario, i parametri sono limitati e soprattutto scarsamente definiti. Uno di questi è la ‘‘vita comunitaria’’, spesso intesa come abilitazione all’uso della stessa gamma di alloggi, sistemazioni abitative e stili residenziali utilizzata dalla popolazione generale [10]. Un’altra misura di efficacia è la ‘‘partecipazione comunitaria’’, che si riferisce alla piena condivisione delle attività sociali, culturali ed economiche, nella misura ritenuta più adatta da ciascun individuo [10]. Per valutare l’impatto dei diversi fattori ambientali sulla partecipazione comunitaria della persona con DI, Verdonschot et al. [11] hanno condotto una revisione sistematica delle esperienze pubblicate tra il 1996 e il 2006. Questa ha confermato che, nella sua attuazione, il costrutto di partecipazione comunitaria rimane spesso eccessivamente indefinito e legato a una molteplicità di fattori rispetto ai quali è difficile, di conseguenza, precisare un rapporto di dipendenza. Con tali limiti sono stati individuati i seguenti fattori ambientali positivi: opportunità di scelta,
M.O. Bertelli et al. varietà di stimoli ambientali e di servizi, opportunità di partecipazione alla pianificazione, piccole strutture residenziali, opportunità di autonomia, servizi volontari, supporto sociale, coinvolgimento della famiglia, ausili tecnologici e attitudine positiva dello staff. Fattori negativi sono invece risultati la mancanza di trasporti e il non sentirsi accettati. Un altro parametro che sembra differenziare i vari interventi residenziali per la persona con DI è la pervasività dei comportamenti di sfida, in particolare l’aggressività. Anche in questo caso i nuovi cluster e i piccoli appartamenti sembrano preferibili ai grandi istituti [12]. Ulteriori parametri, citati anche nell’art. 62 della Legge della Regione Toscana 41/05, sono l’acquisizione di autonomia e la capacità formativa o lavorativa, che rimandano a implicazioni generali dei processi di cura e di riabilitazione.
Residenzialità e qualità di vita Nel campo della DI le misure di esito dei vari interventi sociosanitari non possono essere le stesse che si applicano alla popolazione generale. Qui, infatti, il recupero di un funzionamento intellettivo normale o di capacità funzionali simili a quelle della maggior parte delle persone è escluso dai criteri stessi per la formulazione della diagnosi. L’efficacia di un intervento, sia esso terapeutico, riabilitativo o inclusivo, è strettamente connessa al miglioramento della QdV, cioè alla riduzione della distanza che intercorre tra le aspettative individuali nei diversi ambiti di vita e gli obiettivi riabilitativi raggiungibili. La QdV è la più diffusa fra le nuove misure di esito cosiddette ‘‘orientate alla persona’’ (Person-Related Outcomes, PRO). La sua applicazione si esplica in interventi di aiuto finalizzati a una maggiore soddisfazione di vita, indipendentemente dalla ‘‘patologia’’ o dalle condizioni psicofisiche del soggetto. Applicato alla residenzialità, l’approccio fondato sulla QdV sostiene che la persona con DI è ‘‘sana’’ nella misura in cui è soddisfatta del posto in cui vive e dell’esperienza quotidiana di sé in relazione a esso. Tale soddisfazione, a sua volta, dipende dall’interesse per una determinata tipologia residenziale e, dunque, dalla differenziazione dell’offerta. Riguardo al carattere di soggettività e di oggettività nell’applicazione della QdV come misura di esito degli interventi residenziali, la valutazione ha seguito negli ultimi anni teorie diverse. Per valutare la relazione fra questi aspetti contrapposti rispetto a domini simili di QdV, Perry et al. [13] hanno studiato la correlazione fra punteggi derivati da vari strumenti, con prevalente riferimento alla partecipazione decisionale, alle attività residenziali, al livello di integrazione e al comportamento adattivo. Gli strumenti sono stati somministrati a un ampio campione selezionato a caso tra le persone residenti in 47 piccoli servizi residenziali comunitari differenti. Tutte le misure oggettive sono risultate correlate con i comportamenti adattivi, mentre solo una di quelle soggettive ha raggiunto la significatività statistica. Non significative sono risultate 15 delle 16 correlazioni tra misure oggettive e soggettive. Per alcuni anni gli aspetti oggettivi della QdV e la soddisfazione o il benessere personali sono stati considerati ambiti di valutazione sostanzialmente distinti. La loro
Residenzialità per la disabilità intellettiva: evidenze, principi evolutivi e implicazioni applicative utilizzabilità per scopi diversi è stata oggetto di molte riflessioni culturali. Oggi, dopo il lungo percorso di ricerca compiuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sappiamo che esistono ambiti di vita applicabili alla totalità delle persone e la QdV generica ha acquisito carattere di commistione di aspetti soggettivi e oggettivi [14]. Le variabili soggettive sono attualmente considerate come le meno sensibili per la QdV [15]. I modelli più recenti di QdV insistono sulla relazione tra importanza attribuita ai vari ambiti di vita e soddisfazione percepita negli stessi e promuovono interventi in grado di ottimizzare questa relazione [14].
Conclusioni La revisione della letteratura sulla residenzialità per la persona con DI indica una sostanziale indisponibilità di studi di elevato valore scientifico. È inoltre ravvisabile come la valutazione dell’esito degli interventi e dei programmi sia stata eseguita con criteri eterogenei, scarsamente definiti o restrittivi. Sembra tuttavia derivabile che alcune soluzioni residenziali possano funzionare meglio di altre, anche se limitatamente ad alcuni parametri specifici e con riferimento prevalente ad alcuni sottogruppi di popolazione. L’applicazione di nuovi modelli concettuali ai percorsi di residenzialità inclusiva sembra sostenere la necessità di una gamma davvero molto ampia di offerte. Un’unica opportunità residenziale non risulta poter essere utile a tutte le persone, tanto più quando ci si riferisca a una popolazione altamente eterogenea come quella che si comprende nella denominazione ‘‘disabilità intellettiva’’ (o ritardo mentale, nei sistemi diagnostici). Per quelle persone per cui l’abitare — termine derivante dalla stessa radice semantica di ‘‘avere’’ — rappresenta uno degli aspetti più importanti della vita, la soddisfazione in quest’ambito ha importanti conseguenze sullo sviluppo di altre abilità specifiche e sulla soddisfazione generale di vita. La collocazione residenziale che si inscriva in un intervento orientato al miglioramento della QdV ha dunque implicazioni formative e riabilitative. Essa, infatti, concorre a porre e a mantenere la persona su una linea di sviluppo di abilità alla soddisfazione di vita.
Conflitto di interesse Gli autori dichiarano di essere esenti da conflitto di interesse.
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